Amministrazioni Open, fuori i mercantiby benicomuni |
di Davide Lamanna e Chiara Moncada
E' attualmente in discussione, nelle affollatissime stanze del Parlamento, il decreto legge sulla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. La legge, che porta la firma di Renzi e dei ministri Padoan e Madia, pare avere una direzione definita e ben precisa, sia rispetto alla modalità di attuazione (tempistiche e procedure), sia in riferimento al suo eventuale inadempimento. A rendere innovativo il decreto, non è tanto l'oggetto in sé, vale a dire l'acquisizione di tecnologie Open nella Pubblica Amministrazione (PA), quanto il legame che viene stabilito tra l'oggetto della legge e la possibilità di nuove assunzioni a tempo indeterminato da parte delle PA. Queste infatti, in caso di mancata attuazione delle legge, non potranno assumere nuovo personale, se non con un contratto atipico.
Questo rigido veto, quasi anacronistico nel contesto sociale in cui viviamo, precario e caratterizzato sempre più fortemente dallo sgretolamento delle tutele dei lavoratori, potrebbe far nascere il sospetto di un piano ben architettato per dar man forte alla precarietà, legittimandola anche nella Pubblica Amministrazione. A pensar male... Ad ogni modo, il veto in questione porrebbe finalmente a livello nazionale e istituzionale l'urgenza e l'importanza della via Open e del Software Libero, opzione che avvicinerebbe l'Italia ad altri paesi europei, e renderebbe altresì più semplice e leggera l’organizzazione dei pubblici uffici, anche in conseguenza dei cambiamenti in atto nella società e nelle tecnologie disponibili.
Nel decreto legge, si presenta chiaramente l'iter che andrà seguito e implementato. Dopo una prima ricognizione che individua aspetti procedurali e uffici responsabili, si aprirà la fase più operativa, che prevede la completa dematerializzazione dei documenti amministrativi, la re-ingegnerizzazione dei procedimenti in relazione alle tecnologie disponibili, la programmazione dell'aggiornamento continuo del sistema così come del personale, l'utilizzo di software liberi per la cooperazione applicativa e l'interoperabilità dei sistemi informativi. Con la nuova direttiva e con l'assunzione di tecnologie Open Source, si alleggerirebbe in maniera considerevole la macchina burocratica. Si pensi ad esempio all'abbattimento del problema generato dalla diversità dei formati digitali, spesso incompatibili e dunque inutilizzabili.
Mentre la direzione dello sviluppo del Software Proprietario è appannaggio esclusivo del cosiddetto vendor, nel Software Libero è la comunità di utenti e sviluppatori, e dunque anche la stessa PA, ad indicarne la direzione, in base alle proprie reali e specifiche esigenze e non necessariamente a quelle di mercato, volte perlopiù all'aumento dei consumi piuttosto che della qualità. La disponibilità del codice sorgente, inoltre, permettelivelli di sicurezza e affidabilità praticamente impossibili per il Software Proprietario, in quanto rende possibile un maggiore controllo delle lacune e delle vulnerabilità da parte di una vasta rete di sviluppatori.
Il Software Libero, inoltre, evita il fenomeno del vendor lock-in, tipico del Software Proprietario, che non lascia la libertà al cliente di rivolgersi ad altri vendor, se non sostenendo ogni volta importanti costi di migrazione. Va da sé che quella del lock-in è una pratica scorretta, in quanto i suoi costi creano barriere al mercato e monopoli di fatto, senza considerare che incoraggiano la rendita a discapito dell'innovazione e dell'aggiornamento, elementi basilari nell'informatica.
Infine non possiamo non citare i costi. Anche se il Software Libero è una questione di libertà e non di prezzo, l'effettiva gratuità delle licenze d'uso è oggettivamente una prospettiva troppo attraente, specie in un periodo di crisi economica e di necessità di razionalizzazione della spesa.
Vi sono già numerose esperienze internazionali legate a migrazioni di grande successo, avvenute tra l'altro senza traumi sia per il personale addetto, sia per l'utenza, come quelle del governo Francese, della Regione di Valencia in Spagna o della città di Monaco di Baviera, che è passata addirittura da Windows a Linux server Debian e desktop Ubuntu. Questi esempi non solo dimostrano la fattibilità del cambiamento, ci parlano anche della capacità di un territorio di adeguarsi a regole e standard che mirano ad oliare e rendere più fluida ed efficiente la macchina burocratica e procedurale, a ridare un senso reale a quella democrazia, sostenibilità e tutela del territorio, di cui lo Stato, tramite i suoi uffici, dovrebbe farsi portavoce e rappresentante.
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