27/09/2015
In un tempo nel quale le rivendicazioni localistiche devono misurarsi con lo scompaginamento delle identitá che la globalizzazione ha provocato sul tessuto storico degli Stati-nazione, i risvolti politici delle tensioni “autonomistiche”, che vanno dal federalismo al secessionismo, aprono processi di crisi dove mimetismo ed emulazione tentano similitudini spesso inesistenti. Per parlar chiaro: vedere nel voto-referendum catalano di questa domenica una interessante proiezione sui percorsi “nazionalistici” della cosiddetta Padania é una bestialitá, dal punto di vista storico, oltre che culturale. La “Padania” é una pura invenzione elettoralistica, strumentale per la definizione di un inesistente progetto identitario, mentre la Catalogna (o, altrove, la Scozia) é una realtá storica secolare, con tradizione, istituzioni, lingua, e cultura, proprie, differenziate dal contesto “madrilista” dello Stato spagnolo.
Ma ridurre a questa distinzione il voto di domenica, per liberarlo dalle contaminazioni strumentali che potrebbero essere tentate, significa voler ignorare la complessitá di un problema – quello delle “nazioni” spagnole – che nel corso dei secoli ha sempre accompagnato i rapporti tra il governo centrale di Madrid e i suoi territori “periferici”. Infatti, fin dalla nascita dello Stato unitario alla fine del XV secolo, sotto la corona di Castiglia e Aragona, molte delle altre regioni della penisola iberica che avevano avuto sviluppi istituzionali di forte autonomia rivendicarono e difesero questa loro diversitá. E furono soprattutto 3 i territori che, battendosi a difesa della propria storia, ottennero comunque da Madrid – sia nella monarchia sia nella repubblica – un ampio riconoscimento giuridico di questa loro diversitá: la Galizia a NordOvest, il Paese Basco a NordEst, e la Catalogna nella costa orientale della penisola. Tre regioni con una storia sociale molto complessa, che potevano accompagnare la propria difesa identitaria anche con la forza d'una tradizione linguistica differenziata dalla lingua castigliana dello Stato spagnolo: il “gallego”, il “catalano”, e l'”euskara”, soprattutto l'euskara del Paese Basco, non erano e non sono dialetti locali, ma vere e proprie lingue, con una complessitá di articolazione linguistica e di produzione culturale che ne difendono le ragioni d'un riconoscimento istituzionale.
Ancora, e per evitare ambiguitá e strumentalismi, la nascita dello Stato italiano, nel 1861, piú di quattro secoli dopo la nascita della Spagna stato sovrano, condusse alla formazione d'una identitá unitaria dopo lotte e guerre che si protrassero per decenni ma senza che le realtá “locali” potessero rivendicare la forza e la tradizione di una loro autonomia storica, a causa, soprattutto, del dominio politico-istituzionale che su di loro avevano esercitato poteri e potenze estranee alla storia italiana pre-unitaria (soltanto lo Stato vaticano poteva rivendicare credibilmente una sua qualitá “italiana”).
Ma per la Spagna, al di lá delle tradizioni che differenziarono la storia delle tre “nazioni”, dal punto di vista politico l'elemento principale che rafforza la battaglia autonomistica (secessione, indipendenza, federalismo) é l'ereditá che la Spagna democratica ha avuto dai quarant'anni di dittatura franchista. Durante il regime del Caudillo, nettamente crentralista, non soltanto furono soppresse tutte le concessioni che nel tempo i governi – monarchici e repubblicani – avevano fatto a Galizia, Euskadi, e Catalogna, ma fu tentata, soprattutto in Euskadi e Catalogna, una forte contaminazione di popolazioni trasferite a Bilbao e Barcellona da altre regioni (quello che Mussolini fece in Alto Adige con siciliani, calabresi, e campani), tentando di stemperare con andalusi ed emigranti dell'Estremadura l'identitá “nazionale” dei residenti locali. Tuttavia, alla fine, il sigillo simbolico che venne impresso alle rivendicazioni autonomistiche fu quello di una lotta che – difendendo l'autonomia – difendeva la riconquista della democrazia contro il retaggio della dittatura. Battersi contro Madrid era battersi per la libertá, o comunque era questa la caratterizzazione che si guadagnavano nell'immaginario spagnolo i movimenti politici catalani e le operazioni politico-militari dell'Eta nel Paese Basco (assai meno la Galizia, per ragioni economico-sociali dipendenti dalla forte emigrazione: in America Latina, ancora oggi gli spagnoli vengono spesso definiti genericamente “gallegos”).
Quando, nel 1978, la Spagna postfranchista si diede una Costituziona democratica, questa riconobbe ufficialmente le autonomia locali, con ampie concessioni alle tre “nazioni” storicamente diverse da Madrid. Il riconoscimento non spense le tensioni “indipendentiste”, ma certamente ne ridusse la capacitá di incidere sui processi politici, locali e nazionale. E l'arresto, la settimana scorsa, dei due ultimi leader dell'Eta basca, puó essere considerata la conclusione della piú lunga e violenta lotta indipendentista delle “nazioni” spagnole.
Su questo tessuto comunque in via di ricomposizione ha peró pesato la durissima crisi economica che la Spagna ha vissuto nell' ultimo decennio, con un livello di disoccupazione che é record nel continente, dando cosí spazio alla ripresa delle ragioni “indipendentiste” attraverso una critica sempre piú aspra verso il governo centrale: Madrid, e non soltanto Rajoy ma anche Zapatéro, viene accusata non soltanto di praticare un centralismo cieco e vessatorio ma, anche, di penalizzare la Catalogna (e le altre regioni) con una politica fiscale che punisce la “periferia”e ne sfrutta il ricco potenziale economico.
Quale sará il futuro del voto di questa domenica non é ancora chiaro,e si possono fare molte ipotesi di sviluppo politico. Quello che giá é certo é che Madrid dovrá trattare con questa Catalogna “indipendente”, offrendole nuove concessioni giuridiche, soprattutto fiscali. Si apre un processo di possibile destabilizzazione, che avrá ricadute sul piano nazionale (costringendo Rajoy a rivedere i suoi piani politici) ma anche sul piano europeo, dove la bandiera giallorossa della Generalitat stimola tentazioni che certamente non fanno bene a una Europa oggi in forte crisi indentitaria.
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