Dall'Iraq all'Ucraina, cosa succede quando le identità comunitarie sfidano gli Stati-nazione
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Il sogno si trasforma in incubo. La speranza in tradimento. Il futuro si fa passato. Dai confini Est dell'Europa alle tante trincee mediorientali, in un crescendo di violenza senza limiti, emerge un dato unificante: la frantumazione degli Stati-nazione, l'emergere prepotente, e inquietante, delle vecchie identità comunitarie, etniche, religiose, tribali. Così in Iraq, così in Siria, in Libia ma, a ben vedere, così anche in Ucraina. Ed è solo l'inizio di quello destinato ad essere un lungo elenco planetario.
Sta qui il "cambio di stagione". Il tramonto dell'illusione che la globalizzazione dei mercati potesse essere accompagnata da una globalizzazione dei diritti. Gli Stati-nazione non cedono sovranità a istituzioni sovranazionali, ma fanno i conti, e spesso vengono travolti, da appartenenze prestatuali, fortemente identitarie.
I cambiamenti epocali possono essere racchiusi in storie, volti, luoghi che assumono una valenza che va ben oltre la testimonianza, individuale e collettiva, di una speranza condivisa. O di una tragedia senza fine.
Così è per il Medio Oriente. Il Medio Oriente in fiamme. Quelle fiamme "purificatrici" che, solo tre-quattro anni fa, segnavano la fine - dalla Tunisia all'Egitto, passando per la Libia - di regimi, rais, Colonnelli e "faraoni" che sembravano impenetrabili, inviolabili, nonostante, o forse grazie, ai crimini di cui si erano macchiati e al colpevole sostegno di un Occidente miope e pavido. Le fiamme della speranza hanno acceso le "Primavere arabe", illuminando i volti dei ragazzi di Piazza Tahir, cuore della rivolta egiziana che portò alla caduta del regime di Hosni Mubarak, e ancor prima, in Tunisia, quelli dei giovani protagonisti della "rivoluzione jasmine". Era la rivolta contro un vecchio ordine, era un investimento sul futuro fatto, anzitutto, da generazioni a cui il futuro, in termini di lavoro, libertà, diritti, veniva negato.
Sono trascorsi solo pochi anni da quegli eventi. Dal Nord Africa al Vicino Oriente, dal Medio Oriente all'Asia Centrale, una vastissima fascia di instabilità sta disegnando nuovi equilibri - o squilibri- su scala regionale e globale. Ma le fiamme che si alzano da questa vasta, e nevralgica, area del mondo, e che hanno segnato una estate di sangue e di orrore, illuminano altri volti e danno conto di sommovimenti di segno opposto a quelli delle "Primavere arabe".
Il segno della restaurazione, in Egitto, e dell'emergere prepotente di altri protagonisti che issano le loro bandiere nere sulle macerie di Stati frantumati - Iraq e Siria - proclamando "Califfati islamici" fondati sull'applicazione più ferrea della "sharia" e sulla più barbara persecuzione delle minoranze religiose, i cristiani, yazidi, turcomanni... marchiati a sangue nei pogrom perpetrati dall'Isis del "Califfo con il Rolex", Abu Bakr al-Baghdadi, capo dell'autoproclamato Stato islamico.
Comunque si concluda questa vicenda, una cosa resta agli atti: l'ascesa di "Califfo Ibrahim" narra anche, perché in qualche modo ne è il frutto avvelenato, del fallimento delle politiche dell'Occidente nella regione, il lascito di avventure militari - a cominciare dalle due guerre irachene - che pretendevano di stabilizzare il Medio Oriente ma che, al contrario, lo hanno reso una polveriera (nucleare) pronta a esplodere, con conseguenze devastanti che andrebbero ben oltre i confini regionali.
Il Medio Oriente oggi è la terra dei non-Stati, l'area geopolitica della frammentazione. Lì dove si è consumato il "Grande Tradimento": quello di un Occidente che ha lasciato soli, inascoltati i giovani protagonisti delle "Primavere del cambiamento". Ed ora si ritrova, ci ritroviamo a fare conti con miliziani e tagliagole che si fanno esercito e proclamano il loro "Stato".
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