venerdì 31 ottobre 2014

TIRRENO POWER OVVERO COME AFFONDARE NEL CARBONE ALLEGRAMENTE

Tirreno Power, ok dalla Conferenza dei servizi per il parco carbonile: 30 mesi per realizzare l’opera

Vado Ligure - progetto copertura carbonile tirreno power
Vado L. E’ arrivato questa mattina dalla Conferenza dei servizi deliberante il via libera alla realizzazione del nuovo parco carbonile per la centrale a carbone di Vado Ligure. Dopo l’intoppo del 16 ottobre per l’assenza del Ministero dell’Ambiente, oggi l’atteso via libera per l’opera di copertura dei parchi a carbone di Tirreno Power.
La struttura, a pianta rettangolare, che sarà realizzata da Demont, misurerà 216 metri di lunghezza per 175 di larghezza, per un’altezza massima di 50 metri. Un capannone che sarà allestito nella stessa area dell’attuale deposito a cielo aperto ed avrà una capacità di 212 mila tonnellate di carbone. Il costo: 40 milioni di euro.
Nel documento di approvazione dell’intervento viene indicato come tempistica per la realizzazione dell’opera 30 mesi dall’approvazione finale: ora serve ancora un ultimo ok di Regione e Ministero per avere l’autorizzazione di inizio lavori.
Certamente la tempistica dei 30 mesi indicata questa mattina farà parte delle osservazioni che Tirreno Power sta preparando in vista della Conferenza dei servizi sull’AIA del 18 novembre, considerato che il Parere Istruttorio della commissione ministeriale, nelle sue prescrizioni, ha indicato di terminare l’intervento entro marzo 2015 (rifacendosi però ad una vecchia delibera su inter non ancora concluso).

ITALIA E CULTURA:UNA ANTICA STORIA

"Cultura senza Capitale": italiani, riprendiamoci quello che abbiamo inventato

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Un invito a tutti gli italiani di buon senso: riprendiamoci ciò che abbiamo inventato e che, purtroppo, abbiamo tradito, ovvero la cultura come servizio pubblico a sostegno dello sviluppo. E' quello che ci fa, con uno stile elegante e narrativo,Simone Verde nel suo libro, Cultura senza Capitale. Storia e tradimenti di un'idea italiana, pubblicato da MARSILIO nella collana I nodi.

Verde, storico dell'arte e responsabile della Ricerca scientifica per il Louvre di Abu Dhabi presso l'Agence France-Muséums e blogger dell'Huffington Post, vive proprio tra Parigi e Abu Dhabi ed è l'ennesimo valido cervello che ha lasciato l'Italia, un altro di quelli che solo noi siamo capaci di farci sfuggire seguendo una logica tutta nostra e assai difficile da comprendere.
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Se da noi le cose in campo culturale, ma non solo, non vanno nel migliore dei modi, lo si deve proprio ad un atteggiamento sbagliato che ebbe lo Stato italiano centocinquant'anni fa. 
Nel 1861, infatti, il Regno d'Italia non voleva saperne dell'antichità e delle belle arti e tutto fu gestito all'insegna della confusione. Una confusione che pare non se ne sia mai andata e che come ci racconta Verde nel suo libro - che contiene anche un saggio di Andrea Emiliani - fu importata dall'estero. In primis, dalla stessa Rivoluzione francese, che certemente non aveva dato il buon esempio sul saper rispettare e conservare la produzione artistica dei tempi passati. Persino la successiva nazionalizzazione dei beni della Chiesa nel 1789 "non fece altro che sottrarre un immenso patrimonio al suo millenario tutore, privandolo così di ogni funzione".
Dopo l'Unità d'Italia, dunque, tutto quel patrimonio artistico e culturale, sotto la tutela del ministero della Pubblica Istruzione erede del Regno di Sardegna - "l'unico Stato preunitario che non aveva avuto una politica delle antichità e delle belle arti" - fu gestita sin dall'inizio all'insegna del caos. La mole dei musei, delle gallerie, delle pinacoteche e delle istituzioni principesche "richiedeva comunque un'idea, almeno di ordinaria amministrazione, e stimolava più di una fantasia". Eppure, quello che venne fatto in quei primi anni di Unità dal Governo italiano fu più a danno che a vantaggio delle arti.
Una voglia di reagire e di progredire, ricorda Verde, la ebbe proprio in quel periodo lo scrittore, storico e critico d'arte Giovanni Battista Cavalcaselle (1819/1892), che dopo aver partecipato con eroismo al Risorgimento ed essere scampato a una condanna a morte, fu costretto a vivere in esilio a Londra, dove divenne amico del critico Joseph Archer Crowe. Tornò in Italia e dal 1857 al 1861 girò tra i i centri abitati, i monasteri e le chiese appuntando su un taccuino le fattezze di opere ancora ignote per farle confluire in quella che sarebbe dovuta essere una summa inedita d'arte italiana dopo un lavoro di ricognizione sul territorio, la New History of Painting in Italy from the 2nd Century to the 16th Century, scritta a quattro mani proprio con Crowe. Ben presto, però, Cavalcaselle denunciò l'arretratezza e il dilettantismo con cui il ministero affrontava il compito che gli era affidato.
"L'esperienza di questi due anni di Governo italiano ha mostrato che nessuna determinazione è stata presa in questo senso; ed anzi quello che è stato fatto tornò piuttosto a danno che a vantaggio delle arti, onde, per poco che si continui in questa via, avrà il paese a deplorarne delle tristi conseguenze". I problemi continuarono anche quando venne fatta la proposta di un catalogo unico delle opere d'arte esistenti nel regno.
"Al Governo italiano incombe l'obbligo di mantenere la gloriosa tradizione del paese, il quale un tempo anche nelle arti fu primo e maestro a tutti", scrisse lo storico. "Che se noi ci troviamo tanto lontani dai nostri maggiori, facciamo almeno da non rimanere addietro agli altri popoli i quali in questa terra cercano, con grave spesa e fatica, quello che noi dimentichi del passato, e troppo spesso improvvidi dell'avvenire, ci diamo premura di vendere. Spetta al Governo nazionale provvedere perché possa un giorno l'Italia riavere, anche col mezzo delle arti belle, quel seggio, al quale è invitata dalle sue tradizioni e dal suo genio".
Su quella scia, a distanza di secoli, Verde propone la creazione di "un'infrastruttura nazionale che, partendo da una Capitale all'altezza di Parigi, Washington o Londra, restituisca alla cultura la sua utilità e la sua ragione d'essere".
Fa l'esempio dello splendido - ed innovativo per l'epoca - Smithsonian Institutiona Washington, "una capitale fondata tre secoli fa con la certezza nell'universalità della ragione". A volerla fu James Smithson, un personaggio enigmatico morto nel 1829 che lasciò cinquecentomila dollari dell'epoca al governo americano affinchè venisse fondata un'istituzione "per il progresso e la diffusione del sapere" in una città dove, tra l'altro, non aveva mai messo piede. Lì, come in altri posti del mondo come New York e Parigi, la cultura venne sostenuta e continua ancora ad esserlo poiché è stata ritenuta utile, al singolo come alla comunità, perchè capace di produrre maggiore coesione sociale e maggiore consapevolezza, oltre che innovazione. Quindi, nonostante lo "stato culturale", sia un'invenzione moderna con radici italiane, da noi sono mancate e mancano ancora le infrastrutture per promuoverla, oltre che per tutelarla ed amarla.
"La cultura non evoca il futuro ma un universo di conflitti ideologici, di chiusure dogmatiche, di guerre tra specialisti, di crolli e di crisi permanenti", spiega Verde. Per migliorare la situazione, bisognerebbe considerarla come salvaguardia della tradizione e metterla in relazione con l'economia e lo sviluppo. Ancora oggi il sistema italiano risulta, purtroppo, confuso e contraddittorio oltre che per le scelte fatte soprattuto per l'assenza di una visione sistemica dei problemi e l'incertezza dei fini da raggiungere. Se è vero, come scrive, che "I beni culturali vivono e sopravvivono alla storia soltanto se ritrovano un'utilità e una significazione a loro contemporanea", quello che si dovrebbe fare eal più presto, è utilizzare le risorse per creare un sistema unitario e gerarchico capace di gestire nel migliore dei modi il prezioso patrimonio culturale che abbiamo e realizzare cos' condizioni favorevoli alla creatività. Proprio come in passato.
Nonostante tutto, noi siamo fiduciosi che qualcosa del genere possa ancora accadere...

ALEX LANGER:IL SENSO DI UNA PRESENZA

Alessio Cartocci Sideri Headshot

Il futuro, Alex Langer e il coraggio della "politica di confine"

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Se, parafrasando lo slogan della Leopolda 5, "Il futuro è solo l'inizio" va detto che ci sono persone che il futuro lo vedono quotidianamente nel proprio presente perché sanno guardare lontano.
Quando decisi per la prima volta di seguire un progetto politico sotto forma di partito una di queste persone, Alex Langer, ci aveva lasciato da poco e, soprattutto, aveva lasciato in eredità ai Verdi un patrimonio enorme e ricchissimo. Com'è stato dilapidato quel patrimonio si è visto troppo presto: la 'biodiversità' di una politica giovane, legata ai movimenti, al terzo settore, alle istanze ambientaliste (ma non solo), a una visione sostenibile del mondo e del vivere fu schiacciata dalle solite furberie/meschinità all'italiana e quindi purtroppo si arenò poco tempo dopo nell'evidenza di un'irrilevanza politica e numerica. Da allora per me fu solo "cittadinanza" più o meno attiva prima di incontrare il Pd, uno spazio politico aperto in cui potermi nuovamente misurare con le idee e le persone: una scommessa che ritengo ancora valida e che personalmente rinnovo da 5 anni.
Voglio parlare di Alex (e continuerò periodicamente a farlo) anche perché in questi 5 anni più volte ho sentito ricordare la sua figura ma spesso ciò che mancava era l'andare davvero incontro a quest'uomo "di confine" che sapeva guardare il futuro, guardare lontano: un uomo così andava riletto nella sua complessità e non magari solo citato quasi come fosse una cartolina 'di sinistra' da esporre ogni tanto in mezzo ai vari stralci delle varie primarie e campagne elettorali. Messo là così, magari giusto per far bella figura.
La sinistra che Langer rappresentava era una sinistra pragmatica che si faceva domande chiedendo a se stessa cosa fosse diventata e chi/cosa rappresentasse in quel momento storico-sociale; si chiedeva razionalmente perché la gente comune votava convintamente Berlusconi e se lo chiedeva evitando però la scorciatoia di un antiberlusconismo di comodo; si poneva la questione della multiculturalità, dei relativi conflitti, dell'integrazione; prospettava l'esigenza di una visione 'larga' della partecipazione e della militanza arrivando a ipotizzare addirittura l'avvento di un 'Papa straniero' (ossia Langer stesso che si propose con un autocandidatura) come Segretario dell'allora Pds. La proposta, forse anche perché pubblicata su Cuore, non venne presa molto sul serio ma le parole scritte in quella lettera aperta erano profetiche:
Una riedizione della coalizione progressista o di altri consimili cartelli non riuscirà a convincere la maggioranza degli italiani a conferirle un incarico di governo. Ci vuole una formazione meno partitica, meno ideologica, meno verticistica e meno targata 'di sinistra'. Ciò non significa che bisogna correre dietro ai valori ed alle finzioni della maggioranza berlusconiana, anzi. Occorre un forte progetto etico, politico e culturale, senza integralismi ed egemonie, con la costruzione di un programma ed una leadership a partire dal territorio e dai cittadini impegnati, non dai salotti televisivi o dalle stanze dei partiti
E ancora:
Bisogna far intravvedere l'alternativa di una società più equa e più sobria, compatibile con i limiti della biosfera e con la giustizia, anche tra i popoli. Da molte parti si trovano oggi riserve etiche da mobilitare che non devono restare confinate nelle 'chiese', e tantomeno nelle sagrestie di schieramenti ed ideologie. Ma forse bisogna superare l'equivoco del 'progressismo': l'illusione del 'progresso' e dello 'sviluppo' alla fin fine viene assai meglio agitata da Berlusconi
Parole forse anche 'eretiche' ma sacrosante e ancora attualissime così come ancora attualissimi sono gli scritti e le riflessioni di Alex. Chi fa politica in zone di confine - come ad esempio la montagna - si rende conto maggiormente, a volte in modo direi quasi drammatico, di quanto occorra una politica coraggiosa, altrettanto 'di confine' e che le donne e gli uomini di confine hanno talvolta le mani più libere e spesso guardano in alto. Guardare in alto e oltre gli steccati: Langer lo fece sin dalla fondazione della rivista dal nome programmatico 'Il Ponte'.
E, appunto, oggi c'è più che mai bisogno di un 'ponte' verso un futuro e un modello di vita sostenibile: il Pd, nel suo eterno divenire, dovrebbe essere il territorio più adatto per sperimentare nuovi modelli di azione politica. Per farlo ci vogliono alcune coordinate, strettamente concatenate: inclusione, cittadinanza, sostenibilità, innovazione. Sono le coordinate di un Pd "open source" in parte già riempite da contenuti ma in parte ancora da riempire: sono alcune "stelle" del M5S i cui capi-padroni gettano brutalmente nella polvere (di stelle, è il caso di dirlo) stracciando la testimonianza di tutti i cittadini attivi che in buona fede ci hanno creduto e ci credono. Sono quella frontiera e quel futuro che è solo l'inizio per la lunga e bellissima traversata di un Paese nuovo.

UNA REGIONE CONTRO IL CONSUMO DEL SUOLO

Toscana pioniera di Italia contro il consumo di suolo

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Sorvolando i cieli dell'Europa del Nord si coglie a colpo d'occhio quanto l'ordine e la razionalità geometrica dominano la planimetria. Diversamente e più che in Italia. Sarà per una diversa geografia, per la presenza di legislazioni nazionali più forti della nostra. Per una più equilibrata composizione degli interessi privati col bene comune. Ugualmente non può non stupire il divario tra noi e gli altri nella rigenerazione urbana delle città, che ci conferma quanto siamo in ritardo e quanto più suolo degli altri consumiamo, permettendo passivamente che lo 'sprawl' divori il territorio delle città e ne trasformi le relazioni sociali generando brutte periferie dormitorio. Il primo e più grave ritardo è di natura legislativa.
Ma in Toscana con la riforma della legge 1/2005 cambiamo decisamente direzione e blocchiamo del tutto il consumo di suolo. È la prima legge italiana di questo tipo e con essa ridiamo ruolo e dignità agli enti locali, prospettiva e speranza ai cittadini. In un paese che ha scelto prima la via facile di una "santa alleanza" tra finanza e mattone, poi la scorciatoia irresponsabile dei condoni. È accaduto anche in Toscana con lesioni e ferite al territorio e all'ecosistema.
L'urgenza di questo intervento non può infatti non fare i conti col continuo di episodi di dissesto ambientale, che richiamano le istituzioni alla massima responsabilità delle proprie scelte. In Toscana, per questa ragione, d'ora in avanti, non sarà più consentito il consumo di suolo. La legge tuttavia non introduce solo limiti e divieti, agisce anzi in due direzioni convergenti di sviluppo, sia fuori che dentro il perimetro urbano. Nell'urbanizzato la legge sostiene e incentiva la rigenerazione. Regolando la riallocazione funzionale e redistribuendo servizi, connessioni, reti di trasporto e spazi pubblici (asili, biblioteche, aree verdi) per rivitalizzare i quartieri dormitorio e ridurre l'effetto di periferia in dissolvenza che cinge i centri storici. Fuori dal perimetro urbano invece non consente più d'erigere edifici residenziali e concentra ogni sforzo per evitare la moltiplicazione delle "funzioni produttive".
Lo strumento dedicato a questo scopo è la conferenza di area vasta, in cui lo sforzo di copianificazione collegiale sarà un "brain trust" (a più teste) tra Regione, Provincie, Città metropolitane e Comuni, al fine di eliminare frammentazioni e visioni soggettive e localistiche dello sviluppo territoriale. Un esempio? Sulla costa rinunceremo all'idea che ogni marina possa agognare un porto turistico, migrando verso una più sensata condivisione strutturale e intercomunale delle infrastrutture e dei trasporti. L'ultimo punto della riforma riguarda infine il territorio rurale e agricolo. Grazie a questa legge noi sosterremo e rilanceremo le imprese del settore. Procedendo a una semplificazione massiccia di tutte le autorizzazioni per attività agricole imprenditoriali e amatoriali, delle varianti d'uso degli edifici rurali, delle trasformazioni di residenze agricole e di annessi, dei Pma (piani di miglioramento agricolo aziendale) e delle variazioni colturali.
Azzereremo così l'arbitrio e la pluralità interpretativa di regolamenti e licenze che varia da Comune a Comune. Sarà così più facile trasformare gli insediamenti produttivi delle zone rurali, nel solo rispetto delle invarianti e delle dominanti paesaggistiche. Questa attenzione all'economia agricola e rurale è una scelta ragionata e non suggestiva. Deriva non a caso dalla presa d'atto che nel corso della crisi e della recessione, simultaneamente alla depressione del settore edile e del cemento, si è verificata una ripresa dell'agricoltura. L'Irpet ha stimato circa 10.500 nuove unità lavorative dal 2008, dato incoraggiato dai numeri delle immatricolazioni alle facoltà d'agraria toscane, le uniche stabili nel crollo generale delle iscrizioni all'Università. Vorrei dire in sintesi che questa legge prova a porre rimedio alle 'rovine' del passato e, senza troppe pretese, risponde a un'esigenza alta di "politica del tempo futuro". Un grazie sincero alla Giunta e al Consiglio Regionale che hanno scritto assieme una bella pagina di amministrazione e politica per il bene dell'Italia.