di Lorenzo Guadagnucci
Jota Castro è un’autentica rivelazione. Peruviano di nascita ma francese d’azione, e tuttaviagiramondo, è un artista e curatore di fama internazionale. Ha dedicato la sua più recente curatela – al museo d’arte contemporanea di Varsavia – alla decrescita. Lui lo chiama Slow Future e dà una fortissima impronta politica alla sua opera, che poi coincide e quindi è frutto della sua visione del mondo e delle cose.
Al Museo Pecci di Prato Jota Castro era ospite del ciclo di incontri “Cambiamenti”, una serie di conversazioni con artisti e pensatori contemporanei che mette in campo idee di fatto escluse dal mondo dell’informazione ufficiale e della comunicazione mainstream. L’arte può essere davvero una via di fuga dal pensiero unico che ingabbia le menti e rende asfittico il dibattito pubblico su ciò che viene chiamata crisi, ma che più probabilmente è la condizione permanente dei prossimi anni, almeno secondo le oligarchie che controllano l’economia e dominano la politica. Una condizione quindi caratterizzata da alta disoccupazione, fortissime e crescenti diseguaglianze sociali, subordinazione dgeli stati nazionali agli interessi della grande finanza internazionale, progressiva estinzione dello stato sociale. Con un effetto collaterale già ben visibile: democrazie sempre più autoritarie e svuotate di senso.
Jota Castro di tutto questo si occupa. Lo fa in modo torrenziale quando parla (anche in un colorito quanto efficace italiano) e con le sue opere. In genere sono grandi installazioni, ciascuna portatrice di un preciso messaggio politico. Si è occupato molto di migranti, ad esempio con un gommone riempito con cinquecento euro in monete da un centesimo, o con la grande scritta Borders (confini) realizzata con specchietti riflettenti, come a dire che i confini, le gabbie cominciano nella singola persona.
La visione dello Slow Future riassume una visione artistica e politica che riprende qualcosa dall’Arte povera ma che è innanzitutto una critica radicale del presente. Jota è un personaggio curioso di tutto e sempre sul campo. Ha raccontato d’essere stato in gioventù guerrigliero in Africa (lui dice “internazionalista”) e poi “diplomatico” in varie zone di crisi.
Oggi è angosciato dal disastro ambientale che sta distruggendo il suo Perù e il resto del mondo. Castro è un artista militante che vuole innanzitutto conoscere di persona quel che accade. L’opera col gommone, ha raccontato, è nata in Albania, dov’è andato per informarsi sul sistema degli espatri clandestini: modalità, costi, rischi. È stato anni addietro anche a Prato per studiare da vicino l’insediamento dei cittadini cinesi, che sono entrati nell’economia locale e prima di altri – ha osservato – hanno capito i nuovi mercati globalizzati. Una sua opera, che racconta le delocalizzazioni e il nuovo modo di produrre merci, è nata a Napoli: una grande scritta Chinarealizzata con scarpe di marca taroccate.
Jota Castro e il suo “Slow Future” meritano d’essere seguiti da vicino.
Fonte: http://lorenzoguadagnucci.wordpress.com/DA LEGGERE |
venerdì 26 dicembre 2014
arte e futuro
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