mercoledì 23 settembre 2015

elezioni greche:una riflessione

Non c’è nulla da festeggiare, dopo le elezioni in Grecia

by JLC
vio
Alcuni lavoratori di una delle fabbriche autogestite più note della Grecia, Vio.me
di Theodoros Karyotis*
Davvero, non c’è nulla da festeggiare. Forse gli europei di sinistra che sono arrivati ad Atene per sostenere Tsipras hanno una ragione per festeggiare, in quanto hanno una visione romantica di Syriza, il più delle volte idealizzata. Per quanto riguarda i greci, nessuno può negare che ci siano persone oneste e buone intenzioni tra chi ha votato Syriza o tra i suoi membri. Tuttavia, a seguito degli sviluppi degli ultimi mesi, l’ultima cosa che vogliamo fare in questi giorni è idealizzare o tifare. Come facciamo a festeggiare, quando domani il governo inizierà a imporre un programma di aggiustamento strutturale che significherà un assalto crudele contro l’ambiente e le classi lavoratrici? Un governo che ha già rinunciato alla possibilità di legiferare senza rendere conto al proprio tutore e che è sotto il costante ricatto dei creditori finanziari?
Pragmatismo di sinistra e smobilitazione sociale
Il nuovo slogan di Alexis Tsipras è la lotta contro la corruzione e l’oligarchia, dato che il “pragmatismo” dei più vieta che si combatta contro il memorandum, l’austerità e la ristrutturazione neoliberale. Così, l'impostazione della sinistra in Grecia è diventata quella di proporre un’“austerità dal volto umano”, di cercare un’imposizione meno corrotta e “più giusta” della barbarie liberista.
Purtroppo, nei prossimi mesi assisteremo alla “maturazione politica” del “pragmatismo” del primo ministro in più e più aree: il “pragmatismo” impone che non si possa combattere contro coloro che possiedono ricchezze e controllano i media in Grecia, che non si possa chiudere la miniera d’oro in Skouries, che si debbano privatizzare le aziende dell'acqua, che non si possa permettere ai lavoratori come Viome (foto in alto) di sfidare la proprietà privata, che si possa fare i conti con la protesta e con il dissenso solo attraverso le forze dell’ordine e la repressione.
In breve, il pragmatismo di sinistra riuscirà a fare tutto ciò che l’arroganza della destra non poteva fare, in primis soggiogare una popolazione che da cinque anni lotta contro l’offensiva neoliberista.
Per tutto questo tempo, i movimenti sociali sono rimasti in una posizione attendista, dando tempo a Syriza di svolgere il ruolo che si era prefissato, quello di mediatore tra la resistenza sociale e il potere. Così Syriza prende tempo, mentre la smobilitazione dei movimenti significa solo che questi usciranno da ogni lotta sconfitti: i lavoratori di Ert autogestiti saranno ostracizzati dalla nuova amministrazione, il movimento contro l’estrazione in Calcidica vedrà la sua selva e i prati distrutti: e poi? Forse Viome autogestita, che lotta per legittimare la propria attività in condizioni avverse? Forse il movimento dell’acqua a Salonicco, che ha lottato duramente per fermare la privatizzazione, per poi vederla rimessa sul tavolo dal nuovo protocollo?
D’altra parte, il fallimento di Unità Popolare di mobilitare gli elettori delusi non dovrebbe essere una sorpresa: nonostante la retorica anti-memorandum, il nuovo partito ha ribadito molte delle pratiche problematiche di Syriza. Formata da una procedura centralizzata che includeva solo i funzionari di partito e ruotava intorno a una sola persona cercando di avere egemonia sui movimenti e sulle altre organizzazioni politiche, Unità Popolare cercava seguaci e non alleati, lasciando prevalere il programma statalista di ricostruzione nazionale capitalista al di fuori della zona euro, come il Santo Graal della politica progressista. Non è riuscita a mobilitare gli elettori ex Syriza, molti dei quali hanno preferito restare a casa piuttosto che votare per Unità Popolare. Non è riuscita neanche a convincere la base delusa di Syriza, che attualmente rimane sconcertata e politicamente senza casa. Questo ha permesso a Tsipras di diventare il dominatore assoluto del gioco elettorale.
L’astensione elettorale e il “male minore”
Si potrebbe sostenere che il fatto che Syriza ha mantenuto la sua percentuale di voto nelle elezioni di domenica perché la maggioranza della popolazione è d’accordo con il nuovo “pragmatismo” del partito. Due punti devono essere sottolineati qui.
In primo luogo, l’atteggiamento di coloro che hanno votato Syriza come il “male minore”. Il gioco elettorale spinge, per definizione, a prendere decisioni sulla base di calcoli complessi, tra cui il ricatto politico e una serie di dilemmi morali che gli elettori greci hanno dovuto affrontare ben tre volte in meno di otto mesi. In questa situazione politica instabile e complessa, quelli che fanno astensione non sono necessariamente in vantaggio morale su coloro che usano il loro voto strumentalmente. Cerchiamo di non anticipare allora che tutti coloro che hanno votato per Syriza, per evitare il ritorno della odiosa Nuova Democrazia, rimarranno in attesa con le braccia incrociate, quando il governo comincia gli attacchi sanciti dal memorandum contro il popolo e contro l’ambiente nei prossimi mesi.
In secondo luogo, e più importante, mentre il sistema politico è stato progettato per mantenere le forme e per garantire l'esercizio ininterrotto di potere, nessuno può negare che l’aspetto più importante delle elezioni di domenica sia stato il tasso di astensione cresciuto al 45 per cento dal 36 per cento in gennaio e da 29 per cento nel 2009. In un paese di 10 milioni di elettori registrati, questo si traduce in circa quattro milioni di persone che non votano (che consente un margine di errore elevato nelle liste elettorali), o circa un milione e mezzo persone che hanno perso fiducia nel sistema politico dopo la crisi è iniziata. Quest’ultima cifra è paragonabile al numero di elettori che sostegno il governo negli ultimi anni.
Naturalmente non dobbiamo precipitarci a includere tutte quelle persone che per ragioni di autodeterminazione non votano, come fanno alcuni anarchici. Certo, una massa critica di persone si astiene dal voto perché percepisce la politica come un processo collettivo pratico, non come un cerimoniale di buste e schede elettorali, anche se, naturalmente, una cosa non esclude l’altra. Qui vogliamo notare che una vasta gamma di condizioni e di incentivi ha portato alla crescita della delusione nel sistema politico, con tutta una serie di problemi tra cui l’apatia, la debolezza, l’individualismo e la rassegnazione.
Il sistema politico non si preoccupa affatto di questa enorme massa di cittadini disillusi: nei limiti in cui rimangono a casa e non fanno parte di movimenti di protesta, gli astenuti non sono altro che una statistica. Al contrario, quelli che in realtà dovrebbero essere interessati a questa parte della popolazione sono i movimenti sociali e le correnti ideologiche che si sentono più vicine alla base, vale a dire i movimenti libertari e la sinistra extraparlamentare. Come possiamo rompere il muro di apatia e l’individualismo, e metterlo in collegamento con i desideri e le aspirazioni della popolazione disillusa, coltivare uno spirito collettivo, l’organizzazione sociale e la creatività, la voglia di cambiamento e l’emancipazione sociale?
L’inadeguatezza delle nostre pratiche politiche di lunga tradizione
Purtroppo, grandi pezzi di movimenti libertari e di sinistra sono più preoccupati per il mantenimento della loro identità che di connettersi con concittadini scontenti. Scriviamo e presentiamo le nostre comunicazioni oscure, fatte ad hoc per il consumo interno, ci aggrappiamo alla purezza ideologica e massimalista della nostra retorica; gridiamo slogan rabbiosi sventolando le nostre bandiere, chiamiamo “opportunisti” e “borghesi” tutti quei progetti che non soddisfano i nostri criteri, proviamo piacere quando abbiamo una manciata di manifestanti in più nelle nostre strade o quando i nostri partiti ricevono qualche migliaio di voti in più alle elezioni. Nel frattempo, milioni di persone là fuori sono affamate di cambiamento sociale, ma probabilmente bloccate in un’esistenza personale dentro la quale non capiscono la nostra lingua e i nostri messaggi, quindi non abbiamo modo di raggiungerli.
Mentre molti possono interpretare il 45 per cento di astensione come un rifiuto sano di riti inutili di democrazia rappresentativa può ben essere che l’astensione debba essere interpretata come un fallimento, o piuttosto come una catena di fallimenti: il fallimento di un sistema sociale nell’integrare gran parte della popolazione alla vita sociale generale; il fallimento di un sistema politico nel fornire mezzi efficaci per cambiare questo sistema sociale, il fallimento dei movimenti sociali e la ben definita “sinistra” nel creare una nuova capacità di immaginare la trasformazione di questo sistema politico.
Un’opportunità di riflessione
La politica di “non c’è alternativa” (Tina, There is no alternative) promossa dal nostro governo di sinistra certamente intensifica l’apatia. Tuttavia, una società per tanti anni sotto pressione non può che esplodere prima o poi. I movimenti sociali in Grecia hanno proposto notevoli risposte verso l’emancipazione negli ultimi anni, ma non sono riusciti ad articolare queste risposte in una voce coerente, una proposta per superare l'attuale situazione politica ed economica. Hanno idealizzato la frammentazione invece di trattare la questione dell’organizzazione politica, e quindi sono stati assimilati o emarginati dal progetto egemonico di Syriza.
Il nuovo ciclo di mobilitazione dovrebbe trovarci più pronti ad ascoltare e condividere, a lasciarci alle spalle la nostra identità e la nostra zona di comfort, abbandonando il nostro radicamento ideologico per trovare le basi per la cooperazione; a federalizzare i movimenti, le resistenze e le nostre organizzazioni in cerca di una voce comune per esprimere le nostre idee, per quanto complicato possa essere, con parole semplici e di uso quotidiano; a creare progetti che soddisfano le esigenze della maggioranza sociale che non crede più nelle soluzioni offerte dal sistema politico. In breve, dovrebbe trovarci pronti a creare aree di contatto giornaliere e a riconciliare i movimenti e la società in generale, a consentire la coesistenza di una vasta gamma di identità e di idee per i nostri spazi di vita, anche se questo sembra uno sconto sulla nostra purezza ideologica.
La vittoria di Pirro del pragmatismo di sinistra nelle elezioni domenica scorsa dovrebbe, insomma, essere l’occasione per un processo di auto-critica di riflessione all’interno di movimenti sociali e della più ampia “di sinistra”, sia in Grecia che in tutta Europa. Siamo di fronte a momenti difficili di resistenza e i movimenti, per quanto anche piccoli e insignificanti, sono l’unico potere antagonistico contro la barbarie capitalista.

Theodoros Karyotis è sociologo, partecipa ai movimenti sociali che promuovono una economia solidale autogestita e che difendono i beni comuni in Grecia.
Questo articolo, inviato dall'autore a Comune, è apparso nella versione originale suAutonomias.net, ed è stato tradotto da Francesca Coin per Commonware.org (che ringraziamo). Altri articoli di Theodoros Karyotis sono leggibili qui.

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