sabato 26 settembre 2015

Catalogna quale indipendenza?

La Catalogna e l'illusione dell'indipendenza

Pubblicato: Aggiornato: 
MONTSERRAT DOMINGUEZ CATALONIA
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Siamo onesti: le elezioni in Catalogna di domenica, 27 settembre, sono un evento eccezionale per il mix esplosivo di emozioni, dibattito pubblico e intensità che caratterizza la politica spagnola. Ma, detto questo, queste elezioni rappresenteranno davvero il primo passo verso una Catalogna indipendente? Difficilmente.
Il successo dei promotori del movimento per l'indipendenza è innegabile. Sono riusciti a imporre il loro progamma secessionista anche se, tradizionalmente, solo un terzo dei catalani lo sostiene. Come l'elefante di George Lakoff, l'indipendenza ha oscurato le abituali tensioni tra destra e sinistra, occupando tutta la scena politica. Anche il Presidente Mariano Rajoy, contrario alla separazione, si è ritrovato a discutere (in uno degli episodi più surreali della sua campagna) sul tipo di passaporto che i catalani dovrebbero avere in uno stato indipendente.
Domenica, cinque milioni e mezzo di catalani sono chiamati ad esprimere il loro voto nell'undicesima elezione per il parlamento Catalano, dal ripristino della democrazia in Spagna (è la terza votazione in 5 anni). La differenza con le precedenti è rappresentata dalla svolta secessionista, guidata da Convergencia Democratica de Catalunya (CDC), il partito egemone e dal fatto che, questa volta, le elezioni sono considerate un plebiscito (la Magna Carta spagnola, come la maggior parte delle costituzioni europee, non prevede referendum sull'autodeterminazione).
L'ombra della Scozia sembra essersi allungata fin qui: "Se un anno fa Londra ha accettato che il popolo scozzese potesse decidere se continuare a far parte del Regno Unito o meno, perché non possiamo fare lo stesso?", è la domanda dei catalani. E, dopo aver trasformato queste elezioni (regionali) in un plebiscito, adesso stanno cercando di aprire una breccia nel solido sistema legale spagnolo.
I sostenitori dell'indipendenza affermano che, conquistando la maggioranza dei seggi in parlamento, saranno in grado di avviare un processo che porterà ad una nazione catalana, nel giro di un anno e mezzo. Ma se il voto popolare per la secessione non raggiungesse il 50%, sarebbe democraticamente legittimo continuare su quella strada? Non lo sarebbe stato per la Scozia o il Quebec, i due casi più recenti. La maggior parte dei sondaggi rivela un'assoluta maggioranza dell'indipedenza in termini di seggi in parlamento, ma non nel voto popolare.
Gli esperti in opinione pubblica sembrano non avere le idee ben chiare su queste elezioni. Tradizionalmente, le elezioni regionali non attirano particolarmente gli elettori meno nazionalisti. Eppure oggi, sono proprio loro ad essere sotto i riflettori. Sono circa un milione, perlopiù di origine non catalana, e sono in grado di ribaltare tutte le previsioni.
catalonia independenceUna protesta per l'indipendenza della Catalogna
Sul fronte unionista, emergono due forze: il partito centrista Ciutadans e Podemos, partito di sinistra, in coalizione con altre formazioni. Inoltre, c'è anche una piccola parte del partito socialista e il conservatore PP, partito poplare che, nonostante si sia imposto sulla Spagna con una maggioranza assoluta, non ha mai raccolto più del 13% dei voti catalani. Nessuna di queste forze ha un leader indiscusso e le loro differenze ideologiche rappresentano un handicap quando cercano di presentarsi come un fronte omogeneo.
Nel frattempo, il fronte secessionista (Junts Pel Si) si presenta come una coalizione solida tra conservatori e sinistra repubblicana (ERC), che è anche sostenuta da movimenti civili per l'indipendenza e da personaggi pubblici molto noti come l'ex allenatore del Barcelona FC, Pep Guardiola. Una della peculiarità di questa campagna è che il presidente della Catalogna, Artur Mas, è attualmente quarto nella lista della sua coalizione. Questo significa che non è tenuto a prendere parte ai pubblici dibattiti o a rispondere per le azioni intraprese dal suo governo negli ultimi tre anni. Ma c'è un ulteriore motivo d'incertezza: per ottenere la maggioranza in Parlamento, i secessionisti hanno bisogno del supporto della "Candidatura di unità popolare" (CUP, in sigla) un partito esponente della sinistra radicale che si oppone al capitalismo, alla NATO e all'UE e che ha dichiarato che non sosterrà un governo guidato da Artur Mas. E' proprio qui che si riscontra tutta le debolezza di una candidatura pro-indipendenza caratterizzata da una tale differenza di opinioni. Dopo le elezioni, come riusciranno questi attori politici così eterogenei a formare un governo che non assomigli ad una trovata dei fratelli Marx?
La Catalogna, sia culturalmente che socialmente, è uno dei motori della Spagna. Anche economicamente: con 7,5 milioni di persone, rappresenta il 18% del prodotto interno lordo nazionale. Dunque, come altre aree ricche come Madrid e le isole Baleari, contribuisce con le tasse al miglioramento delle condizioni economiche nelle zone meno sviluppate. E questo è uno dei punti critici: la Catalagona chiede un miglior trattamento fiscale, simile a quello adottato in altre comunità come i Paesi Baschi e la Navarra, e una maggiore autodeterminazione per gestire le tasse e prendere decisioni su investimenti imponenti ed in materia di infrastrutture.
A stupire è il modo in cui una rimostranza legittima si sia trasformata in un "casus belli"contro la Spagna. L'inattitudine politica del presidente Rajoy ha dato impulso all'orientamento massimalista, portando alla situazione attuale. "Non è possibile confrontarci con la Spagna. Dobbiamo uscirne", gridano. In questi giorni, i leader del partito popolare riconoscono la mancanza di flessibilità politica del governo, ma la giustificano appellandosi alle difficoltà economiche che la Spagna ha vissuto negli ultimi anni.
È vero che la crisi è un fattore imprescindibile per capire questa situazione. Il governo conservatore della Catalogna, che ha operato gli stessi tagli del governo nazionale all'istruzione, all'assistenza sanitaria ed ai servizi sociali, è passato indenne attraverso l'ira dei cittadini scaricando tutta la responsabilità delle misure di austerità sul governo centrale. Mentre negli altri paesi europei i movimenti nazionalisti e populisti hanno approfittato della crisi per sfruttare a loro vantaggio sentimenti xenofobi, antisemiti, o anti-islamici, per la Catalogna la colpa è ricaduta sul governo spagnolo. Il famigerato slogan "La Spagna ci sta derubando" ha lasciato il segno sulla popolazione catalana, persuasa che una Catalogna indipendentee, una volta libera dall'obbligo di "dover dare" ad altre regioni spagnole, possa essere più ricca e prospera.
In ultima istanza, dobbiamo analizzare un altro aspetto della vicenda: i sentimenti. In particolare uno, la disaffezione. Una delle metafore utilizzate dai sostenitori dell'indipendenza dice che una coppia non può stare insieme quando uno dei due partner non vuole più. Ciò che è vero (e anche preoccupante) è che molti catalani si sono già separati emotivamente dalla Spagna e dai suoi simboli. Inoltre, si sentono colpiti dai dubbi sollevati dal Partito Popolare per quanto riguarda l'insegnamento del catalano, lingua antica e bellissima insegnata in tutte le scuole della Catalogna, che convive pacificamente con lo spagnolo nelle città e nelle piazze.
Il dibattito ha raggiunto un altro livello. I secessionisti non amano ascoltare gli avvertimenti di David Cameron e Angela Merkel sull'esclusione automatica della Catalogna indipendente dall'UE, secondo gli accordi vigenti. E non ascoltano neanche Barack Obama quando fa appello ad una Spagna "forte e unita". Vedono come una minaccia il fatto che le banche con sede a Barcellona stiano contempleando la possibilità di lasciare per continuare a lavorare con l'euro, sotto l'egida di Francoforte e della Banca Centrale Europea. Ma, paradossalmente, sono sicuri che troveranno la formula magica che permetterà al Barça di continuare a giocare (e a vincere) nel campionato di calcio spagnolo.
Stranamente, solo il 20% dei catalani, stando ad alcuni sondaggi, crede che tutto questo si concluderà con l'indipendenza. Molti voteranno per la scissione, ma solo per sostenere il governo catalano nelle sue negoziazioni con lo stato centrale. Per farlo, devono aspettare il secondo atto: le elezioni generali di dicembre, il cui risultato è ancora incerto. Se Rajoy vincesse di nuovo, il campo per le negoziazioni verrebbe ristretto.
Alcuni difendono una terza soluzione (un accordo che aggiorni, riformi e reinterpreti la costituzione spagnola, per far sì che vada incontro alle rimostranze catalane) ma la loro voce resta inascoltata, nella confusione delle tonanti affermazioni dei sostenitori dell'indipendenza, da un lato, e dei tenaci difensori del governo, dall'altro.
Per me, nata a Madrid, figlia e nipote di catalani, da sempre stati orgogliosi del loro "seny" (una parola catalana che significa correttezza e temperanza) è impossibile pensare ad una strada che si discosti dal dialogo, dalla politica nella sua forma più pura. Ci sono alternative di fronte a chi annuncia ed esalta scenari giubilanti o apocalittici. Il 21° secolo ci ha messo di fronte a sfide enormi: catalani, spagnoli, europei... tutti noi abbiamo bisogno di unire le forze. È molto meglio affrontare le sfide insieme.
Montserrat Domínguez è la direttrice editoriale di HuffPost Spagna

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