Viviamo in un mondo dove il calcolo razionale dice che la cosa migliore da fare è adattarsi alla realtà e sistemarsi più in alto che si può, perché sconfiggere i potenti è quasi impossibile. Non sono i programmi né le lucide analisi che possono farci superare la soglia di quel possibile, è la rabbia, la forza motrice di tutte le lotte e le dignità collettive. Sono l'indignazione, il dolore, la rabbia a far nascere le ribellioni, le rivoluzioni, i grandi movimenti. I programmi e le analisi possono essere utili ma non possono sostituire il motore, la rabbia. E non c'è magia capace di trasformare la rabbia in voti senza farla diventare merce, oggetto da scambiare con altri oggetti nel mercato della politica istituzionale. I familiari e i compagni dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa sono andati al caracol Oventik per riunirsi con gli zapatisti. In quell'incontro, segnato dal mettere in comune un enorme dolore e una rabbia profonda, sono state dette parole di grande importanza per chi vuole costruire un mondo nuovo
di Raúl Zibechi
Le crisi grandi e profonde, quelle che capitano di tanto in tanto ma sono spartiacque, possono creare movimenti antisistemici di lunga durata, vale a dire movimenti che non si consumano nelle mobilitazioni. Per numerose che siano, le mobilitazioni sono necessariamente effimere. I movimenti, al contrario, permangono, non si dissolvono con il trascorrere del tempo, sono capaci di superare le situazioni contingenti e assumono uno slancio particolare che li porta molto più lontano di quello che consentirebbero le forze d’inerzia del momento.
Le crisi profonde rompono le barriere e i muri costruiti da los de arriba (quelli che stanno sopra, ndt) per separare in diversi compartimenti stagno i diversi abajos (quelli che stanno sotto, ndt), in modo da impedire la convergenza delle ribellioni. Soltanto durante le crisi avvengono quelle rotture degli argini che mettono in contatto movimenti nati in differenti periodi, in diversi settori della società, con geografie varie e dolori eterogenei che, in qui precisi momenti, si riconoscono e si abbracciano.
Il 15 novembre i familiari e i compagni dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa sono andati al caracol Oventik per riunirsi con l’Esercito zapatista di liberazione nazionale(Ezln), come parte delle carovane che stanno percorrendo il paese. Nei momenti di maggior dolore, sono andati in cerca dei loro simili, dove hanno trovato ascolto e rispetto. “Siamo stati noi a cercarli perché conosciamo le loro posizioni politiche e il loro modo di fare”, hanno detto nell’incontrare gli zapatisti.
Sento che le parole della comandancia general, espresse per bocca delsubcomandante insurgente Moisés, meritano di esser lette con attenzione, perché nascono dal cuore di uno dei movimenti contemporanei più importanti. Esse riassumono la saggezza collettiva accumulata in trent’anni dai ribelli del Chiapas che, a loro volta, incarnano cinque secoli di resistenze contro il dominio coloniale e il più solido impegno per creare un mondo nuovo.
Le parole della comandancia sono già argomento di discussione attenta per collettivi in molti luoghi del mondo. Mi pare necessario evidenziare tre questioni, sebbene sia certo che le migliaia di persone che le discuteranno troveranno maggiori e migliori argomenti nel testo zapatista.
Il dolore e la rabbia, trasformati in dignità attiva, creano i movimenti. Sono il nucleo “che ha messo in moto tutto”, ha detto Moisés. Rabbia, ribellione e resistenza che contrastano con le discussioni su tattica e strategia, sui programmi, sui metodi di lotta e, naturalmente, su chi dirige. Questo prima di tutto. Senza di questo non c’è nulla, per quante elucubrazioni teoriche si possano tentare e per quanti discorsi e analisi razionali si possano elaborare. Le ribellioni, le rivoluzioni, i grandi movimenti, nascono dalla rabbia, il motore di tutte le lotte e le dignità collettive.
È la rabbia organizzata, fattasi dignità, quella che impedisce ai ribelli di finire per vendersi o per perdersi esitando, in un mondo dove il calcolo razionale dice che la cosa migliore da fare è adattarsi alla realtà, sistemarsi il più in alto possibile, perché sconfiggere i potenti è quasi impossibile. È la rabbia (la bronca, diciamo nel sud) ciò che ci può far superare la soglia dell’impossibile, non il programma né la lucida analisi accademica le quali, in ogni caso, servono alla rabbia ma non la possono mai sostituire.
La seconda questione da sottolineare sono quei meravigliosi e saggi passaggi dove si dispiega la loro storia: l’abbandono di 99 su 100 di quelli che si sono avvicinati nei momenti di euforia, fino a restare soltanto uno, una, una precondizione indispensabile perché succeda “qualcosa di terribile e meraviglioso”: scoprire che esistono milioni di persone come quell’uno o quella una. È saggezza ribelle, quella che si può apprendere solamente vivendola. Chi non è mai rimasto solo, o sola, non può scoprirsi negli altri e nelle altre, non può continuare ad andare avanti contro il vento e la marea. È la storia dello zapatismo.
È la storia di Olga Arédez, Madre de Plaza de Mayo, che per anni ha girato intorno a una piazza da sola, reclamando la restituzione dello sposo vivo, di fronte all’indifferenza dei vicini a Ledesma, un paese reso codardo dalla famiglia proprietaria dello zuccherificio. Quanta dignità c’era nel suo corpo fragile per continuare, in solitudine, a fare giri e giri intorno alla piazza, fino a sfondare la paura dei vicini. Grazia alla sua ostinata perseveranza sono stati portati in giudizio i padroni dello zuccherificio di Ledesma, che avevano provocato i black-out durante i quali l’esercito fece sparire 400 militanti sociali e politici. L’oligarca Carlos Pedro Blaquier, padrone dello stabilimento, venne processato.
La terza questione è il tempo. “Non sarà facile”, dice Moisés. “Non sarà rapido”. Facile e rapido è creare un partito elettorale, come raccomandano in modo colonizzatore alcuni accademici de-colonizzatori. È il modo per il quale “le masse le aprano il cammino al potere”, come dice il comunicato letto a Oventik. Non c’è magia capace di trasformare la rabbia in voti senza farla diventare merce, oggetto da scambiare con altri oggetti nel mercato della politica istituzionale. Manifestazioni in cambio di poltrone, organizzazioni intere che trattano per incarichi, e così via.
Solo il tempo ha la capacità di sedimentare le cose. Di fare in modo che i sopravvissuti di un ciclo di lotte si connettano che quelli che stanno iniziando nuovi combattimenti. La storia de los de abajo pullula di ribellioni e rivoluzioni. Vi compaiono persone e collettivi che permangono oltre il momento contingente, i militanti. Tra loro, e anche questo ce lo insegna la storia, si reclutano spesso i membri delle nuove élite o classi dominanti.
La sfida è che quei militanti non si vendano per un incarico né abbassino le braccia ma è anche che obbediscano al popolo, che non comandino da soli. Dopo una manciata di “rivoluzioni che hanno trionfato” nel corso di quasi un secolo, questa è una grande sfida che continuiamo ad affrontare. Di questo tratta il testo della comandancia. Lo zapatismo sfida la “legge di ferro dell’oligarchia” di Robert Michels, quella che assicurava che governerà sempre una minoranza, che ogni organizzazione diventa oligarchica.
Questo spiega, en passant, perché i politici di arriba odiano gli zapatisti e perché siano invece un punto di riferimento per quelli di abajo che resistono.
fonte: la Jornada
traduzione per Comune-info: m.c.
Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo, a cominciare dal Messico, dove Zibechi scrive regolarmente per la Jornada. In Italia ha collaborato per oltre dieci anni con Carta e ha pubblicato diversi libri: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta. Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. Il suo ultimo libro, Descolonizar. Il pensamiento critico y las practicas emancipatorias, sta per uscire in Colombia per le edizioni desde abajo.Molti altri articoli inviati da Zibechi a Comune-info sono qui.
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lunedì 1 dicembre 2014
Come comincia il temporale?
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