lunedì 8 giugno 2015

Pisa:la coppa del mondo rebelde

La Coppa del mondo rebelde

by JLC
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Foto tratta dalla pag. fb Asd Koa Bosco

di Progetto Rebeldìa di Pisa
“Grazie, grazie per essere venuti, per aver rischiato, per aver sopportato, per essere rimasti, per aver vinto. I sogni attraversano gli oceani”. Questo è il testo della targa che il Progetto Rebeldia ha consegato domenica 7 giugno presso i campi del dopolavoro ferroviario di Pisa, in occasione della decima edizione del Mondiale Antirazzista, alla squadra dell'Asd Koa Bosco, giocando la prima partita con la storica squadra rebelde: la Dinamo 633.
Quello è stato il primo match che ha inaugurato il torneo di cui tutti, italiani e nati all'estero, cittadini vecchi e nuovi, si contendono la Coppa del mondo rebelde, un mondo che spesso abbiamo definito “alla rovescia” rispetto alla congiuntura che stiamo vivendo, dando un calcio al pallone e uno, molto più vigoroso, al razzismo. Quest'anno ha preso il via domenica 7 giugno, per continuare fino alla finalissima del 28 giugno su quelli del circolo Arci Pisanello con le prime partite vere con Albania, Africa Unita, Marocco, Kurdistan e Shalke 17 e proprio con l'Asd Koa Bosco arrivata per l'occasione da Rosarno.
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L'Asd Koa Bosco è composta da un gruppo di ragazzi provenienti dall’Africa subsahariana. Di notte dormono nei container, ammassati, appena fuori Rosarno (Reggio Calabria), in una delle periferie più squallide d'Italia. Di giorno si spaccano la schiena raccogliendo arance e nel tempo libero ha vinto il campionato di terza categoria calabrese della Figc. Sì, proprio la federazione italiana gioco calcio, quella della serie A, ma anche quella il cui presidente pochi mesi fa ironizzava con le solite battute troglodite e razziste sui giocatori africani e le banane. Possiamo sperare che quelle frasi a loro non siano arrivate, sono troppo occupati durante il giorno a lavorare sul serio, mica come i loro colleghi professionisti. Sono arrivati in Italia scappando da guerre e miserie sparse per tutto il continente africano, sui barconi o con altri mezzi di fortuna, come tanti ogni giorno. Sono arrivati in una terra che profumava di zagara e di arancia e che invece ora puzza solo di rifiuti.
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Alcuni hanno ottenuto asilo politico, altri, pochi, permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Sopportano razzismo, freddo, sporcizia, anche gli spari fin prima della rivolta di Rosarno nel 2010. Poi un prete, Roberto Meduri, una specie di don Milani del calcio, li ha messi insieme, ha racimolato divise, scarpe e palloni e ne ha fatto una squadra dilettantistica, iscrivendola a un campionato della Figc, un campionato vero. Naturalmente la loro vita non è cambiata, hanno continuato a spaccarsi la schiena per pochi spiccioli, a dormire nelle tende tra i rifiuti, a subire i cori razzisti la domenica e il razzismo di tutti i giorni dal lunedì al sabato. Sono arrivati come ultimi e sono arrivati primi, promossi in seconda categoria, come in un romanzo di Osvaldo Soriano.
Le vittorie non gli hanno permesso di trovare uno sponsor che li sostenesse, ce l'hanno tutte le squadre, una tabaccheria, un'officina, una pasticceria stampata sulla maglia. Loro no, non hanno trovato nessuno disposto a rischiare. Al sud non c'è bisogno della Lega Nord per aver paura dell'uomo nero.
577793_498829190235906_1810345393_nLa loro favola ha commosso il Guardian, Sky e la Juventus FC, sì proprio quella vera. Sono finiti sulle prime pagine, prima dei giornali e delle tv locali, poi su quelle internazionali. Domenica nessuno meglio di loro avrebbe potuto dare il via alla decima edizione dei mondiali antirazzisti che si sono svolti ogni anno a Pisa, sì, perché è ormai da dieci anni che il Progetto Rebeldia coinvolge tutte le realtà migranti locali: da quelle storicamente più radicate e incluse nel tessuto cittadino (albanesi, senegalesi, tunisini, brasiliani, rumeni) a quelle meno legate a realtà nazionali e arrivate da poco (richiedenti asilo, kurdi, maghrebini, macedoni). Insieme alle realtà territoriali sensibili e impegnate nel campo dell'accoglienza, si fronteggiano non ad una frontiera o a un braccio di mare, ma semplicemente su un campo di calcio.

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