Dopo la notte delle dichiarazioni roboanti dei dirigenti indipendentisti e dei sobri festeggiamenti nel luogo simbolo della Guerra di secessione anti borbonica (1714,sic), giunge il momento delle valutazioni politiche più caute sul voto in Catalogna, sulle effettive conseguenze e sui possibili riflessi nelle prossime elezioni politiche generali. Allo spregiudicato ex Presidente Artur Mas è certamente ben riuscito l’inganno di trasformare le elezioni regionali in un plebiscito pro indipendenza, panacea di ogni crisi, in questo modo eludendo qualsiasi giudizio di merito sulle politiche economiche e sociali liberiste attuate dalla sua maggioranza – in totale sintonia di intenti con quelle della Commissione Europea e del governo Rajoy – ma attribuendone tutti i demeriti al “centralismo”. Insomma, niente di nuovo sotto il cielo dei variegati populismi che quando governano con la destra smantellano il welfare e quando stanno all’opposizione danno la colpa del malessere sociale agli immigrati e a Roma ladrona, léggasi, Madrid. Così la propaganda elettorale ha fatto leva sui mirabolanti effetti che la separazione dalla Spagna produrrebbe in una regione che da sola apporta oltre il 20% del PIL: sulla previdenza sociale (incremento del 10% dell’assegno di pensione per tutti!), sulla efficienza sanitaria e dei servizi, sulla occupazione giovanile per effetto dei maggiori investimenti conseguenti la riduzione delle imposte alle imprese e alle famiglie. Olè!
La Sinistra storica e neo – alleata con Podemos nella lista Catalunya sì que es pot (Catalogna sì si può) ottiene un risultato assai inferiore alle attese (8.9%): non è riuscita in tanto frastuono propagandistico a far comprendere quale fosse la vera posta in gioco, a mio avviso, per la ragione che una lettura “di sinistra” della crisi economica sociale è stata messa un po’ in sordina da IU a beneficio dell’altra componente, meno propensa ad interpretazioni di taglio marxista. Inoltre è risultata assai ambigua rispetto all’opzione indipendentista, rinviando ad una generica “capacità di auto – decidere”, così da essere scavalcata dalla sinistra anticapitalista e marcatamente secessionista della CUP, che ottiene un inatteso e sorprendente successo elettorale (8.2%), con 11 seggi ora indispensabili per proseguire nella road map della separazione dalla Spagna.
Insomma, un improbabile scenario in cui la sinistra anticapitalista dovrebbe dare una mano indispensabile ai vincitori ultraliberisti diJunts pel sì per portare a compimento il processo secessionista, avendo decisamente contro i moderati del Partido Popular e la nuova destra di Ciutadans che sono gli unici molto risoluti nell’opporsi alla separazione dalla madre patria. Una contraddizione che è stata immediatamente messa in luce daimedia spagnoli, quelli contrari all’indipendenza della Catalogna, che non a caso scrivono di una vittoria incompleta.
Leggeremo quali saranno i futuri sviluppi dell’intricata questione. Anche se i vincitori annunciano un “divorzio breve” cioè 18 mesi per dichiarare l’indipendenza, nel mezzo ci sono questioni ben complicate: prima fra tutte l’adesione alla UE che secondo i Trattati costitutivi non è affatto automatica ed il Governo Rajoy ha fatto sapere che porrebbe eventualmente il veto, per non parlare della adozione dell’Euro e per finire con la questione (ma questa è davvero una fesseria) se il Barcellona possa giocare nel campionato nazionale spagnolo o essere degradato ad un campionato regionale…
Molti di questi temi torneranno nella prossima campagna delle elezioni politiche che si terranno entro l’anno o nei primi mesi del 2016 (dipenderà dalla data di scioglimento delle Camere). Tutto lascia prevedere una definitiva sconfitta dei Popolari, dopo le municipali e regionali e queste ultime votazioni in Catalogna, ma non si profila una via di uscita “a sinistra” con i socialisti ed Izquierda Unida in costante declino di voti. Gli analisti dei principali media moderati parlano di fine del “bipolarismo” (che novità!) e guardano con simpatia al “modello italiano” dove centro sinistra e centro destra si danno reciprocamente una mano nell’attuare la stessa ricetta politica. D’altra parte, a destra, si configura uno schema intercambiabile e ciò che perde il Partido Popular lo riguadagna la destra moderna ed efficentista di Ciudadanos.
Anche qui, come da noi in Italia, però c’è il terzo incomodo di Podemos. Tuttavia, la formula dell’alleanza di questi ultimi con la sinistra alternativa non è ancora per nulla scontata. Questa scelta è stata vincente nelle elezioni locali di Madrid e Barcellona, però si trattava di candidate sindaco di grande seguito e credito; non è stato altrettanto in queste ultime regionali catalane: il processo di avvicinamento tra Sinistra e Podemos – se mai è c’è stato per davvero – subisce quindi una battuta di arresto ed alimenta le dinamiche centrifughe e le diffidenze reciproche di entrambi gli schieramenti.
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