È da tempo che migliaia di esseri umani di paesi distrutti si mettono in moto seguendo la speranza di una vita migliore e, nel caso dei profughi, semplicemente di rimanere vivi per poter ricominciare. Una volta abbandonata casa e terra natale, i rifugiati hanno solo se stessi - la loro esperienza, educazione, abilità, sogni e incubi vissuti - oltre i pochi averi che normalmente possono portare con sé. Ma hanno innanzitutto fiducia nella solidarietà umana e tendono le mani aspettando che altre mani li aiutino a ritrovare la sicurezza e la possibilità di ripartire, di ricostruire una nuova vita, specialmente per i più piccoli e vulnerabili.
Nell'epoca della comunicazione globale il flusso continuo di immagini fortissime di disperazione, determinazione, e l'inaccettabile morte di bambini, donne e uomini, ha messo il continente più ricco del pianeta di fronte ad un forte problema di coscienza, ma offerto anche un'opportunità di crescita economica e demografica lungimirante. Fortunatamente le due cose messe insieme hanno forzato un ripensamento e prodotto un cambio di attitudine nei paesi leader in Europa, a partire dalla svolta della Germania di Angela Merkel. Il risultato è stato un cambio decisivo verso un percorso più solidale e lungimirante.
È stata la terribile immagine del corpo senza vita del piccolo Aylan a servire da detonatore per una reazione di vergogna e solidarietà da parte dell'opinione pubblica e della politica della maggioranza dei paesi europei. Fino ad allora aveva vinto la paura, stimolata da settori politici xenofobi e opportunisti in un momento di gravi difficoltà economiche per molti. Non è detto che questo non possa cambiare nuovamente, perché senza una leadership forte e determinata, insieme a misure concrete rapide ed efficaci, c'è una grande volatilità e incertezza nella sfera politica. La speranza è che il dibattito dell'ultimo periodo si sia definitivamente mosso verso basi più ragionevoli e ragionate, che evidenzino e rinforzino sia il valore morale sia il valore economico di essere solidali con i profughi del nostro tempo.
La mia esperienza personale di rifugiato cileno nella Gran Bretagna negli anni settanta mi ricorda un sistema che facilitava un percorso relativamente rapido verso l'autonomia. Innanzitutto tutti i rifugiati avevano diritto ai benefici del sistema di welfare britannico, e pertanto a un reddito minimo familiare mentre studiavano la lingua. Inoltre quelli che hanno voluto studiare carriere vocazionali o universitarie hanno potuto accedere a borse di studio. I rifugiati cileni sono stati accolti inizialmente da famiglie britanniche; il tempo dell'ospitalità però, per quelli che hanno voluto vivere da soli, è stato breve, perché l'autonomia economica e i servizi sociali permettevano di trovare una casa e costruirsi una vita indipendente. Cosi i rifugiati quasi immediatamente non rappresentavano più un vero costo economico per le famiglie ospitanti.
La cosa importante è che queste opportunità erano parte integrante del sistema di welfare e pertanto aperte anche ai cittadini britannici. Certo, il numero di rifugiati cileni era limitato, circa 3.000, ma allora c'erano anche rifugiati dall'Iran, dalla Grecia, dal Vietnam.
Guardando all'Italia, credo che la mancanza di un sistema di welfare per tutti certamente crea difficoltà che è importante capire per anticipare misure appropriate. La prima difficoltà che io vedo è che gran parte dei fondi dedicati ai rifugiati non arriva direttamente a loro, così si trovano con poco spazio economico per sviluppare velocemente la propria autonomia. Inoltre credo che un'altra difficoltà sia che i cittadini italiani senza lavoro e senza accesso a un reddito di welfare universale si sentono discriminati e minacciati nella loro possibilità di una vita migliore. In questo senso la crisi umanitaria può rappresentare un'opportunità per riflettere e disegnare una politica di welfare universale lungimirante, non solo per facilitare l'accoglienza e l'integrazione dei profughi, ma anche per facilitare la flessibilità del mercato del lavoro italiano, offrendo una concreta possibilità di cambiamento senza la paura dell'abbandono.
Nel lungo termine la vera soluzione al problema umanitario sta nel fermare le guerre e lavorare per lo sviluppo economico di quelle aree. Questo richiede un accordo geopolitico tra le grandi potenze, oltre che massici interventi economici per un lungo periodo per recuperare la pace, ricostruire le istituzioni e tutto il tessuto sociale andato perduto. Certamente cercare di fermare gli scafisti è un passo in avanti, ma lontano da ciò che tutti sanno che deve accadere per fare di nuovo di quelle terre luoghi piacevoli dove vivere e far crescere i propri figli e nipoti.
E stiamo anche parlando di nuovi processi d'innovazione sociali, territoriali, culturali, ed economici, dove le tecnologie, in particolare le tecnologie digitali, saranno al centro della sfida. Anche oggi, nel mezzo dell'emergenza, vediamo come le tecnologie digitali, i telefonini, stanno aiutando i profughi non solo a rimanere in contatto con le famiglie ma anche a poter accedere a notizie e informazioni che gli permettono di monitorare l'umore delle opinioni pubbliche e muoversi in una forma più consapevole.
Come ha detto Anthony Giddens i profughi siriani più giovani ed educati che emigrano con il telefonino sono l'avanguardia di un 'migrante globale' che fa un uso strategico della tecnologia digitale. Certo, non tutti i profughi hanno dimestichezza tecnologica e questa è una debolezza, perché avere una consapevolezza strategica è cruciale per i movimenti dei profughi, particolarmente in un momento nel qual si aprono e chiudono frontiere in forma abbastanza arbitraria, ignorando che l'asilo è un diritto umano fondamentale.
Le tecnologie digitali sono anche un vantaggio per le autorità impegnate nel dare una risposta solidale al problema umanitario, perché offrono un canale di comunicazione per far arrivare informazioni rilevanti ai profughi in movimento. Una volta accettata la distribuzione dei profughi, la tecnologia digitale dovrebbe anche facilitare i processi e il coordinamento dell'iniziativa a livello europeo, un elemento fondamentale per evitare confusioni che possono ritardare l'accoglienza e dare forza alle attività di opposizione xenofoba. La tecnologia ha anche un ruolo fondamentale nel mantenere la sicurezza della popolazione dei paesi europei davanti alle minacce di atti di terrorismo che possono essere utilizzati per cercar di colpevolizzare e stimolare la paura davanti a tutti i profughi.
Una volta che l'accoglienza dell'emergenza sarà compiuta e i riflettori si saranno spenti, per quelli che ce l'avranno fatta a diventare rifugiati, arriverà la sfida dell'integrazione nella società accogliente. Le opportunità di studiare la lingua, i diritti e doveri costituzionali, un mestiere, una professione, e finalmente di lavorare, sono determinanti per l'integrazione.
Qui nuovamente le tecnologie digitali giocano un ruolo centrale nell'espandere le opportunità, sia per studiare, accedendo a contenuti, corsi, e forme di apprendimento a livello locale e globale, sia per lavorare, in vista del crescente contenuto digitale di tanti lavori esistenti, nonché di quelli nuovi che stanno emergendo costantemente.
La conoscenza di tecnologie digitali giocherà un ruolo importante nella capacità dei rifugiati di contribuire al benessere dei paesi accoglienti come lavoratori, professionisti e imprenditori. È un fattore al quale i paesi accoglienti devono prestare attenzione.
L'Italia e l'Europa unite hanno le condizioni materiali per rispondere alla più grande crisi umanitaria del nostro tempo. La sfida non è facile e richiede una visione lungimirante ed una forte volontà politica per portala avanti con determinazione. È una sfida che tocca il passato, presente e futuro della Unione europea, e per questo diventa una grande opportunità per far fare al continente e ai suoi cittadini un salto in avanti nel percorso verso un'umanità migliore.
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