domenica 30 novembre 2014

la resistenza delle lavandaie


L’arte della resistenza delle lavandaie

by Citta invisibile
lav
Foto tratta da faronotizie.it

Nelle strutture di dominio su larga scala i subordinati hanno comunque una vita sociale piuttosto intensa che si svolge fuori del controllo diretto del dominante. È in questi ambienti separati che, in linea di principio, può prendere forma una critica comune della dominazione
di Simonetta Balestri e Gabriella Bini
Le prime lavandaie erano costrette a lavare i panni nel fiume, in ginocchio, alle intemperie, sotto il sole e spesso al freddo. Nel 1897 fu costruito il primo lavatoio pubblico: si trattava di una costruzione coperta e le vasche permettevano alle donne di stare in piedi per lavare i panni. Gli strumenti del mestiere erano tanti: il sapone solido a pezzi, la cenere di legna, la tavola da lavare, il colatoio, la conca e tanti altri. Il sapone veniva usato insieme all’acqua per lavare e pulire i panni, ma, una volta asciugati, questi dovevano essere sbiancati. Per farlo era necessaria la cenere e tutto un processo che, grazie alle foglie di alloro, rendeva i panni anche profumati. (Enzo C. Delli Quadri)

Elaborato di Simonetta Balestri e Gabriella Bini (con piccoli adattamenti)
La lavatrice moderna, inventata negli Stati Uniti nel 1906, assemblando un mastello di legno con una pompa da giardino, modificata nel 1930 dall’industria Miele, ancora attiva nel campo degli elettrodomestici, variando il primo movimento sussultorio continuo, in movimento ondulatorio circolare e reversibile, arrivò in Italia per la prima volta, nell’aspetto e con la tecnologia simile a quella che conosciamo oggi, nel 1946, alla fiera di Milano. 
All’inizio fu scambiata per una macchina per montare la panna a causa della grande quantità di schiuma che produceva, poi, con grandi difficoltà, dovute soprattutto alle scarse disponibilità economiche delle famiglie di allora e alla diffidenza delle donne verso qualunque dispositivo che sostituisse le loro abilità manuali, cominciò lentamente a diffondersi alla fine degli anni ’50, sostituendo così un antichissimo mestiere, quasi esclusivamente femminile, quello delle lavandaie.
mars
Sapone di Marsiglia
Il loro mestiere, duro e scarsamente remunerativo, si articolava in tre figure distinte.Le lavandaie di fiume che esercitavano il loro mestiere principalmente lungo i torrenti. 
Le lavandaie a domicilio che si recavano presso le famiglie che richiedevano i loro servigi. Infine, più comuni e più conosciute, erano le lavandaie che esercitavano il loro mestiere nei lavatoi pubblici. 
Ogni borgo ha o ha avuto il suo lavatoio. 
Pochissimi uomini esercitavano il mestiere di lavandai.
 Il duro mestiere di lavandaia era appannaggio femminile quasi esclusivo ed era riservato soprattutto alle donne sole: madri nubili, zitelle, vedove di guerra o del lavoro. Gli uomini di casa, padri, fratelli o mariti che fossero, infatti, generalmente non permettevano che le proprie donne mettessero le mani nei panni sporchi altrui, a meno che i pochi soldi guadagnati dalle donne non fossero indispensabili alla sopravvivenza della famiglia. 
I panni sporchi, raccolti presso le case signorili dalle stesse lavandaie, venivano trasportati al lavatoio sulle forti spalle delle donne, dentro sacchi di iuta contrassegnati da nastrini colorati (un colore per ogni famiglia proprietaria).  A nulla sarebbe valso infatti scrivere sui sacchi stessi nomi e cognomi, le lavandaie erano per la stragrande maggioranza analfabete!
La pulizia dei panni veniva eseguita con detergenti diversi. Il più comune ed anche il meno costoso era il cosiddetto ranno, usato per sgrassare, ottenuto con il filtraggio dell’acqua calda attraverso la cenere di legno chiaro, sostenuta da un vecchio lenzuolo preferibilmente di lino. A tale proposito spesso nei lavatoi si trovava un focolare sul quale veniva sospeso un enorme paiolo per riscaldare l’acqua.
 Più tardi la funzione sgrassante del lavaggio fu affidata all’uso della soda, nome commerciale del carbonato sodico, ottenuto dal cloruro di sodio anidro.
 Altri detergenti erano la lisciva o liscivia, soluzione a media concentrazione di idrati e carbonati alcalini, usata per lavare e imbiancare; la varecchina, detta candeggina o acquetta, soluzione di ipoclorito sodico, usata per smacchiare; talvolta per rendere più efficace l’azione sgrassante del ranno venivano aggiunti gusci d’uova tritati; nel primo risciacquo dei tessuti bianchi, si aggiungeva l’indaco,  soluzione acquosa di materia colorante azzurra, ottenuta dalla macerazione di piante indigofere; nei risciacqui seguenti venivano aggiunti spigo, lavanda, steli di alloro o rosmarino come profumatori.
 In tempi più recenti si affermò l’uso del sapone in pezzi o liquidato. Il più famoso è sicuramente il sapone di Marsiglia, denominato così dalla città francese in cui si trovava la maggiore produzione.
 Alla composizione tipo di oli e grassi vegetali in proporzioni variabili, venivano aggiunte spesso altre sostanze che ne cambiavano l’aspetto e la destinazione d’uso: gli ossidi ferrosi per ottenere il marmorato rosso adatto a lavare capi pesanti e molto sporchi; il marmorato verde o blu, ottenuto aggiungendo ossidi di rame e di piombo, reclamizzato dalle case produttrici con la dicitura “Lava anche con l’acqua di mare”;  il sapone liquidato, più adatto a capi delicati, era ottenuto sciogliendo in acqua scaglie di sapone solido grattugiato.
Il vecchio lavatoio di Condove (Torino)
L’abbigliamento povero delle lavandaie aveva due segni distintivi molto particolari: il fazzoletto a doppia punta, legato sul capo, che si dice derivi da una antica rivendicazione di un fazzoletto di terra, a loro promesso da un signorotto nel XIII secolo e mai concesso; le lunghe gonne con  l’orlo  rialzato e infilato nella cintura, precauzione necessaria per evitare che si inzuppassero, che si dice abbiamo ispirato i costumi e i movimenti del can can.
La pesantezza del lavoro era in parte alleviata dal fatto che il lavatoio era uno dei pochi luoghi di aggregazione femminile nel quale le donne potevano andare senza essere accompagnate, là ci si ritrovava, si scambiavano ricette, consigli e pettegolezzi, si partecipava alle gioie e alle disgrazie delle altre e si condividevano le proprie, si cantavano canzoni nostalgiche e patriottiche, strambotti ironici e amorosi, stornelli satirici e a dispetto, si tramandavano storie e racconti di vita, si rideva e talvolta si litigava in modo così violento da far correre le guardie di città, si rifletteva sulla propria disgraziata condizione e su quella altrettanto precaria di molte altre donneIn questi luoghi di aggregazione sono nate e si sono diffuse ed affermate le prime rivendicazioni dei diritti femminili; questa è una delle ragioni per le quali gli antichi lavatoi dovrebbero essere conosciuti, tutelati ed apprezzati come siti storici, secondo le direttive emanate anche dall’Unione Europea.
Liberamente tratto da un elaborato di Simonetta Balestri e Gabriella Bini, pubblicato sucomune.livorno.it e rilanciato da altosannio.it.

Nessun commento:

Posta un commento