Michel, da Como al Perù per salvare l’Amazzonia
Michel, a poco più di vent’anni, ha lasciato l’Italia per trasferirsi in Sud America e combattere contro la deforestazione e la monocoltura. Oggi ha 33 anni; in Perù ha fondato una Ong con cui porta avanti il suo progetto e ha dato corpo e voce a ciò in cui crede. E ci racconta la sua storia.
di Elena Tioli - 30 Aprile 2015
Michel, classe ‘82, nato a Cantù, una laurea in Ingegneria Ambientale al Politecnico di Milano, da 10 anni vive in Sud America per inseguire un sogno: attuare un modello di sviluppo sostenibile nella regione amazzonica, per permettere alle comunità presenti di coesistere con l'ecosistema forestale senza trasformarlo in una vasta monocoltura agricola. Oggi, dopo aver viaggiato, studiato e lavorato in Costa Rica, Nicaragua e Perù, vive a Madre de Dios, nell’amazzonia peruviana, dove ha fondato una Ong locale - ArBio - con cui porta avanti il suo progetto di preservazione dell’ecosistema forestale.
Michel come è iniziato il tuo viaggio in America Latina?
«Tutto è cominciato con il corso di studi in Ingegnieria Ambientale e dalla possibilità di partecipare a un programma di cooperazione internazionale tra atenei, che mi ha permesso di studiare un semestre Ingegneria Forestale a Santiago del Cile. Avevo 21 anni, non sapevo lo spagnolo, ma ho pensato che non poteva essere così difficile e mi sono tuffato. In Cile ho scoperto la differenza tra l’insegnamento accademico italiano, molto teorico, e quello latinoamericano, dove gli esami si fanno camminando nella foresta con il prof che ti chiede i nomi di flora e fauna che si presentano lungo il cammino. Questo mi ha permesso di trasformare la teoria in pratica, di trasformare lo studio nella mia vita e nel mio lavoro».
Cos’è successo da lì in poi?
«Finita l’università partii subito per la Costa Rica, un’eccellenza a livello mondiale sulle politiche ambientali. Un Paese che dal 1946 ha abolito l’esercito per destinare i fondi militari all’educazione e alla sanità pubblica e che già oggi, grazie alle sue politiche ambientali, si può definire a “emissioni zero”. E’ il primo e unico Paese al mondo a non contribuire all'effetto serra. Questa esperienza mi ha insegnato tanto sulla gestione delle politiche ambientali a livello internazionale e su come funzionino le grandi Ong. E a questo punto non sono più riuscito a tornare indietro. La decisione è stata ovvia sia dal punto di vista etico che lavorativo: sono un ingegnere senza lavoro, con maestria in gestione e conservazione della foresta tropicale, e con una foresta amazzonica a fianco, che faccio? Così, insieme alla mia compagna di allora, Tatiana, anche lei ingegnere ambientale, e a Rocio, un’ingegnere dell’industria alimentare, abbiamo deciso di creare qualcosa di nostro, e così è nato ArBio».
Di cosa si tratta?
«ArBio è una Ong che vuole opporsi alla monocoltura intensiva proponendo e sviluppando un modello di Conservazione Produttiva: un metodo che permette di conservare e valorizzare l’ecosistema, mantenendo l’architettura della foresta e, al contempo, generare benessere per le comunità che vi vivono, coltivando specie produttive. Questo modello si chiama Forestería Analoga: un sistema di agricoltura che promuove la resilienza, rispetta l’ecosistema forestale e garantisce reddito e sostentamento alle comunità che vi abitano».
Perché proprio nella regione di Madre de Dios?
«Perché in questa regione è stata da poco terminata una superstrada: la Superstrada Interoceanica che parte dalla costa pacifica del Perù e scende nella regione amazzonica fino alle coste atlantiche del Brasile. Questa strada ha sicuramente aiutato a migliorare la qualità della vita della popolazione locale ma al tempo stesso ha portato con sé il classico sistema di sviluppo e uso del territorio che prevede deforestazione, incendi massivi, monocolture e allevamenti bovini estensivi. Oggi in Brasile guidando lungo la stessa superstrada, la foresta non si vede più: in soli venti anni sono stati rasi al suolo 50 km di foresta a destra e 50 km a sinistra dalla superstrada. Questo mi ha fatto scattare l’idea: in Perù la superstrada è ancora nuova e quindi è ancora possibile intervenire per fermare la deforestazione. Madre de Dios inoltre è una delle uniche zone al mondo che ancora possiede comunità indigene pristine. La metà della regione è sotto l’egida di parco nazionale, riserva territoriale delle comunità indigene destinata alla conservazione assoluta. Ma cosa fare con l’altra metà? Un territorio grande come la Svizzera, che non è protetto in nessun modo e che, se lasciato a se stesso, si trasformerà in monocoltura o terra di allevamento, cosa inammissibile per moltissime ragioni: la quantità di CO2 che attualmente è immagazzinata in forma solida e che verrebbe bruciata, la quantità di biodiversità che si perderebbe, l’importanza che ha il manto forestale nella preservazione del suolo e della sua fertilità».
Come si svolgono le tue giornate?
«In genere per tre settimane al mese vivo in città a Puerto Maldonado, dove svolgo più o meno lavoro d’ufficio, autogestito. Per una settimana poi mi trasferisco nella foresta e qui il mio lavoro varia dal pattugliare ad aprire sentieri, dal costruire o installare fototrappole al coltivare l’orto dal pulire al sistemare il campo e molto altro ancora. Si tratta comunque di uno stile di vita molto diverso da quello cui si è abituati».
Cosa intendi?
«La nostra è una vita sobria, molto diversa da quella “tradizionale”. Cambia la maniera di vedere le cose, qui una cosa mezza rotta non è ancora rotta e quindi si continua a usare e poi si cerca di aggiustarla e, soprattutto, cambia il modo di relazionarsi con le persone, qui le relazioni, la comunità, i rapporti anche con gli sconosciuti hanno un immenso valore. Sicuramente ho molte libertà e molto tempo. Dal 2006 non ho neanche la televisione e adesso non sopporto nemmeno i 4 secondi di pubblicità di youtube. A volte però mi sento fuori dalla società, intesa sia come possibilità di andare al cinema, al teatro, al centro sociale, in discoteca, in libreria, a un concerto o via dicendo, sia come presenza di infrastrutture, trasporto pubblico, rete fognaria, eccetera».
Com’è vivere dedicando il proprio tempo alle proprie passioni, ai propri sogni, alla natura?
«È bello. Sono orgoglioso di quello che faccio, e non è sempre facile esserlo. Certo, vorrei che il mio lavoro mi permettesse una vita più decorosa in termini di guadagni e più gratificante in termini di riscontri, ma sono sicuro che prima o poi la gente capirà l’importanza di quello che facciamo».
Come si può dare una mano?
«Adottando un pezzo di foresta! Diecimila metri quadri si possono proteggere con 30 euro all’anno, 2,5 euro al mese. E’ il costo stimato per coprire le spese per il custode forestale, la manutenzione basica delle stazioni di vigilanza (cucina e acqua potabile), il monitoraggio e gli investimenti in ricerca. Oppure si può donare a ArBio il 5 per mille. O ancora, decidere di proteggere una foresta come azienda, associazione o ente. E infine, nel caso delle aziende, si può decidere di fare un Life Cycle Assessment (valutazione del ciclo di vita, conosciuto anche con la sigla LCA, ndr) dei propri prodotti con Demetra. Oppure potete sempre venire a trovarci! Chi ha adottato un ettaro di foresta può venire a vederlo quando vuole: l’alloggio al campo base è gratuito, viaggio e vitto no. Per chi invece volesse venire a darci una mano o a imparare il mestiere il momento migliore è da ottobre in poi. L’inizio della stagione delle piogge è, infatti, il periodo in cui si pianta, prima non c'è tanto da fare. Dall’anno prossimo invece le possibilità aumenteranno: stiamo mettendo in piedi una fattoria didattica per la popolazione regionale e stiamo pensando a una casetta dove far alloggiare i volontari».
Come vedi l’Italia da laggiù?
«Una tartaruga gigante che si muove a rilento, con un sacco di molecole che stanno ribollendo di attività interna ma con un guscio duro di vecchie e corrotte abitudini che ancora oggi non si riesce a spezzare».
Cosa consigli a chi vorrebbe molare tutto e cambiare vita?
«Cambiatela. Come paracadute, potete sempre tornare a quella vecchia, che non sarà ovviamente la stessa, ma meno male. Per questo volete cambiare, no?».
Nessun commento:
Posta un commento