Addio alle gorgonie. Il Mediterraneo si scalda ed è strage sui fondali
Le ultime scoperte sul boom delle temperature: “Il rimedio? Creare aree marine protette”
30/12/2014
FERDINANDO BOERO
I satelliti registrano notevoli aumenti di temperatura nel Mediterraneo. Ma, se il cambiamento delle condizioni fisiche è innegabile, è possibile abbinarlo ad una risposta della componente vivente? La prima risposta si chiama «tropicalizzazione»: le specie tropicali entrano nel Mediterraneo e formano grandi popolazioni. Il loro arrivo - si potrebbe dire - fa aumentare la biodiversità. Ma, dagli Anni 80, si sono registrati fenomeni di mortalità di massa degli invertebrati che vivono sui fondali rocciosi.
Gorgonie, spugne e altri invertebrati meno noti, ma non meno importanti, come briozoi e tunicati, che formano i paesaggi sottomarini, sono morti all’improvviso soprattutto lungo le coste liguri, provenzali e spagnole. Sono specie che vivono a partire da una certa profondità, di solito da 10-15 metri. In estate, le alte temperature superficiali si propagano lungo la colonna d’acqua e raggiungono proprio i 10-15 metri. Le specie che non sopportano il caldo se ne restavano al sicuro, sotto la zona calda dell’estate. Dagli Anni 80, però, le alte temperature estive superficiali hanno scaldato l’acqua fino a 50 metri e gli animali che non sopportano il caldo sono morti.
Ipotesi alla prova
I satelliti non misurano la temperatura al di sotto della superficie e la relazione tra morte e caldo era suffragata solo da prove circostanziali. Ora, però, nell’ambito del progetto europeo «CoCoNet», di cui sono il coordinatore, l’ipotesi è stata messa alla prova. La domanda è semplice: esiste una relazione tra l’aumento di temperatura nella colonna d’acqua e la morte delle specie che non sopportano il caldo? Irene Rivetti, sotto la guida di un gruppo di docenti dell’Università del Salento, del Cnr-Ismar e dell’Università Parthenope di Napoli, ha svolto la sua tesi di dottorato per rispondere alla domanda. Ha scavato nelle banche dati dove gli oceanografi hanno depositato quasi 200 mila misurazioni di temperatura, tra il 1949 e il 2011, e le ha confrontate con le registrazioni di mortalità di massa nel Mediterraneo. Poi ha confrontato i dati e la risposta è stata pubblicata su «Plos One». Eccola: il Mediterraneo si scalda in modo non omogeneo e gli aumenti di temperatura superficiale si propagano lungo la colonna d’acqua in modo più intenso dal 1983, proprio quando la prima mortalità di massa è stata registrata. E ogni volta che le temperature alte sono arrivate a profondità maggiori le specie ad affinità fredda hanno sofferto. Di fronte a questa emergenza «CoCoNet» - il più grande progetto europeo di carattere marino a coordinamento italiano (www.coconet-fp7.eu) - ha come obiettivo di fornire le linee-guida per la creazione di «Aree marine protette». La logica è che i sistemi ambientali possono resistere, se vengono protetti meglio dall’impatto umano. Abbiamo depauperato il capitale naturale e ora lo dobbiamo ricostituire, con un uso più saggio delle risorse.
«CoCoNet»
Ora, sempre nell’ambito di «CoCoNet», si valuta la possibilità di installare piattaforme eoliche d’altura per contribuire a uscire dall’era dei combustibili fossili, la principale causa del riscaldamento globale. Dobbiamo imparare a raccogliere l’energia dal vento e dal sole. Nel frattempo, però, contro ogni logica, l’Italia ha concesso diritti di esplorazione nello Ionio e nell’Adriatico alla ricerca di petrolio. Invece di proteggere l’ambiente che ci sostiene, lo stiamo sottoponendo a ulteriori rischi.
Ma tanti ricercatori, con studi simili a quelli di Irene Rivetti, stanno fornendo le prove del nostro impatto sull’ambiente. E forniscono la ricetta per uscire da questa situazione sempre più rischiosa. L’ambiente ci lancia messaggi: l’invasione delle meduse, il boom delle specie tropicali, le troppe specie che muoiono. C’è chi è in grado di leggerli, ma sembra che tutto questo interessi poco a chi ha il potere di decidere che cosa fare. Il principio fondamentale è che senza una buona ecologia non ci può essere buona economia.
Università del Salento
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