Con l'approvazione del piano regionale per il paesaggio ha inizio la primavera di 'buon governo'
Pubblicato: Aggiornato:
Passeggiando per le vie di Firenze in queste giornate cariche di luce e di cieli aperti si intuisce subito che al termine dell'inverno e delle piogge sono ritornati i turisti. Soprattutto americani, giovani e giovanissimi, di ritorno dall'abituale pausa d'inizio primavera (spring break), per proseguire gli studi e per imparare l'italiano. Gli americani, tra gli altri, non hanno mai fatto mistero di reputare la Toscana una patria ideale, a partire dal Presidente Obama che, qualche anno fa, a margine di un viaggio in Italia, dichiarò al New York Times di: "considerare la regione intorno a Firenze" la sua "preferita"; aggiungendo che "la luce della Toscana è particolare".
Non è semplice spiegare l'attrazione per una terra e per i suoi colori, come non è semplice spiegare ogni volta la ragione di quel che ci piace o non ci piace. Quel che è certo è che discutendo e approvando il piano del paesaggio, in una nuova primavera di 'buon governo', abbiamo messo al sicuro un bene locale e universale, che è nostro, ma che appartiene a tutti. Creato dal lavoro delle genti che vi abitano da sempre, ma conteso e idealizzato in tutto il mondo come patria del bello e dell'umano.
Le implicazioni di quest'atto di fine legislatura sono molteplici. Siamo la prima regione che ha approvato un piano del paesaggio in consiglio regionale. La Puglia, l'unica regione finora dotata di un piano, lo ha approvato senza un voto. Noi invece siamo passati attraverso un dibattito ampio e plurale e in certi tratti difficile e duro. Abbiamo subordinato la contingenza e l'opportunità delle scelte politiche ed elettorali al dovere verso l'interesse generale e alla buona politica che discende dal dettato costituzionale.
La strada era lastricata di insidie e noi le abbiamo e arginate una alla volta. Nel momento in cui le regioni sono sotto attacco nel dibattito pubblico per l'inefficienza e per l'incapacità di dare risposte, la Toscana ha dimostrato di saper fare scelte difficili, al servizio dei cittadini. Discutere col Ministero non è stato umiliante, lo abbiamo fatto volentieri come servitori dello Stato e dei cittadini. Il paesaggio è un bene tutelato dall'articolo 9 della Costituzione, che rende necessaria la 'copianificazione'.
Questo era l'obiettivo ed è stato raggiunto. Era in gioco la nostra identità, il nostro marchio nel mondo, quello di una bellezza che si è prodotta attraverso il lavoro. "Ogni sasso porta il segno di un arguta intelligenza - scriveva Calamandrei - ogni passante anonimo ha saputo da secoli aggiungervi, senza tradire lo stile del luogo, il suo discreto ritocco, anche il contadino che ha tracciato i filari delle vigne, anche lo scarpellino che ha forato le cave".
Con il piano abbiamo raggiunto l'equilibrio necessario tra lavoro e bellezza, senza "tradire lo stile del luogo". Nessuna attività sarà penalizzata e costretta a cessare, ma piuttosto trarrà beneficio da nuove regole. E questo varrà per le cave apuane come per l'agricoltura. Restituiremo alle attività agricole 200 mila ettari di bosco. Basterà dimostrare che un tempo essi furono terreni agricoli. Le attività estrattive sopra i 1200 m di quota cesseranno entro 6 anni, coll'eccezione di Minucciano e Levigliani (Stazzema), antiche comunità di cavatori aggrappate al marmo e alla sua ricchezza.
Le coste e le dune saranno difese e presidiate, mai più saranno costruite nuove piscine sulle spiagge. Mai più si ripeteranno in Toscana casi come quello di Monticchiello, mai più spunteranno saldature di cemento lungo la rete viaria. Il punto d'equilibrio sta nel fatto che alla fine questo piano dispiacerà a chi voleva la chiusura totale delle cave, così come a chi vorrebbe fare tutto come prima. Le regole aiutano la qualità. E la qualità può costare di più, ma spesso dura di più e rende di più. Per questo attraverso un'altra specifica legge (l.r. 356) abbiamo reso pubbliche tutte le cave, comprese quelle classificate tra i "beni estimati" (dal 1751), ponendo vincoli precisi, temporali e produttivi, tra cui il rinnovo delle concessioni solo a chi si impegnerà a lavorare in loco il 50% dell'estratto.
Solo attraverso un temperamento legislativo e una sapiente costruzione di argini e contrafforti possiamo contenere predazioni, rese possibili - più che dalla deliberata volontà di devastare - dall'inarrestabile avanzamento tecnologico, che in alcuni casi specifici ha ridotto la forza lavoro e moltiplicato in modo esponenziale la capacità di intervento, come è accaduto in anni recenti sulle cime delle Alpi toscane.
Come sta accadendo in questi giorni negli Stati Uniti, dove la stretta sulle attività di 'fracking' voluta dall'amministrazione americana e osteggiata dai lobbisti del petrolio. Applicando queste nove regole potremo, a partire dalla Toscana, intervenire anche nella creazione e nella redistribuzione di nuovo lavoro e di nuovo valore. Mettiamo per una buona volta in discussione il nostro modello di sviluppo, apriamo i ponti a un nuovo umanesimo a partire dal rispetto per il suolo e per la terra, senza il timore di sbagliare.
Gli errori e le devastazioni alle nostre spalle sono innumerevoli e basterebbero a giustificare un cambio di passo. Percorriamo nuove strade, imbocchiamo nuove direzioni. Pensate ad esempio a tutto l'edificato invenduto presente nella nostra regione come nel resto d'Italia. Se per qualche anno non edificheremo più, ma ci dedicheremo a ristrutturare e recuperare faremo un gran bene alla Toscana e al futuro.
Nessun commento:
Posta un commento