Perché a Natale pensiamo all'Iraq
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Sarebbe bello, a fine anno, avere un bel gruzzolo da dedicare alla solidarietà, distribuendolo tra progetti vicini e lontani che placano sofferenze, riassegnano dignità, aprono opportunità per chi vive nel nostro quartiere o dall'altra parte del mondo. Purtroppo quest'abbondanza è appannaggio di pochi e sempre più italiane e italiani si vedono costretti a scegliere una sola destinazione dei soldi rimasti dopo aver pagato bollette, rata del mutuo e fatta la spesa per il pranzo di Natale. E allora perché scegliere l'Iraq, quest'anno?
Tanti lettori dell'Huffington Post l'hanno fatto con noi per un sentimento di vicinanza con chi lotta per sopravvivere e mantenere la propria identità davanti alle bandiere del fondamentalismo e alle politiche settarie di chi ha governato il Paese. Sosteniamo cristiani, yazidi, shebak e altri portatori di una diversità che rende l'Iraq un paese affascinante, un crogiolo di culture, nonostante la guerra.
Per questo le coperte e il pane che porgiamo loro non portano solo calore e nutrimento ma danno energia a chi si aggrappa all'immagine di un Iraq multietnico e multiconfessionale. E se l'Iraq è la culla della civiltà, se le paludi mesopotamiche sono l'Eden biblico, se da lì scaturirono la scrittura e il primo codice di leggi della storia dell'umanità, difenderne l'identità ha un significato simbolico fortissimo.
Non dal fragore delle armi ma da nuove norme di convivenza verrà una soluzione alla sofferenza del popolo iracheno.
L'associazione Un ponte per... ne segue le vicende ormai da 23 anni e ha visto il fallimento di tutti i tentativi di imporre democrazia o rafforzare la sicurezza manu militari. Ogni successo nella costruzione della pace è stato esito del dialogo politico interno, di patti tra fazioni, tribù e leader religiosi per cessare il fuoco e fermare il circolo della vendetta.
I nostri operatori locali, mentre distribuiscono coperte nei campi profughi, dialogano con i referenti delle comunità, che si chiedono come reagire all'offensiva dello Stato Islamico. Pericoloso sarebbe cedere alla tentazione di creare milizie confessionali, che diverrebbero strumenti di vendetta contro gli iracheni sunniti che hanno affiancato l'IS o hanno partecipato alle razzie. In questo caso la sconfitta militare dei fondamentalisti non segnerebbe la fine della guerra ma l'inizio di nuove battaglie.
Siamo allora a fianco del patriarca della Chiesa Caldea Louis Raphael Sako, che da Baghdad cita le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Matteo: "Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno". Ha proposto a tutti i fedeli di praticare il digiuno stretto da lunedì 22 fino alla sera del 24 dicembre, per invocare il dono della liberazione di Mosul e della Piana di Ninive. Ha suggerito ai cristiani caldei di non eccedere nei festeggiamenti in occasione del Natale e del Capodanno ma di sostenere iniziative di solidarietà concreta rivolte ai fratelli che si trovano nell'emergenza. E continua a dissuaderli dall'imbracciare le armi.
Non è facile nel clima di assedio che si respira anche nei distretti più tranquilli del Kurdistan iracheno, vista la frustrazione che monta con la sofferenza e il freddo nei campi profughi, nelle chiese e nelle scuole divenuti rifugio. Solo condizioni materiali di vita più dignitose possono dare a queste comunità la lucidità necessaria a immaginare un futuro di convivenza, a insegnare ancora la tolleranza ai propri figli.
Ringraziamo allora i lettori dell'Huffington Post che ci consentono oggi di accendere candele di speranza sugli alberi di Natale di Erbil. Continuate a seguirci anche nel 2015, un anno che chiederà grande impegno alla società civile irachena e ai suoi amici internazionali per costruire progetti di dialogo, riconciliazione, educazione alla pace per le nuove generazioni. Oltre l'emergenza, affinché i campi profughi non diventino i nuovi villaggi di queste comunità.
Martina Pignatti Morano
Presidente Un ponte per...
Presidente Un ponte per...
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