Ebola, oranghi, Africa... La politica fermi gli istigatori dell'odio
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Ieri a Strasburgo, nel corso di una conferenza stampa, l'alleanza nazional-secessionista di Lega Nord e Front Nationale ha riproposto l'ennesimo aberrante condensato di luoghi comuni e dichiarazioni xenofobe. "Per scongiurare facili e controproducenti allarmismi circa le reali possibilità di diffusioni in Europa del virus Ebola - hanno dichiarato Le Pen e Salvini - serve una risposta ferma e responsabile da parte delle autorità europee e internazionali". No, non si tratta della sindrome che porta il nome del barone di Münchhausen, ma della strategia deliberata di chi prima diffonde la malattia, in questo caso l'allarmismo sul virus Ebola, poi ne propone la cura, lo stesso placebo proposto durante gli anni di Governo della Lega Nord. Il risultato, voluto, è quello di aumentare il malessere sul quale questo partito trae gran parte dei propri consensi. Continuo, tuttavia, a pensare che, a tutto questo, di fronte alla sofferenza di tante persone, in questa crisi economica, debba essere posto un limite invalicabile. La costante e martellante diffusione dell'allarme che la Lega Nord opera ormai da anni ha diffuso la cultura dell'odio in modo talmente capillare, che assistiamo ad episodi come quello che ha visto protagonista una bambina italiana di tre anni, respinta a scuola nei giorni scorsi, in seguito ad un viaggio in Uganda, a causa della paura irrazionale di un gruppo di genitori, intimoriti dal virus ebola. Nonostante l'elenco dei Paesi e i luoghi dell'epidemia siano ben altri, agli occhi dell'opinione pubblica, è l'Africa tutta ad essere contagiata.
"Ci attaccano l'Ebola", è il nuovo sottoprodotto venduto dai professionisti della paura. Un messaggio che probabilmente hanno colto i parenti di un'adolescente che hanno picchiato, martedì, al capolinea di un autobus a Roma, una giovane guineana di 26 anni, colpevole di aver risposto piccata alle accuse di una ragazzina di avere il virus. Poi le minacce, come quella del sindaco ed eurodeputato leghista di Borgosesia, Gianluca Buonanno, che promette multe fino a 500 euro per chi, evidentemente colpevole di essere africano, non dovesse fare i dovuti test per questa presunta emergenza in Italia. L'elenco è lungo e si conclude con l'insulto mascherato da commento politico.
È il caso che ha visto protagonista il giovane on. Khalid Chaouki. "Vada a farsi eleggere in Africa", ha detto il leader leghista Matteo Salvini. Non posso che trovarmi solidale con Khalid. Una condizione che conosco molto bene. Passato il dovuto sostegno unanime, però, quelle stesse persone continuano a trovarsi nella stessa posizione di prima, impuniti, pronti a raccogliere la prima occasione per diffondere la loro cultura di odio, da professionisti, consapevoli dell'inconsistenza delle proprie proposte. Come il leghista Umberto Bosco, candidato consigliere regionale in Emilia Romagna, che in uno spot elettorale racconta l'ennesima bugia: 900 euro al mese per mantenere un immigrato. Fondi che, Bosco sa bene, provengono dall'Unione Europea e passano direttamente nelle mani di chi gestisce i programmi di accoglienza, per fare in modo che la società possa contare su nuovi cittadini attivi e inseriti al suo interno. Nel tempo l'insulto, se impunito, finisce col costituire un costante rumore di fondo, trasformando la solidarietà in rassegnazione e infine in accettazione. Oggi assistiamo ad una spettacolarizzazione del confronto politico, da destra a sinistra, passando spesso per la via dell'insulto. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare definitivamente rotta. Porre fine all'escalation di brutalità verbali che attraversano il dibattito politico.
La politica rappresenta la massima espressione della volontà degli esseri umani di coesistere e cooperare per il bene comune. La politica che divide è l'antitesi di se stessa. Servono nuove regole del gioco. Chi insulta, chi divide, deve essere punito, anche politicamente. Come è accaduto all'eurodeputato polacco Janusz Ryszard Korwin-Mikke, sospeso 10 giorni dai lavori e dal salario di parlamentare. Il ruolo di rappresentante delle istituzioni non può essere una licenza per la libera istigazione all'odio. Lo scorso settembre il giudice del tribunale di Bergamo ha rinviato al Tribunale dei Ministri la decisione sul caso che mi riguarda come parte offesa, relativo al reato di istigazione all'odio razziale di cui è accusato il vice presidente del Senato Roberto Calderoli. L'oggetto sono le frasi, ormai famose in tutto il mondo, pronunciate contro di me nel luglio 2013. Alla politica dunque il compito di decidere se dire che un avversario ha le sembianze di un orango sia normale dialettica politica o reato, con la consapevolezza che costituirà un precedente storico.
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