Giù la mimetica. Non protegge dalla veritàby maomao comune |
No, questa volta non basta. Matteo Renzi si affida alla nota capacità mediatica della sua immagine, due scatti notevoli, costruiti con cura: eterno adolescente che gioca alla playstation mentre aspetta il verdetto del voto e dinamico ragazzo-premier che vola a ringraziare i coetanei che rischiano la pelle a Herat per l'onore della patria. Stavolta però l'immagine non arriva a coprire i fatti: il suo Pd perde una montagna di voti. E' il primo graffio vero sul viso del sindaco d'Italia. Questo hanno detto le "regionali", con l'astensionismo che dilaga, i Cinque Stelle che riprendono la marcia e la Lega di Salvini che incassa il vero successo. A sinistra, laddove si costruisce realmente una rete nei territori, forse s'è aperto un varco. A patto che la mimetica indossata per rancori e settarismi venga dismessa una volta per tutte e lasciata al patriottico teatrino del premier
di Marta Bonafoni
Il Presidente del Consiglio che gioca alla playstation, il Presidente del Consiglio che si fa ritrarre in tuta mimetica in mezzo ai militari ad Herat.
Il Presidente del Consiglio che gioca alla playstation, il Presidente del Consiglio che si fa ritrarre in tuta mimetica in mezzo ai militari ad Herat.
Non so quale di queste due foto renda meglio l'idea di cosa siano state queste elezioni regionali 2015, per il Pd e per il Paese tutto.
Da una parte Matteo Renzi che decide di farsi ritrarre mentre aspetta i risultati elettorali, davanti alla simulazione di un Clasico Barcellona-Real Madrid, suggerisce quale svuotamento di valori accompagni ormai l'appuntamento democratico per eccellenza: il voto. Intendiamoci, non c'è nulla di male ad ingannare l'attesa giocando alla play (ognuno scarica la tensione come può). E' la scelta di voler pubblicare quella foto, suggellando e immortalando in quel modo quel preciso momento, a dire di un'idea di democrazia leggera, guascona, da maschio adolescente-a-vita, senza il carico delle responsabilità, che preoccupa.
Seguita a stretto giro da un'altra foto: Renzi che all'indomani della "non vittoria"(dunque è toccato anche a lui, proprio come a Bersani nel 2013) vola di buon mattino in Afghanistan, a far visita al contingente italiano. Come a dire: ci sono cose più serie dei risultati in Liguria. Dissimulando (male), in questo modo, dietro la retorica patriottarda, la sua incapacità di commentare - appunto - un non trionfo.
Dunque l'attacco ai diritti del lavoro, alla scuola, le torsioni delle riforme del Senato e la nuova legge elettorale, stavolta hanno lasciato un primo graffio anche sul volto rampante del Sindaco d'Italia.
Non era successo per dire dopo le regionali in Emilia Romagna, dove certo il centro-sinistra era tornato a conquistare una delle Regioni "rosse" pagando però la frattura con i sindacati sul Jobs Act con un astensionismo che aveva sfiorato il 60%. Allora Renzi aveva risposto con un toscanissimo "me ne frego". D'altra parte se il punto non è la democrazia ma il potere non importa quanti votino, importa chi arriva primo.
Stavolta Renzi non si è potuto permettere tanto, perché accanto al dato bassissimo e allarmante dell'affluenza altri numeri hanno raggiunto il premier mentre segnava il suo goal virtuale ad Orfini, o mentre rombava in elicottero verso il fronte di guerra. Il PD a queste regionali ha perso infatti una montagna di voti, più di due milioni se rapportati a quelli delle Europee dell'anno scorso.
Molto più che un campanello di allarme.
Ma a chi sono andati allora tutti questi consensi?
Le prime analisi dei flussi dicono che l'astensionismo è stato alimentato proprio dai delusi del Pd (meglio, delle sue politiche). Mentre altri spostamenti di voti hanno visto avvantaggiarsi in parte il Movimento Cinque Stelle e in larghissima parte hanno contribuito al trionfo dell'unico vero vincitore di queste elezioni: Matteo Salvini. Ruspe comprese.
Le prime analisi dei flussi dicono che l'astensionismo è stato alimentato proprio dai delusi del Pd (meglio, delle sue politiche). Mentre altri spostamenti di voti hanno visto avvantaggiarsi in parte il Movimento Cinque Stelle e in larghissima parte hanno contribuito al trionfo dell'unico vero vincitore di queste elezioni: Matteo Salvini. Ruspe comprese.
Il risultato della Lega, secondo partito addirittura in Toscana, ormai forte e a prova di muscoli anche in Umbria, è un dato che riguarda da molto vicino anche noi, che viviamo e facciamo politica a Roma. I leghisti (e i loro accoliti neofascisti) si sono già visti in azione a Corcolle e a Tor Sapienza, ben informati ne raccontano una presenza massiccia in questi giorni a La Storta, dove i comitati protestano contro l'arrivo di un gruppo di rifugiati al Casale di San Nicola. Per non parlare della fiaccolata con saluti romani, che ha attraversato le strade di Primavalle dopo l'investimento e l'uccisione della giovane Corason.
E di fronte a tutto questo la sinistra? Come esce da queste regionali 2015?
Indubbiamente con il risultato di Luca Pastorino in Liguria. Quel quasi 10% di consensi che dice bene di come la strada sia ancora tutta da tracciare, ma di come contemporaneamente un percorso esista, sia possibile, praticabile. E si sia aperto domenica.
In linea di massima mi pare di poter dire che la sinistra ha un'affermazione buona là dove ha saputo costruire una rete sui e con i territori, dove non si è chiusa nel minoritarismo narcisista. Il punto non mi sembra essersi presentati o meno alleati al PD (Genova non è la Toscana e non è la Puglia) ma aver portato avanti proposte politiche coerenti.
Ecco. Coerenza, rete, capacità di lavorare insieme e principio di realtà (che non vuol dire per niente svendere i propri ideali) mi sembrano le caratteristiche da cui può partire una nuova cosa a Sinistra. Capace di portare innovazione, proposta, difesa e promozione dei diritti e dei beni comuni sul terreno di una contesa per il governo, alternativa a questo PD.
Per metterci su questa strada, per provarci - almeno - a camminare insieme, c'è bisogno però che anche la sinistra tiri giù la propria mimetica: quella dei molti rancori e delle mille divisioni che ci ha tenuti l'un contro l'altro armati fino ad oggi.
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