Schiavi nelle vigne: l’appello di Carlo Petrini
«La cooperazione è un principio e un modo di produrre nato per difendere i lavoratori e non per sfruttare i più deboli»
La nostra inchiesta sulla triste e vergognosa pratica di sfruttamento della manodopera nelle Langhe e nel Monferrato, La Repubblica ha voluto approfondire l’argomento dando voce ai produttori. Qui invece riportiamo l’appello di Carlo Petrini uscito a corredo dell’articolo.
È il momento che tutti i produttori piemontesi, figli di chi la fenogliana malora l’ha vissuta e sofferta in prima persona, alzino la voce per non rischiare che poche mele marce rovinino il lavoro di decenni di impegno, di sacrifici e di qualità e per dare dignità al lavoro che hanno saputo portare a valore su scala internazionale, grazie anche ai molti macedoni che li aiutano a fare grandi i vini della regione.
Per questo voglio fare un appello accorato a tre attori fondamentali della filiera enologica:
1) Ai produttori chiedo di prendere immediatamente una posizione forte contro lo scandalo del lavoro nero, che non può essere ammesso in nessun caso. Non soltanto per ovvi motivi etici, umani. Forse non si rendono conto che senza una giusta paga e i giusti contributi per chi lavora ci sono poche possibilità di garantire la qualità del prodotto. È illegale, ma anche controproducente.
2) Alle cooperative vorrei ricordare che la cooperazione è un principio e un modo di produrre nato per difendere i lavoratori e non per sfruttare i più deboli. Ho sempre lodato la fatica e la passione che le comunità macedoni hanno infuso nelle vigne piemontesi, per fare i prodotti simbolo della mia terra, è giusto che si siano conquistati i loro spazi, ma è proprio adesso che dovrebbero avere un occhio di riguardo nei confronti dei loro connazionali, non approfittarsi della loro posizione di forza.
3) Infine, ai consorzi chiedo di vigilare severamente e di dotare i propri soci degli strumenti adeguati per affrontare un mondo del lavoro che cambia e che non può essere approcciato con leggerezza o superficialità, per non dire in malafede. Occorre un controllo forte, perché se è vero che la gran parte dei loro costi va per la promozione e la comunicazione, per i viaggi all’estero, in realtà non c’è miglior marketing della cura del proprio territorio, il che significa qualità dell’intera filiera, ma soprattutto saper garantire una vita degna, una gratificazione anche minima, un benessere sacrosanto a chi lavora in vigna ogni giorno, tanto più a chi ne ha bisogno, perché magari a casa sua vive situazioni disperate.
Carlo Petrini
c.petrini@slowfood.it
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Da La Repubblica del 27 giugno
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