lunedì 15 giugno 2015

Su scuola e intellettuali

Il sofismo pedagogico di Umberto Galimberti

by JLC
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Foto tratta dalla pagina fb dell'Unione degli studenti
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di Alain Goussot*
L'intervento di Umberto Galimberti intorno al progetto la Buona scuola è nei fatti un sostegno al progetto renziano e conferma la mia analisi sul ruolo degli intellettuali italiani come organizzatori del consenso per conto del pensiero dominante. Provo a spiegare qui il mio dissenso di fondo con l'articolo di Galimberti apparso nell'inserto donne di Repubblica del 6 giugno 2015.
1) Galimberti afferma che gli insegnanti si dovrebbero porre dal punto di vista degli studenti; questa affermazione apparentemente condivisibile nasconde un sofismo pedagogico: l'idea che l'argomento di cui si sta parlando interessi solo gli studenti e che non ci sia anche una analisi da fare sulla relazione educativa e la sua natura. In questo senso ci sarebbe anche tutta la questione della costruzione dell'alleanza pedagogica tra scuole e famiglie che va posto in una prospettiva educativa. Colpisce anche l'assenza di riferimento alle esperienza concrete di co-educazione tra scuola-famiglie e attori sociali della comunità che da anni si stanno sviluppando in diverse parti d'Europa e del mondo, nonché anche nella realtà italiana.
2) Galimberti parla dell'essere maestro e dice anche qui una cosa apparentemente condivisibile cioè che educare non è istruire. Ma c''è anche qui un sofismo pedagogico: si dimentica che il ruolo dell'insegnante è insieme d'istruire e di educare, costruire le situazioni di apprendimento che favoriscono l'accesso di tutti ai saperi e alle conoscenze e farlo con delle modalità che favoriscono la formazione della personalità. Forse Galimberti ignora che Johann Friedrich Herbart e Johann Heinrich Pestalozzi, passando per Jean-Jacques Rousseau (per arrivare alle cose scritte attualmente da Edgar Morin sull'imparare a vivere), ci hanno dimostrato che istruzione e educazione sono strettamente collegati nel processo d'insegnamento/apprendimento. E che si tratta di un processo molto complesso. Non c'è neanche bisogno di scomodare Platone sull'imparare per "via erotica", basta rileggersi Maria Montessori o Célestin Freinet nonché i fondatori del movimento della scuola nuova per capire che il desiderio è alla base della motivazioni per impararee che la didattica è un processo vivo e non una tecnica standardizzata. L'importante è che in quello che il pedagogista francese Jean Houssaye chiama triangolo pedagogico (tra docente, oggetto conoscitivo e alunno) ci sia equilibrio e calore nella relazionetramite le mediazioni pedagogiche che deve gestire l'insegnante con il gruppo classe.
3) Galimberti propone di sottoporre i futuri insegnanti a dei test di personalità come si fa nelle grandi aziende e le multinazionali: sarebbe molto lungo ma basterebbe leggersi la letteratura critica sul ruolo di questi test che non misurano per niente il merito, le conoscenze della persona ma la sua adattabilità funzionale ad un sistema. Se Galimberti vuole un tipo di selezione che passi tramite i modelli comportamentali-cognitivisti sui quali si basano tutti i protocolli usati in questi test deve anche avere l'onestà intellettuale di dire che si tratta di un modello di formattazione per la nostra società capitalistica che richiede competitività e flessibilità e non persone che pensano e possano avere dei dubbi. Faccio notare un modello poco socratico o platonico. In realtà qui ci sarebbe tutta la questione molto seria di quale formazione pedagogica di base e quale formazione in itinere degli insegnanti che non sembra preoccupare più di tanto Galimberti.
4) Galimberti come tanti membri del governo e tanti attori dei media oggi usa l'argomento della valutazione come un sofismo: di quale valutazione stiamo parlando? Con quali criteri? Chi decide cosa? Come si valuta? Per esempio dà per scontato, nello spirito della vulgata neoliberista ormai diffusa, che il sistema privato sia più meritevole del pubblico: allora proviamo di capire bene la questione. Che ci debba essere un dispositivo valutativo non c'è dubbio ma una valutazione che sia parte integrante di un sistema formativo collettivo e individuale dove l'autovalutazione e la consapevolezza nonché l'etica della responsabilità pedagogica sia al centro del processo valutativo (leggi anche I docenti devono farsi giudicare?). È quello che succede nel privato? Ne dubitiamo molto? L'impressione è che il cosiddetto merito sia solo quantitativo e manageriale (e anche qui si potrebbe citare una lista infinita d'imprenditori premiati perché falliscono anche sul piano economico!) . Stupisce anche trovare sotto la penna di una persona raffinata come Galimberti espressione del tipo "assumere i capaci e licenziare gli incapaci". Chi sono i capaci e gli incapaci? Nel privato molto spesso quelli considerati come incapaci sono quei lavoratori che fanno troppe domande, è in fondo il modello neoliberista del ricatto e dell'uso dell'esercito di riserva che decide se assumere i capaci cioè i docili e licenziare gli incapaci cioè quelli che disturbano. Solo un modello pedagogico collegiale, integrato e cooperativo riesce a fare della valutazione un processo qualitativo per lo sviluppo di tutto il sistema nel senso di più equità e trasparenza. E questo parte anche dalla micro-realtà del gruppo classe come spazio cooperativo e auto-valutativo.
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5) Galimberti non nasconde neanche troppo il suo fascino per il sistema neoliberista della concorrenza quando afferma che bisogna promuovere "l'eccellenza e la concorrenza tra le scuole": concorrenza su quale piano? Cosa sarebbe questa eccellenza? La logica è quella dell'anfiteatro o del mercato dove le scuole entrano in competizione e lottano tra di loro per accaparrarsi le risorse private e in qualche modo i residuali premi pubblici(visto i tagli continui al bilancio della scuola di cui Galimberti parla): se la scuola ha la fortuna di stare un un quartiere bene con molti sponsor privati e donatori ricchi ci saranno molti progetti (poi poco importa la natura e la qualità di questi progetti) e quindi la scuola diventa meritevole. Se invece la scuola è in un quartiere povero, con una tasso di disoccupazione molto alta e una forte presenza d'immigrazione ci saranno poche donazioni private e di conseguenza pochi progetti, quindi verrà dichiarata poco meritevole? Sono a queste domande che Galimberti non risponde. Anzi l'impressione che si ha è nelle sue parole è quella di un certo disprezzo verso il popolo bue composta da bruti, cattivi e insegnanti incapaci. È un atteggiamento fortemente classista.
6) A Galimberti non importa la sorte umana di persone in carne e ossa quali gli insegnanti precari di lunga data e che non saranno tutti degli "incapaci", molti hanno anche speso un pezzo notevole della propria esistenza ogni giorno in trincea con tutti i disagi del mondo.
7) Galimberti è d'accordo per finanziare la scuola con il 5x000, dà per scontato che il bilancio pubblico non possa farsi carico della scuola pubblica e riconferma la sua adesione al modello neoliberista delle diseguaglianze in materia di opportunità, sembra anche ignorare il fatto che il progetto "la Buona scuola" è una scopiazzatura, neanche scritta bene, del progetto delle Charter school americane (l'auto-imprenditoria scolastica, leggi The Good school) che, al dire di molti osservatori, ha demolito il sistema scolastico statunitense. La sua affermazione di pagare gli scatti di anzianità degli insegnanti solo "compatibilmente con il bilancio dello Stato" vuol dire che si accetta gli stipendi di miseria per il corpo docente italiano (Galimberti parla molto degli standard formativi europei per dire il più gran male possibile della scuola italiana, lo fa ignorando cosa succede negli altri paesi europei, partendo anche dal presupposto che i dati forniti dall'Ocse, lo stesso organismo che promuove tutte le politiche neoliberiste dello Stato sociale in Europa, siano da bere senza porre il minimo dubbio sulla loro fondatezza).
8) Galimberti continua nel sofismo pedagogico quando afferma avere dei dubbi sullo strumento delle prove Invalsi (che come sanno tutti gli esperti seri di apprendimento non valutano il vero merito) ma che, visto che si tratta di una legge dello Stato, bisogna applicarle. E per dare forza alla sua affermazione usa Socrate che accettò di bere la cicuta dopo la sua condanna a morte dal tribunale di Atene, questo per applicare la legge. È vero ma Galimberti dimentica di precisare che Socrate mise il concetto di giustizia al di sopra di quello di legalità assumendosi fino in fondo il suo invito ai giovani di mettere in discussione le norme esistenti, ed è per questo che venne condannato! Verrebbe da dire che l'insegnante che si oppone al disegno di legge sulla scuola e ne parla con i suoi studenti e i genitori e si assume la responsabilità del suo atto di fronte ad una legge sbagliata e iniqua è più vicino a Socrate che non Galimberti.

*Alain Goussot è docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna. Pedagogista, educatore, filosofo e storico, collaboratore di diverse riviste, attento alle problematiche dell’educazione e del suo rapporto con la dimensione etico-politica, privilegia un approccio interdisciplinare (pedagogia, sociologia, antropologia, psicologia e storia). Ha pubblicato: La scuola nella vita. Il pensiero pedagogico di Ovide Decroly (Erickson); Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale (Aracneeditrice); L’approccio transculturale di Georges Devereux (Aracneeditrice); Bambini «stranieri» con bisogni speciali (Aracneeditrice); Pedagogie dell’uguaglianza (Edizioni del Rosone). Il suo ultimo libro è L’Educazione Nuova per una scuola inclusiva (Edizioni del Rosone)

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