Africa-cartinaHa certamente ragione il Presidente Barack Obama quando, nelle sue missioni ufficiali in Kenya,Nigeria o altri paesi africani, chiede che siano riconosciuti e protetti i diritti delle persone Lgbt e che siano abrogate le leggi che criminalizzano l’omosessualità e le persone transgender.
Il diritto internazionale dei diritti umani prevede in effetti che a tutti siano riconosciuti gli stessi diritti e libertà, compresi i diritti alla vita, alla sicurezza della persona ed alla vita privata, il diritto di non subire torture, arresti e detenzioni arbitrari, il diritto alla libertà d’espressione e i diritti d’associazione e manifestazione, senza discriminazioni e distinzioni di sorta, che siano fondate su criteri di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di qualsiasi altra condizione.
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Malgrado ciò, secondo le stime dell’International Gay and Lesbian Association, sono ancora38 i paesi africani che criminalizzano le attività sessuali tra persone dello stesso sesso, e sono molti oggi in Africa a credere che l’omosessualità sia un’importazione coloniale, del tutto estranea alla cultura africana e sconosciuta in Africa prima dell’arrivo dei bianchi.
E benché Obama rimanga in generale amato e rispettato in Africa, in pochi hanno apprezzato la sua difesa dei diritti degli omosessuali, ed al contrario sono stati numerosi sui social media gli internauti africani che si sono chiesti per quale motivo e da che pulpito il primo Presidente americano figlio di un africano sia venuto a preoccuparsi dei diritti Lgbt in Africa, invece di fare qualcosa per quelli dei neri negli Usa, dove oltre 300 afro-americani sono stati sommariamente uccisi dalla polizia dall’inizio di quest’anno (623 a fine 2014) e dove i neri, che sono solo il 12,5 per cento della popolazione americana costituiscono però il 60 per cento della popolazione carceraria ed il 41 per cento dei condannati a morte.
Ma che l’America non sia sempre un modello in materia di diritti umani, specialmente quando si tratta dei diritti dei neri, non vi è dubbio; che l’omosessualità, quale variante naturale del comportamento umano, è sempre stata presente in Africa, esattamente come in ogni altra società, mentre è proprio l’omofobia ad essere un’eredità del colonialismo di cui gli africani dovrebbero desiderare di liberarsi.
Infatti, quasi tutte le leggi contro la sodomia in Africa sono un lascito coloniale britannico, e derivano dalla prima legge inglese in materia, il Buggery Act del 1533 voluto da Thomas Cromwell. E benché si siano resi indipendenti dalla Gran Bretagna fin dal lontano 1776, da questo punto di vista i compatrioti di Obama hanno avuto, fino a tempi molto recenti, ben poco da insegnare: anche a casa loro infatti, per centinaia di anni l’omosessualità è stata considerata un grave delitto, punito in passato con la morte e, fino al 1962, con lunghe pene detentive e lavori forzati; e solo nel 2003 la decisione della Corte Suprema Lawrence v. Texas ha condotto all’abrogazione di quel che restava delle leggi contro la sodomia negli Stati Uniti d’America.
Se le cose sono (almeno in parte) cambiate in America e nel mondo occidentale in generale, è perché lo sviluppo economico e sociale di massa di cui abbiamo goduto, soprattutto a partire dal secondo dopo guerra, ha permesso un’espansione senza precedenti dell’accesso all’educazione da parte dei cittadini occidentali. Ciò ha consentito l’evoluzione delle mentalità e l’uscita dal medioevo in merito a temi sociali fondamentali, a cominciare dai diritti delle donne, a lungo soppressi e violati a casa nostra (pensiamo per esempio che in Italia il diritto di voto alle donne è stato concesso nel 1946, mentre il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981), per arrivare, solo recentissimamente, ad una maggiore considerazione dei diritti degli omosessuali.
Ora, in Africa, non vi è stato nessun processo di sviluppo economico e sociale paragonabile a quello sperimentato nel mondo occidentale. Per le colpe di molti dei loro governanti come per ragioni esogene evidenti, le nazioni africane si classificano sempre in fondo alle classifiche mondiali relative all’attività economica ed alla povertà, da quelle sul reddito pro-capite a quelle sul prodotto interno lordo. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), è africano oltre il 90 per cento dei paesi caratterizzati dal tasso di sviluppo umano più basso al mondo. Nel 1820, il lavoratore europeo medio guadagnava circa tre volte di più dell’africano medio; oggi il rapporto è di venti a uno. Il risultato è, secondo l’Unesco, che se anche vi sono stati progressi (essenzialmente quantitativi) nel campo dell’accesso all’educazione in Africa negli ultimi anni, tali progressi si sono ormai da qualche anno interrotti: nel 2010, 61 milioni di bambini africani non avevano accesso agli studi; e tra quanti hanno potuto studiare, più della metà hanno frequentato la scuola per meno di quattro anni.
In un contesto del genere, è quanto meno vano sperare che le mentalità possano evolversi in tempi più rapidi di quelli che sono stati necessari dalle nostre parti (e con quali resistenze, ancora oggi); la grande maggioranza degli africani, di fronte all’onnipresente miseria, all’ingiustizia sociale, al continuo saccheggio delle risorse del continente (land grabbing compreso) da parte delle multinazionali occidentali (e non solo), ai numerosi conflitti combattuti con armi prodotte altrove, non considera affatto i diritti Lgbt una priorità; al contrario, sia per via di manipolazioni populiste da parte di certi leader politici, sia a causa del crescente estremismo religioso (cristiano come islamico) tipico dei nostri tempi, un clima di odio irrazionale e di violentissima stigmatizzazione contro i gay si è diffuso a macchia d’olio in un continente che, fino solo a pochi anni fa, semplicemente non si poneva neppure il problema; al punto che c’è da chiedersi se il fatto di essere stati posti sotto i riflettori, seppure con le migliori intenzioni, non abbia prodotto effetti contrari a quelli sperati, rendendo la situazione degli omosessuali in Africa molto più delicata di quanto non fosse solo pochi anni fa.
Per vincere l’omofobia, il razzismo e la xenofobia, figli della crisi sociale e dell’ignoranza, in Africa come in Europa o negli USA, servono certamente leggi adatte e pene esemplari per chi le viola; ma le leggi saranno sempre insufficienti e resteranno inapplicate (come dimostra l’esempio del Sudafrica, dove le leggi ci sono, ma in cui l’omofobia e la xenofobia sono particolarmente acute), senza risposte e risultati tangibili sul piano economico e sociale e senza garantire a tutti l’accesso ad un’educazione di qualità (che comprende l’educazione ai diritti umani) e la possibilità di costruirsi un futuro migliore.
La speranza è dunque che Obama, gli USA e l’Occidente in generale non si limitino a dare una volta di più controproducenti lezioni agli africani, ma collaborino in buona fede con essi per promuovere ed attuare politiche eque ed efficaci che mettano fine allo sfruttamento neo-coloniale, all’ingiustizia e alle disuguaglianze e contribuiscano a promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale del continente, senza il quale non solo i diritti dei gay, ma i diritti umani in generale, resteranno, in Africa, una semplice chimera.