Diritti: che figura! L'Italia di nuovo condannata per un'espulsione collettiva di migranti
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Si potrebbe iniziare così: che figura! È la seconda volta in due anni che l'Italia viene condannata dalla Corte europea dei diritti umani per l'espulsione collettiva nei confronti di trentadue cittadini afghani, due sudanesi e un eritreo, respinti vero la Grecia dopo essere stati intercettati in mare, prima ancora che raggiungessero le nostre coste. Era il 2009, periodo in cui venivano introdotti nel nostro ordinamento l'aggravante e il reato di "clandestinità". A seguito di ciò, la mera condizione di irregolarità del soggiorno, da illecito amministrativo, è diventata, per se sola, penalmente rilevante: autonomo reato e, insieme, circostanza aggravante applicabile a qualsiasi altro illecito. L'aggravante è stata dichiarata incostituzionale perché espressiva di una 'colpa' per una mera condizione soggettiva (l'essere nato altrove, cioè) e non, piuttosto, per il fatto illecito commesso. Il reato, invece, è stato abrogato solo nell'aprile scorso. I respingimenti collettivi, realizzati in quello stesso periodo, sono stati dichiarati illegittimi una prima volta, dalla Corte di Strasburgo, nel 2012,con la sentenza Hirsi, che condannava l'Italia per gli allontanamenti in mare, indirizzati allora verso la Libia.
Di quella sentenza, la pronuncia di oggi riprende i punti essenziali: in primo luogo l'applicabilità del divieto di espulsioni collettive anche ai respingimenti operati in mare, dunque prima ancora che i migranti raggiungano le coste europee. Cadono così gli argomenti avanzati dai Governi (anche da quello italiano), secondo i quali i respingimenti in mare non violerebbero la Convenzione in quanto dovrebbero considerarsi non espulsione ma mero rifiuto di autorizzare l'ingresso. A questa lettura meramente strumentale della Convenzione, la Corte ne oppone una 'forte', che valorizza la tematica dei diritti umani. Viene ricordato, così, che la Carta è uno 'strumento vivo' e va interpretata in maniera tale da rendere le sue garanzie concrete ed efficaci, non astratte e illusorie. Da qui, anche l'esigenza di garantire a ciascun richiedente asilo che la propria istanza sia esaminata individualmente, con l'assistenza (linguistica, giuridica, amministrativa) necessaria per non rendere questo diritto fondamentale una mera formalità priva di significato.
Ma ancora più importante è l'indicazione complessiva che l'Unione europea può trarre dalla parte della sentenza relativa alla violazione indiretta del principio di non refoulement, che la Corte ravvisa anche in presenza di respingimenti verso uno Stato membro che, come in questo caso, non assicuri adeguate garanzie nel riconoscimento del diritto di asilo; e che, oltretutto, potrebbe respingere lo straniero nel Paese di provenienza, esponendolo agli stessi rischi, per la sua incolumità e dignità, dai quali egli è voluto fuggire. In linea generale si impone dunque - osserva la Corte - un'interpretazione del regolamento di Dublino (su cui si fonda il vigente sistema di asilo europeo) che sia davvero compatibile con la Convenzione e, quindi, non vanifichi i diritti da questa sanciti.
Anche per superare queste lacune dell'attuale sistema, diventa sempre più indispensabile e urgente realizzare, a livello europeo, uno specifico piano di Ammissione che attui i principi di equità e solidarietà, ai quali deve conformarsi la 'politica comune' dell'Unione europea in materia di asilo e immigrazione, in ogni sua fase. Il principio di equità verso i cittadini degli Stati terzi impone infatti di garantire, a chi ne abbia diritto, la protezione internazionale con modalità tali da non metterne a rischio l'incolumità. Il che comporta la loro protezione sin dal momento della partenza, per evitare che il solo tentativo di raggiungere l'Europa divenga per loro occasione di morte. Per fare questo è necessario 'anticipare' e 'avvicinare' la procedura di individuazione dei beneficiari di protezione nel momento e nel luogo precedente la partenza. Dunque, in presidi internazionali nei Paesi di transito, garantendo poi il trasferimento legale e sicuro verso il Paese di destinazione. Si realizzerebbe così quell'interpretazione 'forte' del principio di 'non respingimento' al quale i Trattati finalizzano, tra l'altro, la politica comune in materia di protezione internazionale.
(Post scritto con Federica Resta)
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