Riforma Senato, accordo e così sia. Vasco Errani, "fratello" di Bersani, il grande artefice dell'accordo Renzi. E ora potrebbe entrare al governo. Senatori in subbuglio
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È dal cuore della Romagna, più che da palazzo Madama, che arriva l’accordo sul Senato. Precisamente dal lavoro diplomatico di colui che Pier Luigi Bersani considera, prima ancora che il suo più alto in grado, “un fratello”, ovvero Vasco Errani. Anzi, “mio fratello”, così lo chiama. È con l’ex governatore che il premier, in questi giorni, ha avuto contatti, mentre con “Pier Luigi” i rapporti sono segnali da un certo gelo.
Ed è soprattutto con l’ex governatore che si è discusso della soluzione che sarà messa nero su bianco nei prossimi giorni e tradotta in emendamenti, il metodo Tatarella o come si chiamerà. E che ha consentito una direzione del Pd senza strappi. Detta così, potrebbe sembrare la più classica delle trattative, col fedelissimo che prende in mano la situazione su mandato del capo. In verità, si tratta di una svolta profonda nel mondo della Ditta e nei rapporti con Renzi, maturata assieme, tra le perplessità di Bersani e i due pacchetti di sigarette al giorno di Errani. Il patto col cuore della Romagna, a sentire quelli attorno al premier, avrà anche effetti di stabilizzazione sul governo (e anche sul partito). Sancisce una nuova fase del Pd. Al netto di come diavolo sarà scritto l'emendamento, quelli che parlavano di "torsione autoritaria", più che una tregua hanno siglato una resa.
E il primo effetto è il malessere che serpeggia tra le truppe bersaniane in Senato. Perché la Ditta, o ciò che resta della Ditta, non è un monolite compatto. Proprio mentre Bersani, da Modena, loda la significativa apertura del premier, i senatori tengono alta l’asticella (e con essa le perplessità): “Nella proposta illustrata da Renzi alla Direzione – dice Federico Fornaro - non si capisce se i senatori-consiglieri sarebbero scelti dai cittadini con una indicazione vincolante per il Consiglio Regionale oppure quest’ultimo manterrebbe un potere discrezionale di modifica delle scelte degli elettori?”.
Ecco che, dei trenta senatori, al momento una decina sono perplessi per un’intesa che appare poco chiara e passata sopra la loro testa. E per capire quando la decisione assomigli a un terremoto bastava ascoltare il giro di telefonate di Maurizio Migliavacca e Gotor che, ancora prima di Bersani domenica sera a Bologna, ripetevano “stavolta andiamo fino in fondo”. Per non parlare di Massimo Mucchetti, tra i più duri. E qui la trama del film torna alla Romagna dove, pallottoliere alla mano, Errani si è convinto che la conta sarebbe stata un errore fatale e andava fino in fondo nella trattativa: “Rischiamo di essere irrilevanti – il senso del suo ragionamento – e in più ci mettiamo nella posizione del bersaglio, consentendo a Renzi di dire: ecco i frenatori, quelli che non vogliono fare le cose”. È l’irrilevanza politica il perno del ragionamento. Che porta alla ricerca di una via d’uscita per salvare anche la faccia: “Intestati la tregua, così la riforma sarà di Renzi ma anche tua, se invece passa comunque coi voti di Verdini a quale punto che succede?” hanno ripetuto in parecchi a Bersani. In fondo, ma neanche tanto, con l’accordo resta pur sempre l’ex segretario l’interlocutore del premier, restando al centro del gioco. E, ancora una volta, nella Ditta si rinvia la “rottamazione”.
Ma c’è, nel ragionamento dei vecchi leoni, anche dell’altro. Non è un mistero che più volte si è discusso di un incarico di governo a Errani. Incarico che più volte Bersani ha stoppato col consenso del “fratello”. Ora attorno alla questione, c’è un clima più possibilista. E si tratta di un incarico di peso, non certo il posto di vice della Guidi o di ministro delle Regioni (senza portafoglio): “Se Vasco entra – dice chi lo conosce bene – va a fare il sottosegretario a palazzo Chigi, nel senso che deve avere deleghe vere…”. Anche perché Errani ha voglia di tornare sulla scena che conta. Per la prima volta dopo mesi di silenzio è tornato anche a concedere delle interviste pubbliche, sia a Ravenna sia a Bologna. Ed è un po’ che sta fermo, né ha intenzione di dedicarsi al partito dove Renzi porterà l’odiato Bonaccini (agli enti locali). Il problema sono i senatori. Nella Ditta oltre ai sospetti sull’accordo, circola un bel po’ di veleno: “Martina si blindò al governo portando a Renzi la legge elettorale, il Senato porta a Errani. E noi?”.
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