mercoledì 3 giugno 2015

FAO:la tragedia della fame nel mondo continua

Fao: la fame nel mondo scende sotto gli 800 milioni di persone, ma non possiamo cantar vittoria

tractor-167079_640Decine di stati che, nel mappamondo FAO sull’emergenza alimentare, passano dal rosso scuro a gradazioni più tenui. Un’immagine che rende piuttosto bene l’impatto della notizia emersa dall’ultimo rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla fame, secondo cui sono 72 i Paesi che hanno dimezzato la percentuale delle persone cronicamente sottoalimentate.
Oggi, stando al rapporto le persone colpite dalla fame sono circa 795 milioni, più di 200 milioni in meno rispetto al biennio ‘90/’92. Un numero impressionante, se si considera come da allora la popolazione sia aumentata di quasi 2 miliardi: a questo si aggiunge la notizia secondo cui 29 di questi paesi hanno raggiunto il traguardo del dimezzamento del numero totale delle persone denutrite entro il 2015, stabilito dal Vertice Mondiale sull’Alimentazione del 1996.
Il Direttore Generale Fao Josè Graziano da Silva ha festeggiato questo risultato ricordando l’impegno collettivo contro la fame da parte delle Nazioni Unite: «Dobbiamo essere la generazione Fame Zero. Questo obiettivo dovrebbe essere integrato in tutti gli interventi politici ed essere al centro della nuova agenda per lo sviluppo sostenibile da stabilire quest’anno».
Ottime notizie, che vanno però contestualizzate: i progressi sono ancora insufficienti nei Paesi in via di sviluppo, dove l’instabilità politica, tensioni e conflitti sociali, emergenze ambientali e sanitarie non danno tregua alle popolazioni. Basti pensare all’Africa, dove 24 Paesi, il doppio rispetto al 1990, affrontano crisi alimentari. Nel complesso il quadro è eterogeneo, con situazioni a macchia di leopardo: buoni i risultati in Asia orientale, America Latina e Caraibi, Sud Est Asiatico e alcuni Paesi dell’Africa. Molto inferiori i progressi in Asia Meridionale; rimangono critiche le situazioni dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia occidentale.
Nonostante una situazione così caotica e irregolare, esaminando i dati del rapporto emerge come esistano tratti comuni a quasi tutti gli stati che hanno visto migliorare in modo sensibile l’emergenza fame.
Prima di tutto lo sviluppo della produttività agricola su piccola scala, con il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei piccoli nuclei contadini familiari.
Un altro fattore fondamentale è lo sviluppo di un’economia inclusiva: l’aumento del gettito fiscale non significa automaticamente progresso, e il miglioramento delle condizioni di nutrizione si verifica solo in quei Paesi in cui vengono tutelati e assistiti anche i settori produttivi economicamente più deboli, e in cui la ricchezza viene ridistribuita in modo più omogeneo. A questo proposito citiamo testualmente il report: «Una crescita inclusiva fornisce opportunità a coloro che hanno minori risorse e competenze per incrementare i propri redditi, fornendo quella capacità di resistenza di cui hanno bisogno per superare tutte le calamità sia naturali che provocate dall’uomo. Aumentare la produttività degli agricoltori a livello familiare è un modo efficace per uscire dalla povertà e dalla fame».
Infine è fondamentale anche lo sviluppo della protezione sociale. Parliamo di trasferimenti di denaro a famiglie vulnerabili, programmi di assicurazione sanitaria, mense scolastiche, appalti agli agricoltori locali: insomma quando si stabilisce una solida rete di solidarietà sociale, le condizioni della fame e della salute tendono a migliorare. Le persone ben nutrite e in salute a loro volta tenderanno a produrre di più: ed ecco innescato il circolo virtuoso.
Appare chiaro come l’agricoltura familiare e le produzioni artigianali siano la via più sensata per raggiungere l’obiettivo fame zero.
«L’agricoltura che nutre il pianeta è quella che si pone come obiettivo il benessere delle persone, prima di tutto, prima ancora del profitto», afferma Cinzia Scaffidi, vice presidente di Slow Food Italia, commentando la notizia. «Il 2014 è stato l’anno internazionale dell’agricoltura familiare e il mondo ha riflettuto e incoraggiato quel modo di produrre cibo, quel tipo di atteggiamento e di cura verso le persone e gli altri viventi; il 2015 è l’anno dell’Expo di Milano e abbiamo a disposizione altro tempo, e altre risorse, per riflettere e promuovere un’idea di produzione sostenibile di cibo. La consapevolezza degli individui e dei governi sta crescendo e i primi risultati si vedono. La strada è certamente ancora lunga e disseminata di ostacoli: ma è sempre più evidente che il modello produttivo che ha dominato finora non è più difendibile e i primi passi in una direzione diversa stanno dando qualche risultato».
A cura di Paolo Tosco
p.tosco@slowfood

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