Parlare di Dio col sorriso
Un attore comico rilegge la Bibbia
Gioele Dix è un attore, scrittore e regista, noto per la sua partecipazione a programmi comici di successo in Italia. Gioele Dix è il nome d’arte di David Ottolenghi, nato e cresciuto in una famiglia ebraica di Milano, profondamente radicato nella tradizione religiosa dell’ebraismo, amante della Bibbia. Una Bibbia che di tanto in tanto affronta, nei suoi spettacoli, con verve ironica, con umorismo, con una sana dose di irriverenza, e con grande intelligenza. Lasciando affiorare dubbi e interrogativi, e anche qualche certezza. Gioele Dix ha la sua bacheca su Facebook.
Intervista
Ho notato che lei spesso mette degli occhiali scuri, degli occhiali da sole. E poi lo spettacolo che sta portando in scena si chiama “Nascosto dove c’è più luce”. Ma che cosa è il mestiere che lei fa, è un nascondersi e un mostrarsi nello stesso tempo?
Esattamente, si è una contraddizione in termini. Infatti “nascosto dove c’è più luce” è una frase che devo a un vecchio amico psicoanalista che mi disse: tu sei fatto per fare l’attore perché ti piace stare nascosto dove c’è più luce. Frase che mi è rigirata nella testa per anni. Non subito ne ho colto la profondità. Noi viviamo questa contraddizione: da un lato abbiamo questa necessità di metterci in mostra per motivi vari. Dall’altro però abbiamo una forma di riservatezza. Essere un po’ schivi, anche un po’ timorosi della gente, del giudizio. E quindi si fa questa specie di lavoro sul filo dell’equilibrio per tutta la vita.
Sebbene abbia fatto anche del cinema e abbia scritto un romanzo, lei è prima di tutto un attore comico. Però recentemente ho letto un’intervista in cui lei rivendicava - proprio come attore comico - il diritto di affrontare temi importanti, i grandi temi della vita, il senso delle cose...
Direi che è quasi un dovere. Il confrontarsi con i temi alti è una necessità dal punto di vista filosofico, perché l’istinto comico nasce dalla sofferenza, dal dolore, da tutto ciò che è storto. E la comicità, la risata, è una chiave per superare quel dolore. Ecco da dove nasce, oltre che da un rapporto personale e spirituale, il desiderio di confrontarsi per esempio con la Bibbia.
Siamo sui temi alti e saliamo ancora un po’ di più. Lei ha detto molto francamente di essere credente. Di questi tempi però non si sa bene che cosa significa, perché tutti credono in qualche cosa, le fedi si moltiplicano, siamo in un mondo sempre più plurale, allora forse è più semplice se le chiedo: quale è il suo Dio, che aspetto ha il Dio in cui lei crede?
Non posso prescindere dal fatto che da bambino essendo cresciuto in una famiglia credente di religione ebraica la figura del Padre eterno è una figura per l’appunto imponente che forse da bambino intimidisce anche un po’. Mio nonno mi diceva: ricordati che Dio ti guarda. Negli anni ho capito che questo atteggiamento di mio nonno era un modo semplice per dirmi che Dio è la mia coscienza è una presenza che hai dentro di te e io devo dire negli ultimi anni ho evoluto questo pensiero ritenendo che non sia tanto Dio a chiamarti, non citofona lui, ma sei tu che vai a cercarlo.
Una decina d’anni fa lei ha scritto un libro che ha avuto molto successo - ed era tratto da un suo spettacolo - “La Bibbia ha (quasi) sempre ragione. Una cosa che lei si chiedeva nella prefazione di quel libro era: “In fondo il problema è chi è Dio e poi che cosa me ne faccio”. Lei che cosa se ne fa?
So cosa non farmene, cioè non usarlo come consolazione perché è un po’ carente. Quello sarebbe un Dio solo buono con qualcuno, io ho la sensazione che Dio sia soprattutto una proposta di equità, quindi di avere un bel rapporto fra ciò che fai e ciò che ricevi magari anche con una buona quota di cose che fai senza preoccuparti troppo di ciò che ricevi. In questi tempi confusi è importante avere alcune idee importanti: una certa onestà, una certa coerenza e un rispetto per gli altri, una discreta attenzione alle cose buone, all’amore verso le cose che si fanno.
Come mai lei si è messo a leggere e portare in teatro la Bibbia, anche in modo ironico?
Gli ebrei hanno una tradizione di discussione, quindi anche discutere su noi stessi e discutere anche con Dio e dire: no, questa cosa non mi garba. Io ho pensato che potesse valere la pena portare in scena la Bibbia, in un paese che fra l’altro nella maggioranza schiacciante è cattolico o comunque cristiano e dovrebbe avere un rapporto forte con la Bibbia, anche se spesso non ce l’ha. E devo dire che la cosa più sorprendente per me è stata il grande assenso che ho avuto dal mondo cattolico. Non è irrisione, è un modo morbido di leggere questo libro che è molto umano, che dovrebbe essere sporco di sugo perché te lo porti in cucina: è un libro da vivere, da respirare, che cambia a seconda della tua età. Le parole sono sempre quelle, ma ti suonano in una maniera diversa a seconda dell’età.
Che rapporto ha lei con l’ebraismo? Mi viene da chiederglielo perché tempo fa è circolata la notizia che Moni Ovadia - un altro attore, un uomo di teatro come lei - avrebbe rotto il rapporto con la comunità ebraica di Milano. Allora mi sono chiesto quale sia il suo rapporto con la religione in cui è nato...
Diciamo che intanto è una tradizione abbastanza ebraica quella di dividersi: ci sono due ebrei e tre organizzazioni, di solito si dice che sia così. Proprio Moni Ovadia, mi ricordo raccontava una storiella straordinaria di un naufrago ebreo che quando finalmente vengono a prenderlo fa vedere al comandante della l’isola nella quale si è organizzato per un anno, da solo. Gli fa vedere due capanne sul fondo e allora il comandante gli dice: ‘che cosa sono quelle due capanne?’ Lui dice: ‘quelle sono le due sinagoghe’. ‘Ma scusi, lei era da solo…’ ‘Sì - risponde il naufrago - perché in una andavo a pregare e nell’altra per fortuna non ho messo mai piede!’. Io non so i motivi per i quali Moni Ovadia abbia fatto quella dichiarazione, quindi non mi pronuncio, però so che questo è un po’ nella nostra tradizione. Ma questo legame comunque non si scinde in ogni caso, perché probabilmente rientrerà da un’altra parte.
Un’ultima domanda per concludere: lei quando sale sul palco e ci sale spesso, praticamente ogni giorno, che cosa cerca là sopra?
Il teatro è senz’altro un’esperienza che si rinnova ed è un’esperienza nella quale il godimento è abbastanza evidente. Quando si stabilisce la relazione e spesso si stabilisce quasi subito, quel momento lì è molto bello e quindi io è a quello che mi preparo quando entro in scena: che si crei quella piccola magia, una magia che poi non è così misteriosa, non è un trucco, è una cosa proprio vera. Diceva Benigni una volta che al suo paese diceva quando c’era il teatro: stasera c’è il cinema con gli uomini veri. Ecco, il teatro è una cosa con gli uomini veri, respiranti, il pubblico lo è, tu lo sei, puoi fare degli errori, è una relazione interessante e tra l’altro irripetibile. (intervista a cura di Paolo Tognina, adattamento Luisa Nitti).
Nessun commento:
Posta un commento