“No alla decapitazione dell’attivista”. Il Salone del Libro esclude l’Arabia
Non sarà più il Paese ospite nel 2016. Fassino: inaccettabile. Ali al-Nimr, a 17 anni, aveva manifestato contro la monarchia
ANSA
L’attivista Ali al-Nimr è stato arrestato nel 2012
27/09/2015
EMANUELA MINUCCI
L’Arabia Saudita non sarà più il Paese ospite del prossimo Salone del Libro di Torino. A deciderlo, anticipando le conclusioni del consiglio d’amministrazione della Fondazione previsto il 6 ottobre, all’unisono, il sindaco Fassino e il presidente della Regione Piemonte Chiamparino.
A chiedere loro di prendere una rapida posizione in merito, prima un tweet lanciato dal consigliere dell’Associazione Adelaide Aglietta Silvio Viale: #NoArabiaSaudita ospite d’onore #SaloneDelLibro poi una mozione in Comune e infine un appello dei Radicali all’assemblea regionale. Centoquaranta caratteri per contestare quell’Arabia Saudita «che ha deciso la vergognosa condanna a morte di Ali al-Nimr con decapitazione e crocifissione per aver partecipato da minorenne a una manifestazione contro il regime».
Qualche ora dopo, il sindaco Fassino ha risposto all’appello con poche, ferme righe: «Si risparmi la vita di Al Nimr. Nessuna ragione di Stato, politica o religiosa giustifica che si condanni un giovane alla decapitazione e alla crocifissione». Poi la conclusione: «È evidente che una condanna a morte negherebbe in radice quelle ragioni di dialogo che erano alla base dell’invito all’Arabia Saudita quale Paese ospite dell’edizione 2016 del Salone del Libro». Poi è arrivata la dichiarazione del governatore Chiamparino: «Riteniamo che sia necessario riconsiderare tale invito, data l’importanza, soprattutto in questo momento storico, di trasmettere messaggi univoci e coerenti in tema di rispetto dei diritti universali della persona».
Riad irritata
La decisione di ospitare un Paese destinato a dividere l’opinione pubblica, va detto, non è stata assunta dall’attuale presidente Giovanna Milella, ma dal suo predecessore Rolando Picchioni nel 2014 anche perché trattative di questo tipo durano minimo un anno. E già a maggio di quest’anno la presidente Milella, a poche ore dalla sua nomina, criticò la scelta: «Dobbiamo ripensarci su». «L’Arabia che divide» diventò così all’inizio dell’estate un caso politico-diplomatico. Sembrava un po’ un film già visto nel 2008, quando l’ospite scelto dal Salone era Israele, nei 60 anni dello Stato ebraico: anche lì la questione scatenò un’accesa discussione fra scrittori, intellettuali e politici. E nei cortei si arrivò a incendiare la bandiera israeliana.
L’Arabia Saudita fin dall’inizio non ha gradito certe critiche. L’ambasciatore saudita a Roma, Rayed Khalid A. Krimly scrisse che «La partecipazione a un evento culturale non può essere viziata da un’interpretazione eurocentrica, univoca e xenofoba». Per concludere: «Desta stupore constatare che quanti si ergono a promotori del liberalismo e del pluralismo stiano manifestando ostilità alla partecipazione di rappresentanti di altre culture in un evento di cultura internazionale». E non si era ancora arrivati alla bocciatura definitiva.
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