di Maria G. Di Rienzo*
Le donne povere lavorano e hanno sempre lavorato: ma poiché operano per lo più nel settore classificato come “informale”, raramente sono incluse nelle statistiche ufficiali e ancor più raramente le legislazioni si occupano di loro in maniera positiva. In molte città del mondo queste donne sono venditrici di strada o venditrici ambulanti e costituiscono la maggioranza delle presenze di questo tipo sulle strade. Le attraggono i costi relativamente bassi del dare inizio all’impresa, la flessibilità negli orari o il coinvolgimento familiare (spesso le donne “ereditano” la posizione dalle loro madri) e sovente la possibilità di mettere a frutto le loro capacità specifiche: cioè, vendono ciò che hanno coltivato, ricamato, cucinato, costruito con le proprie mani.
Ma un po’ ovunque di recente, grazie alle politiche economiche assai riformatrici e benefiche del neoliberismo che continuano a buttare fuori dal settore formale del lavoro una valanga di uomini e donne, il numero di ambulanti è aumentato in maniera esponenziale, causando pressioni e competizioni che tendono a spingere fuori dal mercato le presenze più deboli – generalmente di sesso femminile. Le venditrici si sono organizzate negli ultimi anni in modo spontaneo, a livello locale, in veri e propri sindacati, per poi collegarsi successivamente in una rete internazionale che ha prodotto analisi, azione e successi. Considerato quanto sono differenti fra loro non solo per provenienza geografica, ma per aree di competenza, possono essere considerate un trionfo della solidarietà e dell’abilità strategica.
Una delle cose più belle di queste donne è che non hanno alcun timore nel dar voce alle loro speranze e ai loro timori e nel rendere pubbliche le loro esperienze, persino in quei paesi dove spesso devono combattere contro lo stereotipo della “donna per strada perciò immorale”.
Pushpa Achanta, scrittrice e attivista indiana per i diritti umani e la giustizia sociale, che lavora con le organizzazioni delle ambulanti, ha reso in versi l’incontro casuale con una di esse a Bangalore, nel gennaio scorso: “Kasturi – spiega in una nota – è un’amichevole venditrice ambulante di vegetali. Ha trentatre anni ed è una sopravvissuta alla violenza di genere. Il suo modo di fare gioioso, pragmatico e pieno di speranza, che mi ha mostrato mentre compravo da lei del coriandolo, ha ispirato le parole che seguono”.
UNA SORELLA DELL’ANIMA
O Katsuri!
La tua canzone
mi ha conquistata,
il tuo sorriso
mi ha rapita.
Chi sono quelli
che hanno misurato la tua bellezza
ma ignorato la tua dignità?
Sii sempre forte
sorella cara
per te stessa, e per tua madre,
per i tuoi figli e le altre donne.
* Giornalista, formatrice e regista teatrale femminista, cura il blog lunanovola, dove è apparso questo articolo (la cui pubblicazione su Comune è autorizzata dall’autrice). |
lunedì 2 febbraio 2015
la sorella dell'anima
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento