Capire e copiare. E la scuola di serie Bby Citta invisibile |
di Antonio Vigilante*
Anni fa - molti anni fa, ahimè - non erano pochi quelli che sostenevano la necessità di fare a meno dei libri di testo: e con buone ragioni. Il libro di testo, sostenevano (qualcuno lo sostiene ancora oggi), offre agli studenti la pappa pronta, mentre a scuola dovrebbero imparare a cucinarla loro, la pappa. Detto in modo un po' più raffinato, il libro di testo è lo strumento funzionale a quella concezione depositaria della cultura che Freire stigmatizzava; ed al tradizionale schema lezione-studio-interrogazione che ancora caratterizza la nostra scuola. Il libro è l'autorità; il professore è quello che spiega il libro. E amen.
Buone ragioni che non sono riuscite a prevalere, e si comprende facilmente il perché. Da un lato, per i grandi interessi economici che girano intorno ai libri di testo; dall'altro, perché fare lezione così - limitarsi a spiegare il libro - è infinitamente più facile. Gli studenti stessi trovano il libro di testo in fondo rassicurante: basta impararlo più o meno a memoria, ed il gioco è fatto. Non mancano poi i docenti che si innamorano del libro di testo, che lo venerano come un monumento culturale: ah, l'Abbagnano!, sospira la professoressa di filosofia, che ogni anno accoglie il rappresentante della casa editrice come un benefattore, ansiosa di scoprire le strabilianti novità della nuova edizione.
Un libro di testo di cui è difficile innamorarsi è quello in adozione nelle mie classi del triennio (Istituto Professionale, indirizzo socio-assistenziale): Capire per agire, di Verzini, Zanarini e Stagnoli (Clitt, distribuzione Zanichelli). Un manuale di psicologia che di psicologia ne contiene davvero poca. Ma non è questo il problema: i programmi di psicologia per il Professionale la psicologia vera la sfiorano appena. Il problema è che, almeno in parte, è un libro copiato da Internet.
Qualche settimana fa stavo preparando una lezione sulla disabilità. Il manuale parla della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Non ne so molto, negli ultimi dieci anni e più ho insegnato tutt'altro, ed allora cerco di documentarmi. In rete trovo un ottimo articolo nel sito Educare.it Scrive l'autrice dell'articolo, Federica Ferraresi:
L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.
Interessante. Però, uhm, ho come l'impressione di aver già letto roba del genere. Torno al libro di testo. Ecco cosa si legge a pagina 215:
Qualche giorno fa abbiamo fatto il compito scritto in quarta. Tema: le migrazioni. Una ragazza alla domanda sul concetto di doppia etnicità risponde come segue: "...è quando si appartiene a un gruppo che condivide uno spazio geografico di provenienza, una comune discendenza, una cultura condivisa, siano essi reali o socialmente costruiti". Poiché non si tratta propriamente del linguaggio comune dei miei studenti, mi insospettisco, ed inserisco il testo in Google. Che mi rimanda ad un articolo di Laura Zanfrini sulla società multietnica, nel quale si legge:
La società multietnica è un sistema sociale in cui convivono soggetti con identità etniche diverse: con ciò si intende l'appartenenza consapevole a un gruppo che condivide uno spazio geografico di provenienza, una comune discendenza, una cultura condivisa, siano essi reali o socialmente costruiti.
Sul compito annoto che la risposta è stata copiata da Internet, e ne tengo conto nel formulare il voto. Due giorni fa però la studentessa mi ferma nel corridoio. Giura che lei non ha copiato da Internet, anche perché il cellulare non le consente di navigare.Capisco allora cosa è successo. A casa, controllo. A pagina 138 leggo:
La studentessa ha copiato dal libro (o, cosa tutt'altro che improbabile, l'ha imparato a memoria)che a sua volta è copiato da Internet.
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Le considerazioni possibili sono diverse. Mi limito a farne una. Non riesco a figurarmi un libro di letteratura, di filosofia o di storia per i licei che sia copiato, anche solo in minima parte, da Internet. Per quanto ami poco i libri di testo, devo ammettere che il livello culturale di chi scrive questi manuali è in genere molto alto. Non va così, a quanto pare, per i manuali degli istituti professionali, che gli editori affidano al primo che capita. Un segno in più della scarsa considerazione in cui sono tenuti nel nostro paese gli studi professionali.
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