Dovrà scontare sei anni di carcere e pagare l’equivalente di trecentocinquanta euro, Josè Marcos Mavungo. La sua colpa è di aver organizzato sei mesi fa una manifestazione di protesta contro la spoliazione continua cui viene sottoposta la provincia di Cabinda in Angola dalle multinazionali del petrolio.
Superfluo ricordare che gli abitanti di quel territorio vivono in condizione di miseria e che i proventi dell’abbondante petrolio che viene estratto in quell’area prendono tutt’altra strada. Anche se l’intento dell’accusa era di dimostrare che Mavungo incitasse alla violenza, non sono state prodotte prove in questo senso durante il processo.
La verità è che è stato condannato per essere andato contro gli interessi dello Stato angolano e delle multinazionali. Lo afferma anche Amnesty international definendolo “detenuto per motivi di coscienza”.
Noi, che facciamo fatica persino a sapere dove si trova quella provincia o persino quella nazione, non troveremo una sola riga di informazione sulla vicenda sulla stampa nazionale. E non mi sembra propriamente questo il modo di “aiutarli a casa loro” che in tanti predicano di questi tempi. Semmai continuiamo ad assistere a questa migrazione all’incontrario. Il Mediterraneo viene navigato verso Nord dai poveri e verso Sud dalle multinazionali in cerca di ricchezza che di fatto impoverisce il Medioriente e l’Africa.
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