Quella notte a Bophalby Citta invisibile |
di Marino Calcinari
Nella notte tra il 2 e 3 dicembre del 1984 dallo stabilimento della Union Carbide di Bophal, in India, fuoruscirono 40 tonnellate di isocianato di metile che, spargendosi nell'aria, causarono la morte, pressochè istantanea di quasi 3.787 persone, lesionarono in modo grave e permanente altre 4.000, ne intossicarono altre 558mila.
L' isocianato di metile è un sale che si ottiene da da un radicale monovalente derivabile dal metano e che viene usato, anche nella fabbricazione di fitofarmaci , come la multinazionale statunitense era solita fare nello stabilimento che aveva impiantato nel 1969 nella capitale del Madhya Pradesh. Nel 1983 la fabbrica stava per essere dismessama 63 tonnellate di isocianato di metile erano rimaste in tre serbatoi sotterranei, poi la manutenzione fu sospesa, la refrigerazione delle vasche fu interrotta, la fiamma pilota della torre di combustione, cioè il sistema di sicurezza per bloccare eventuali fughe di gas contaminante fu spenta. A questo punto bastò che un po' d' acqua finendo nelle vasche si mescolasse con l' isocianato, cio' provocò calore che fece aumentare la pressione all'interno dei serbatoi formando nuvole di gas compatto; questo gas si espanse verso la torcia, la cui fiamma era spenta e tappata, così face aumentare la pressione fino alla rottura delle valvole e poi si diffuse libero nell' atmosfera, un vento di morte che si depositò sulle baracche dei quartieri poveri, di quegli stessi operai che sino a poco tempo prima avevano lavorato proprio in quella fabbrica.
Un disastro umano e ambientale di immani proporzioni e che purtroppo fa parte di una lista lunghissima ed infinita.
Ma oltre il ricordo di quanto è accaduto vale ed è necessaria la denuncia politica che costruisca un modello alternativo a questa barbarie. Abbiamo bisogno di un'alternativa alla mitologia del produttivismo ugualmente praticato e generalizzato ad est come ad ovest e che ci sta portando al disastro climatico ed ambientale. A causa della produzione di olio di palma l'Indonesia è divenuto il terzo paese al mondo per emissioni di gas serra, dopo Usa e Cina; l'Indonesia detiene il 10 per cento delle foreste pluviali, ma se fino a cinquant'anni fa esse ricoprivano l' 82 per cento del suo teritotrio oggi gliene restano appena il 48 per cento. A qualcuno importa delle conseguenze della deforestazione? Eppure è comprensibile che un modello del genere sia insostenibile ed antieconomico e che però dal punto di vista ambientale non vi sia stata nessuna seria politica di dismissione dei combustibili fossili è un dato preoccupante.
Dunque come si può sconfiggere o almeno contenere il cambiamento climatico (leggi anche Lezione indigena, a proposito dell'appuntamento a Lima di questi giorni, ndr), mettere un limite alle emissioni, invertire la tendenza al modello produttivista della old economy se non si affronta progettualmente il nodo di uno sviluppo alternativo cioè ecoambientale e compatibile? Noi pensiamo che progetti veri devono e possono costruirsi in un New Deal che affronti la cura del territorio, il suo riassetto idrogeologico (sul ruolo dei cittadini rispetto a questo tema ragiona qui Alberto Castagnola Cittadini e dissesto idrogeologico, ndr), la difesa delle aree agricole, bloccando lo sviluppo speculativo delle bioenergie, l'asservimento all' industria di trasformazione o il ricorso agli Ogm (uno splendido articolo su Crisi ambientale, clima e disuguaglianza lo ha scritto Silvia Ribeiro,ndr), come base di partenza per aggredire il nodo della programmazione delle politiche energetiche a livello europeo. I cui parametri non siano il consumo e il profitto ma innanzitutto la riproducibilità della natura, dunque le fonti di energia rinnovabile, le loro applicazioni concrete nell'edilizia, nei trasporti, nella stessa impresa manifatturiera, e poi l' accesso ai saperi ed alle tecnologie che veicolino anche un modello sociale più sostenibile e di relazioni non conflittuali o gerarchizzate.
Ora, se il 5 giugno è la Giornata mondiale dell'ambiente, avendo consapevolezza dell'importanza della memoria per comprendere gli sviluppi delle vicende umane, proponiamo di dedicare qui, di lanciare da Trieste*, magari in accordo con altre realtà, in Italia , la giornata del 3 dicembre , come monito e denuncia dei crimini e disastri ambientali. Crimini e disastri che in nome di un sedicente “progresso si sono compiuti. Qui ci limitiano a ribadire che la parola sviluppo non può essere impiegata per giustificare altre nefandezze e per perpetuare un modello che calpesta i diritti, le vite delle persone, l'ambiente, la crescita civile della società. Quando parliamo di conversione ecologica dell'economia non pensiamo ad utopie ma a progetti concreti di cambiamento di questo modello come quelli che ho accennato.
Non esiste una crescita infinita delle merci. Inoltre mai come oggi il perdurare della crisi rende evidente la stretta connessione tra ambiente, debito ecologico, giustizia ambientale, riconoscimento e tutela dei beni comuni e della vita. Già la vita: a Bophal, la Union Cardibe aveva offerto all'epoca un indennizzo di 600 milioni di dollari, per oltre mezzo milione di persone: circa cento dollari a testa. Anzi, con inconsueto tempismo ed ineffabile sensibilità per la tragedia che allora si compiva, nei giorni che seguirono l'International Businness Week, il più importante settimanale finanziario statunitense. così si era espresso su quella catastrofe ambientale e sociale: “Union Carbide fights for its life” (!) proprio così: la Union Carbide si batteva per la sua vita, cioè per Wall Street, perchè ieri come allora , contano molto di più milioni di dividendi vivi che non 4.000 persone morte, e mezzo milione di intossicate.
* Articolo preparato per un'assemblea sui temi ambientali promossa in Friuli Venezia Giulia
PER APPROFONDIRE
IN LIBRERIA
Mezzanotte e cinque a Bhopal (di Javier Moro e Dominique Lapierre): libro del 2001 edito in Italia nel 2003 da Mondadori
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