Alteritàby Citta invisibile |
intervista di Andrea Staid a Marc Augé e Marco Aime
Dal 27 al 29 marzo 2015 si terrà a Milano, presso i Frigoriferi Milanesi (via Piranesi 10),Book Pride, la prima fiera nazionale dell’editoria indipendente. In questa intervista Andrea Staid, che coordina il dibattito di sabato 28 marzo, anticipa gli argomenti che verranno affrontati nel corso di questa conversazione, con due grandi antropologi come Marc Augé e Marco Aime, su alterità e geografie umane.
La prima domanda è perché trovate importante che l'antropologia non si occupi soltanto di popoli lontani ma anche delle "nostre" società?
Marc Augé - È importante perché viviamo in un mondo che si muove, e questo vale tanto per le società cosiddette "tradizionali" quanto per l'Occidente moderno. Questo movimento sovverte le vecchie distinzioni e non permette più di distinguere fra differenti tipi di studio e di sguardo. È sempre stato così, ma lo è sempre di più.
Marco Aime - Perché credo che l'approccio antropologico, grazie anche al suo bagaglio di carattere "etnografico", possa fornire uno sguardo nuovo sui processi che stanno accadendo nelle nostre città e nei nostri paesi. Un approccio dinamico e incentrato sui modelli relazionali, che fornisce nuove chiavi di lettura rispetto a quelle adottate da altre discipline.
Mi chiedo spesso se l'antropologia possa aiutarci realmente a capire il complesso mondo contemporaneo e soprattutto se possa trovare risposte possibili per muoverci meglio e con più consapevolezza nella società. Voi come la pensate?
Marco Aime - In qualche modo sì. Non dico che l'antropologia proponga soluzioni particolari, ma al contrario, proprio grazie al fatto di porre continuamente domande, ci aiuta a indagare, con angolazioni diverse, il nostro presente.
Marc Augé - Sì, ma precisamente analizzando quello che si muove e criticando le categorie create dalla prima etnologia: cultura, tradizione, comunità, ecc.
Le angolazioni diverse sono centrali per noi antropologi, il mondo è scosso da quello che la stampa chiama, dal mio punto di vista erroneamente, uno scontro di civiltà, o di religioni. Due antropologi come voi ci possono aiutare a fare chiarezza nella confusione creata dai media?
Marco Aime - Lo spero: l'uso di concetti come cultura, civiltà, identità, fatto nelle retoriche comunicative dei media e in quelle politiche, è quanto mai approssimativo, se non errato e strumentale. Si vogliono interpretare in chiave culturale conflitti le cui cause spesso vanno ricercate in altri campi. Inoltre si usano concetti come cultura e identità nello stesso modo in cui si utilizzava quello di "razza" nel secolo scorso.
Marc Augé - A mio avviso viviamo oggi le ultime convulsioni (ma può anche durare a lungo!) della forma più totalitaria del senso sociale: la religione.
Gli sguardi altri possono essere un tentativo di condividere alcune possibili letture dei punti di rottura che segnano la nostra società e quindi trovare soluzioni condivise?
Marc Augé - È complicato: infatti, oggi più che mai, è difficile postulare l'esistenza di sguardi culturali differenti e coerenti. Penso che l'analisi critica possa essere feco
nda solo concentrandosi sulle tre dimensioni dell'essere umano: individuale, culturale e generica. Essa deve chiedersi come conciliare il "senso" sociale (la necessità della relazione con l'altro) e la libertà dell'individuo.
Grazie per le vostre risposte. A questo punto ci fermiamo e continuiamo il discorso a Book Pride, sabato 28 marzo, alle 11.
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