Parola dei figli del guaranà
Se lo sfruttamento dell’Amazzonia rappresenta appena poco più del 5% del Pil del Brasile, è su questa parte di territorio che si giocano interessi per l’ambiente che vanno ben al di là delle frontiere del paese. Come un polmone per il pianeta, la foresta amazzonica svolge, in effetti, un ruolo cruciale nella regolazione di alcuni scambi gassosi che limitano l’effetto serra. Inoltre, è anche una delle più grandi riserve mondiali di biodiversità animale e vegetale. Infine, è il rifugio di molte popolazioni amerinde, alcune delle quali sono minacciate di estinzione a causa della deforestazione, della colonizzazione e dello sviluppo economico dell’area.
Legato solo marginalmente allo sfruttamento della foresta, il disboscamento dell’Amazzonia brasiliana deriva soprattutto dalla forte crescita dei mercati della soia e della carne bovina. Dall’altra parte, sono sempre più numerose le voci di quanti si schierano per la salvaguardia della foresta amazzonica, una scelta di importanza vitale non solo per il Brasile stesso, ma per tutto il pianeta. Come fare a riconciliare interessi economici ed ecologici ancora divergenti?
Una soluzione possibile la indicano i progetti sostenuti da Slow Food su due prodotti simbolo degli indios Sateré-Mawé: il guaranà e il miele delle api canudo. Di questo, si parlerà a Expo il 20 settembre in un simposio organizzato presso l’auditorium del padiglione brasiliano, dalle 11,30 alle 17. Insieme a esponenti del popolo Sateré-Mawé impareremo a comprendere come nella foresta amazzonica ci sia un giardino che saprebbe alimentare tutto il mondo, se solo se ne facesse un uso lungimirante.
Secondo il mito, i Mawé discendono da un bambino ucciso e risorto, il cui occhio, sepolto come un seme, rinacque nella prima pianta di guaranà. Il guaranà – waraná in lingua indigena, che significa “l’inizio di ogni conoscenza” – è coltivato da secoli nell’Amazzonia brasiliana, nell’area tra i fiumi Tapajós e Madeira, laddove gli indios Mawé si spostavano disseminando nelle foreste ancestrali una specie vegetale con la quale vivevano in simbiosi: una liana classificata nel secolo XVIII, dal botanico Christian Franz Paullini, comePaullinia cupana, varietàSorbilis. Nel cuore di questa vasta area, una piccola regione di 8000 km2 intorno alle sorgenti dei fiumi Andirà e Márau costituisce oggi la “terra indigena” che i suoi abitanti chiamano «santuario ecologico e culturale del waranà dei Sateré-Mawé». Dai semi di questa liana selvatica si ricava una polvere che, secondo l’uso rituale viene sciolta nell’acqua, ma ogni impiego gastronomico è lecito. Con l’estratto si fanno sciroppi e bevande. Il waranà è la base della cultura religiosa dei Mawé, con una funzione analoga a quella del vino nella società e nella liturgia cristiana.
Il Presidio del guaranà raccoglie circa 10.000 persone distribuite in 100 villaggi e organizzate in un consorzio. L’obiettivo è la tutela dell’autentico guaranà nativo, prodotto nella sua terra d’elezione dagli antichi selezionatori della specie, scopritori delle sue virtù, inventori delle tecniche più appropriate di coltivazione e trasformazione, maestri nell’arte del suo rispettoso consumo. Oltre a preservare la cultura e la scienza del popolo dei “figli del waraná”, il Presidio si batte anche per tutelare la sopravvivenza di una specie che rischia un radicale impoverimento genetico, minacciata com’è dalle multinazionali che pretendono di imporre una monocoltura di tipo industriale.
Strettamente interconnessa al guaranà è la produzione del miele di api native, come attesta, anche in questo caso, un mito indio. Quando Anumaré Hit salì in cielo, trasformato in sole, invitò la sorella Uniawamoni a seguirlo. La donna tentennò, ma poi scelse di restare sulla terra sotto forma di ape per prendersi cura, con i Sateré-Mawé, delle foreste sacre del guaranà.
Al mondo esistono circa 20.000 specie di api. Tra quelle che formano delle colonie, da 300 a 400 non possiedono il pungiglione e sono riunite nel genere melipone. Di queste 200 vivono in Brasile, nell’area amazzonica. Queste api sono responsabili dell’impollinazione dell’80% degli alberi nativi della foresta amazzonica, contribuendo quindi a mantenere la diversità delle piante – come l’açai, il caju, l’urucu, il waraná e altre ancora – e degli animali che popolano la foresta. Il miele prodotto dalla razza di api canudo è tra i più apprezzati: per caratteristiche di composizione in Europa si chiamerebbe nettare e possiede un sapore intenso e fruttato. Obiettivo del Presidio consiste nel trasformare gradualmente questa produzione – perlopiù destinata al consumo comunitario – in una nuova risorsa economica per i Sateré-Mawé.
Più i prodotti derivati dalla foresta acquisiranno valore, più ne perderanno le terre disboscate. La socio-biodiversità della foresta nativa abitata è davvero un’alternativa possibile al deserto delle monocolture.
a cura di Silvia Ceriani
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