lunedì 28 dicembre 2015

ma i dipinti di Castelvecchio dove sono finiti?


La cultura perduta: che fine hanno fatto i 17 dipinti del Museo di Castelvecchio?

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L'italiano medio non visita musei, ma quando lo fa vede dalla prima all'ultima sala in tempi molto rapidi, facendo un'indigesta scorpacciata di immagini. Il delinquente medio, al contrario, "visita" con regolarità, e con tutta calma, i musei, concentrando la propria attenzione su singole opere. Nel primo caso, la mancata alfabetizzazione in campo storico-artistico, vale a dire l'assenza dell'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole di ogni ordine e grado, è alla radice della diffusa disaffezione nei confronti del patrimonio culturale. Nel secondo, la mancanza di adeguati sistemi di sorveglianza dentro e fuori i musei statali, determinata dagli scarsi investimenti pubblici nel settore cultura e dalle scelte infauste degli amministratori locali, invoglia i criminali a compiere furti sempre più audaci. Dal 1970 ad oggi, infatti, nel nostro Paese le opere d'arte trafugate sono state - come documentato dai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale - la bellezza di 438.729, mentre quelle recuperate appena 134.614. Uno scarto decisamente notevole, e sconfortante nonostante l'arduo lavoro dei Carabinieri. D'altronde, la possibilità di piazzare all'estero le opere o di soddisfare i desideri di ricchi collezionisti-ricettatori o, infine, di richiedere lauti riscatti ha ulteriormente incrementato nell'ultimo decennio furti e ruberie. Va detto, inoltre, che l'analfabetismo figurativo non genera solo quello che potremmo definire un "calo del desiderio" di visitare i musei, ma anche indifferenza nei confronti delle notizie di furti o distruzioni di opere d'arte, quasi fossero notizie di terz'ordine non riguardanti gli italiani (che sono - ed è bene ripeterlo all'infinito - i veri proprietari del patrimonio culturale dello Stato).
La mancanza di opportuni investimenti in cultura, destinati sia alla formazione dei cittadini, che agli adeguamenti dei siti storico-artistici e delle strutture museali, causa inevitabili perdite in termini di visitatori, di opere e di pubblico interesse. Il clamorosofurto di ben 17 dipinti di antichi maestri andato in scena nel Museo di Castelvecchio a Verona nella serata di giovedì 19 novembre 2015 rappresenta la summa di questo circolo vizioso. I banditi entrano nel museo poco prima della chiusura serale, in un momento che non sarebbe errato definire "transitorio", quando, come dichiarato dal responsabile dell'ufficio stampa del comune, Roberto Bolis - "la guardia giurata ispeziona le sale per verificare che non ci sia nessuno, quindi torna all'ingresso e manda via la cassiera". Dopo aver neutralizzato, imbavagliando col nastro adesivo, l'unico addetto all'accoglienza dei visitatori e l'unico agente di vigilanza (notturna) in servizio, i ladri rimangono nel museo per oltre un'ora, per la precisione 88 minuti, scegliendo con tutto comodo, e senza che i sensori volumetrici, collegati con la centrale operativa dell'istituto di vigilanza, risultassero in funzione, le opere da portare via. Da notare che, per rendere più agevole il trasporto delle opere durante la fuga, i criminali non hanno esitato a staccare brutalmente dalle cornici alcune tele e ad arrotolarle quasi fossero banali poster.
"Furto milionario al museo", "Rubate opere di Mantegna, Tintoretto e Rubens". La notizia viene subito battuta. Alcuni sospettano che presto seguirà la richiesta di un cospicuo riscatto, altri arrivano finanche a ipotizzare "un atto dimostrativo jihadista". Ma di lì a pochi giorni, silenzio. Non solo, come prevedibile, da parte dei banditi, dileguatisi letteralmente nel nulla, ma anche dei mass media e, soprattutto, della gente comune, a cui non interessa più nulla della sorte dei dipinti trafugati. Il guaio è che del Museo di Castelvecchio e delle diciassette preziose testimonianze pittoriche del nostro passato non sembra importare proprio a nessuno, né ai vertici del ministero dei Beni culturali, né alla classe politica e neppure alla stragrande maggioranza degli storici dell'arte, che - almeno sulla carta - spendono le loro migliori energie nello studio del patrimonio storico-artistico e - sempre sulla carta - si impegnano nella diffusione delle conoscenze acquisite. Grazie a Dio, un ristretto manipolo di colleghi ha ritenuto, insieme ad altri intellettuali, di dover far sentire la propria voce in unappello, che faccio mio e sottoscrivo in pieno, indirizzato al ministro dell'Interno Angelino Alfano, al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, agli organi di stampa e ai veronesi, per chiedere al primo un impegno concreto nel recupero delle opere trafugate, al secondo di porre in cima alle sue priorità istituzionali tale recupero, ai terzi di non far calare il silenzio sulla gravissima vicenda e agli ultimi di non demordere nel pretendere che venga fatta giustizia.
E qui potrei anche chiudere, se non mi premesse di aggiungere che molte altre inestimabili opere dei nostri musei rischiano seriamente di fare la stessa fine degli sventurati dipinti di Castelvecchio e di "emigrare" forzatamente all'estero, probabilmente nell'est Europa, finendo sulle pareti di qualche anonimo collezionista-ricettatore, magari neanche troppo ricco. Dopo questo incredibile furto, chiediamoci: quanto sta a cuore al governo italiano la conservazione del patrimonio culturale della Nazione? E quali provvedimenti sono stati adottati per rendere più sicuri musei e siti storico-artistici statali? La risposta, purtroppo, è desolante: i luoghi della cultura seguitano a essere sistematicamente saccheggiati e vandalizzati e i soldi pubblici, ancora una volta, continuano a essere sperperati in iniziative totalmente inutili, come nel caso dei trecento milioni di euro da destinare a bonus di 500 euro da spendere in presunte "attività culturali" per tutti i diciottenni, a prescindere se abbienti o non abbienti, violando di fatto il principio dell'eguaglianza di opportunità.
E sappiamo benissimo che nella voce "attività culturali" ormai si può includere di tutto, da un concerto di musica pop a una serata disco, dalla partecipazione a spettacoli di cabaret alla visione del cine-panettone di turno, dalla visita al museo della tortura all'acquisto di libri altamente diseducativi, al punto che l'iniziativa potrebbe sortire l'effetto contrario di allontanare i giovani da ciò a cui si vorrebbero avvicinare. Parliamoci chiaro: dov'è la cultura in tutto ciò? Non sarebbe stato meglio destinare quei fondi, o buona parte di essi, al potenziamento della sicurezza nei nostri musei? E i diciottenni non avrebbero potuto trarre maggiore guadagno nel ricevere un pass di accesso gratuito ai musei statali (compresi quelli dedicati alle scienze naturali, alla storia della scienza e della tecnica e a tutte le sfere dell'attività umana) e ai teatri convenzionati col Mibac e prestiti agevolati di libri nelle biblioteche pubbliche? Come non pensare che sia l'ennesima manovra elettorale per sedurre i tanti (neo)elettori allo sbaraglio? Eppure, si tratta di questioni di grande portata culturale, politica, sociale ed etica che riguardano le sorti del nostro Paese e dei suoi cittadini. E a farne le spese è, come sempre, il patrimonio storico-artistico comune.
Segue l'appello
Tra le tante stranezze dello stranissimo caso della rapina al Museo di Castelvecchio di Verona, ce ne sono alcune che al momento appaiono come umilianti effetti collaterali di un saccheggio d'arte sbalorditivo. Chi non fosse a conoscenza del misfatto avvenuto lo scorso 19 novembre, sappia che a Verona, per quantità e qualità delle opere sottratte, è sparito per intero un piccolo, eccezionale museo. Di qui un'umiliazione, sul piano della sicurezza del patrimonio d'arte e di storia, difficile da sopportare: e tuttavia un'umiliazione che le istituzioni più rappresentative del nostro Paese stanno dimostrando di non avvertire. È trascorso ormai quasi un mese, eppure un vero e proprio silenzio tombale ha sepolto la scomparsa di ben diciassette opere, tra le quali ci sono alcuni capitoli fondamentali della storia dell'arte. Il comandante del Nucleo Carabinieri di Tutela del Patrimonio Culturale di Venezia ha detto che questo è il furto più importante di cui si è dovuto occupare. Dunque, siamo di fronte a un primato negativo: in un Paese, l'Italia, dove i furti d'arte costituiscono un'attività criminale su scala industriale. Si deve pertanto parlare di una catastrofe culturale. E forse, data l'impressionante dimensione del disastro, compiuto con modalità ladronesche sconvolgenti (per esempio, il fatto che il crimine abbia potuto protrarsi per più di un'ora: del tutto indisturbato) si è ritenuto subito di condannarlo al silenzio di una qualunque pratica burocratica e poliziesca. Un silenzio che, ancora una volta, ripropone l'idea di un cinico disinteresse, frequente in chi sa che tutto si giustifica a seguito di un'aberrante consuetudine prepolitica: c'è sempre dell'altro di più urgente di cui occuparsi. Pur con la massima fiducia nel lavoro degli eccellenti Carabinieri del Nucleo di Tutela, noi ci rifiutiamo di credere che la scelta di delegare il gravissimo caso del Museo di Castelvecchio all'ambito tecnico sia la scelta giusta. È un errore imperdonabile rifugiarsi nel silenzio: che è sempre nemico delle opere d'arte, ed è la scontata anticamera dell'indifferenza più perniciosa. Silenzio e indifferenza facilitano la fuga e l'occultamento delle opere rubate, ed espongono le istituzioni a trattative e ricatti. Sono trascorsi ventidue anni dal furto di una celebre Madonna con il Bambino di Giovanni Bellini dalla chiesa della Madonna dell'Orto, a Venezia. Ventidue anni di silenzio e di indifferenza, che hanno portato alla più amara dimenticanza sociale della perdita subita. Temiamo che lo stesso possa accadere a Verona ed è per questo che chiediamo al Governo italiano di non farci dimenticare ciò che ci è stato sottratto a Castelvecchio, attorno a cui si addensa il rischio della "sindrome di Catullo". Il veronese Catullo, che scrisse: "Povero Catullo, basta vaneggiare: ciò che è perso, consideralo perso". I diciassette quadri di Castelvecchio, al contrario, non vogliamo considerarli perduti: né ora né mai. Chiediamo, dunque, al ministro Angelino Alfano di fare tutto il possibile per recuperarli, e al ministro Dario Franceschini di tenere questa gravissima questione in cima alla sua agenda, al centro dei suoi discorsi. Ai mezzi di comunicazione di accendere i riflettori su questa vicenda. Ai veronesi e ai veneti di non arrendersi, e di pretendere giustizia.
Giovanni Agosti, Mirella Barracco, Virginia Baradel, Chiara Bertola, Francesco Caglioti, Teodoro De Giorgio, Sandro Franchini, Lorenzo Lazzarini, Franco Miracco, Tomaso Montanari, Andrea Nante, Salvatore Settis.

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