lunedì 3 novembre 2014

LA GREENONCOLOGY

Green Oncology, per ridurre l’impronta ecologica in OncologiaDossier & documenti,Prima Pagina,Società & Sanità

di Gianfranco Porcile
per conto del gruppo Green Oncology di CIPOMO (Collegio Italiano Primari di Oncologia Medica Ospedalieri)
Introduzione
La crisi del welfare costringe tutti a scelte di sobrietà ed appropriatezza. E’ necessario accorgersi del fatto che è necessario un nuovo paradigma della medicina in cui le “Medical Humanities” abbiano un ruolo sullo stesso piano della “Medicina dell’alta tecnologia” e dove si affermi che, se il medico è l’esperto delle malattie, il paziente è esperto della “sua” malattia. Quindi è indispensabile prendere coscienza del fatto che “Una nuova medicina è possibile”, mutuando un noto slogan di ambientalisti e pacifisti. In questa nuova medicina al centro non è tanto il paziente, ma la relazione tra medico e malato/cittadino sano; e questa comunicazione reciproca deve essere alla base di ogni assistenza, senza accanimento né diagnostico né terapeutico.
Tra le diverse specialità della medicina l’Oncologia Medica, è quella che in questo momento attraversa le difficoltà economiche maggiori. “Green Oncology” è il nuovo paradigma che si pone il problema della sostenibilità economica ma anche di quella ambientale. Pur senza rinunciare a nessuno dei risultati terapeutici sin qui conseguiti, è necessario ed urgente escogitare una nuova forma di resilienza che abbia come obiettivo la riduzione dell’impronta ecologica di ogni oncologo.
La necessità di un passaggio dal modello biomedico a quello biopsicosociale ed ecologico presuppone conoscenze tecniche in campo ambientale (impronta ecologica, resilienza,ecc.), condivisione di valori etici (responsabilità, ecc.), capacità comunicative e relazionali con i pazienti, i cittadini e le associazioni di pazienti.
Sono concetti importanti: ci sembra opportuno soffermarci su ognuno di essi.
Il modello biomedico
Potremmo forse dire che fino a circa 30 anni fa la medicina ha seguito il modello “biomedico”: un modello che si basa sul linguaggio della chimica, della fisica e, più recentemente, su quello della biologia molecolare, con approcci “riduzionistici” nel senso di leggere in chiave fisico-chimica tutti gli aspetti della malattia ed “esclusionisti”, sottraendo alla qualifica di “malattie” tutte le situazioni che non possono essere spiegate in termini scientifici anatomo-chimici. L’approccio metodologico è quello lineare: eziologia (una causa per ogni malattia), prevenzione, diagnosi (una griglia dove classificare come “malattia” la serie di problemi ac­cusati dal paziente), stadiazione, terapia, riabilitazione, follow-up (cioè controllo nel tempo della situazione clinica del paziente), cure palliative, ecc. La relazione medico-paziente è un rapporto molto personalizzato nel senso che l’individuo “paziente” si relaziona con l’individuo “medico” e viceversa: in sintesi un rapporto che privilegia l’inte­resse del singolo paziente, quasi configurando un “fatto privato” tra malattia (il paziente viene identificato con la sua malattia) e “il” medico (che rappresenta per lo più l’unica figura assistenziale). La malattia a questo punto diventa un’etichetta che compare nella griglia di caratterizzazione nosologica: tutto è chiaro, schematico, “scientifico”.
Ma ben presto il modello biomedico mostrò i suoi limiti. Come distinguere una mera anor­malità biochimica o un sintomo da una malattia vera e propria? Le malattie possono avere gradi di intensità e gravità molto differenti: quando parlare di sintomi, quando di sindrome, e quando classificare come vera e propria “malattia”? Se è comprensibile la definizione di “malattia” in presenza di alterazioni biochimiche associate a sintomi clinici, come affrontare il problema dei disturbi mentali, dei disturbi psicologici, del “disagio”, di malattie come la schi­zofrenia, dove si è sempre postulata l’esistenza di un danno a livello anatomo-patologico,che però non è mai stato dimostrato?
Il modello biopsicosociale
Nel 1977 Engel proponeva per la Medicina un nuovo modello, il “modello biopsicosociale”(1). Questo modello voleva tenere conto dei determinanti di malattia (sociali, economici, ecc.), del contesto sociale in cui il malato vive, del ruolo del medico, ma anche del ruolo dell’intero sistema di assistenza sanitaria all’interno del quale si pone il rapporto a due medico-paziente. In questo approccio si tiene conto della “malattia” ma anche di quello che si potrebbe definire “un problema di vita”: spesso il paziente non può dire se il suo disturbo configuri una malattia vera e propria (“sono malato”) oppure soltanto un senso individuale di “problema di vivere”. Il medico curante dovrebbe decidere se ci si trova di fronte ad una situazione o all’altra, ma anche per lui spesso questa discriminante non è così facile. Si pensi al problema del dolore (“ il dolore è una vera e propria malattia o soltanto un sintomo?”) e a come fattori culturali, etnici e psicologici influiscano in maniera importante nel modo di soffrire e di manifestare la sofferenza. E si pensi alla stanchezza (astenia, fatigue) o agli stati depressivi più o meno leggeri, ecc. Da Sigmund Freud la Medicina ha imparato a fare i conti con nuove scienze: psicanalisi, psico-biologia, medicina psicosomatica, che hanno offerto nuove chiavi di lettura a malattie organiche (dall’asma bronchiale all’ulcera allo stomaco sino ai tumori), sia per quanto riguarda l’eziopatogenesi sia per quanto attiene alla storia naturale e all’evolu­zione di tali patologie. Era chiaro pertanto che come si sapeva ormai che le molecole sono all’interno delle cellule e queste all’interno degli organi, così il pa­ziente (ma sarebbe più appropriato dire la “persona”) si trova al centro della società e questa, a sua volta, si trova all’interno della biosfera.
Nella seconda parte del secolo scorso il mondo ha visto cambiamenti epocali di ordine culturale, etico, politico, sociale. Pensiamo alla vera e propria rivoluzione rappresentata dai movimenti per i diritti civili che portarono a battaglie importanti sia sul piano collettivo-sociale (il movimento delle donne, le comunità cristiane di base in campo religioso, il movimento studentesco, le lotte operaie, ecc.) sia su quello indivi­duale (libertà e diritti in campo sessuale, divorzio, aborto, diritti degli animali, ecc.). La rivolta studentesca del ‘68 avveniva nel nome di nuovi riferimenti culturali (Herbert Marcuse prima di tutto) e per la prima volta ci si accorse che tutte le manifestazioni di varie parti del mondo erano all’interno dello stesso villaggio globale, in cui tutti vivevamo, come già sosteneva Marshall Mc Luhan. In quegli anni cominciava a muovere i primi passi il movimento pacifista e ambientalista che si sarebbe molto sviluppato nei decenni successivi. Contemporaneamente si iniziava a criticare il “ragionamento lineare” con la “teoria della complessità”: le teorie di Poincaré e Prigogine avevano sempre più seguaci e cultori: basti ricordare l’ormai famoso “effetto farfalla” che tutti conoscono. Per arrivare alla più recente “intelligenza di sciame”.
L’approccio olistico, l’attenzione all’Ecologia, nel senso di un differente rapporto dell’uomo con la natura, la necessità di un’“altra logica”, erano i tre aspetti del messaggio di Gregory Bateson (2,3). Un messaggio non lontano da quello del filosofo Hans Ionas (4) per una nuova etica e per una nuova unione tra uomo e natura.
Tutto questo fermento culturale ed etico, in Medicina, si risolveva in un approccio “antro­pocentrico” (non più la malattia al centro, ma il malato, anzi, meglio il cittadino o la persona assistita), un approccio “circolare”, globale”, “olistico” che si sostituiva a quello “li­neare”. In questo modo il modello biopsicosociale incorpora le Medical Humanities all’interno della Medicina Tecnologica (ovviamente la tecnologia rimane irrinunciabile). La triplice definizione di Engel rappresenta bene questo nuovo modello “bio-psico-sociale”: a) Bio-: la malattia, il rischio di ammalarsi, la base organica, il substrato chimico-biologico della patologia; b) Psico-: la malattia vista come vissuto individuale: le attitudini, i comportamenti, gli aspetti psicologici sempre importanti, non soltanto nelle malattie psichiatriche; c) Socia­le: i fattori sociali: economici, educativi, familiari, spirituali,(1).Ancora un aspetto va menzionato in questo modello: non esiste un mero rapporto medico-paziente, ma il medico è ormai sempre di più membro di una équipe multiprofessionale (amministrativi, infermieri, medici, volon­tari, ecc.) e multidisciplinare (collaborazioni con anatomo-patologi, laboratoristi, psicologi, specialisti d’organo, ecc.). In pratica, pur rimanendo la figura del medico di riferimento e, spesso, del case-manager infermieristico, il rapporto del paziente è con tutta l’équipe (chirurgie, oncologia medica, ecc.), che è anche responsabile, anche come collettivo, verso il singolo paziente/utente. Ma anche quest’ultimo, in realtà, non è più da solo: acquista maggiore importanza anche la famiglia, specie come partner nelle decisioni, che vengono sempre più condivise.
Ma oggi questo nuovo modello deve essere superato.
Il modello ecologico
Il problema delle “risorse finite” in sanità costringe a stringenti criteri di appropriatezza nella allocazione delle risorse. Il concetto di efficacia cli­nica è affiancato, e spesso sostituito, da quello di “cost-effective”. Non si tratta di un mero aspetto economico: si tratta di una vera e propria emergenza di “sostenibilità”. La richiesta di prestazioni sempre più numerose e costose im­pone al medico scelte che trovano la loro base nell’etica oltre che nella giustificazio­ne scientifica. Questo è un aspetto del tutto nuovo, che si acuisce sempre più con il trascorrere del tempo: oggi i problemi di sostenibilità sono seri, ma le preoccupazioni maggiori riguardano il futuro nel senso che viene messa a repentaglio la stessa esistenza di una medicina pubblica anche nelle nazioni dove essa è già in essere.
Se il problema della sostenibilità esiste per l’assistenza sanitaria in genere, la situazione diventa tragicamente critica in Oncologia. Un recente articolo (5) riporta che i costi diretti per la cura del cancro negli USA sono stati di 104 bilioni di dollari nel 2006 e si prevede che saranno oltre 173 bilioni nel 2020. “Questo trend non è sostenibile”: affermano gli autori. Questi poi si sforzano di proporre scelte e misure che possano ridimensionare la suddetta esplosione dei costi relativi alla diagnostica per immagini, alla chemioterapia e all’impiego di farmaci “a bersaglio molecolare” in modo particolare nelle fasi avanzate di malattia tumorale. Alle proposte degli autori si potrebbe aggiungere anche l’opportunità fornita dai farmaci “Biosimilari” (6) oppure la possibilità di selezionare i pazienti in base alle caratteristiche di Biologia molecolare delle loro neoplasie per implementare l’appropriatezza prescrittiva ed evitare cure inutili.
Ma il costo economico va riconsiderato non soltanto nel setting terapeutico: anche in quello diagnostico, in particolare per quel che concerne l’uso/abuso di diagnostica per immagini a base di radiazioni ionizzanti o scintigrafie. Un abuso di radiologia a scopo diagnostico è controproducente perché fa lievitare i costi dell’assistenza, inquina l’ambiente, dan­neggia la salute dei cittadini, dei malati, degli operatori sanitari esposti.
Dobbiamo assolutamente chiarire che il problema della “sostenibilità” non va visto soltanto da un punto di vista economico: è urgente rendersi conto che è necessario impegnarsi per una “oncologia sostenibile” anche in campo ambientale. Se come esseri umani siamo tutti responsabili dell’inquinamento dell’ambiente e del consumo delle risor­se, e il nostro impatto negativo può essere calcolato e misurato come “impronta ecologica” (produzione di CO2, ecc.), come oncologi medici dobbiamo con sollecitudine giungere ad una vera presa di coscienza e di una responsabilità etica e umana volta a ridurre il più possi­bile l’impatto negativo della nostra professione. Ovviamente salvaguardando la qualità di vita e la salute dei nostri malati: ma, a parità di risultati, è etico ed urgente scegliere la cura ed il setting assistenziale (ambulatorio, day-hospital, ospedale, hospice) che siano meno costosi in termini economici e meno dannosi per il nostro ecosistema. Ecco pertanto che si impone in modo categorico un nuovo modello in medicina: quello che potremmo chiamare il modello ecologico (7).
Green Oncology
E’ da questi presupposti che è nato il nuovo paradigma della oncologia italiana: la cosiddetta “Green Oncology”. Una oncologia verde. Contraddizione? Solamente in apparenza. “Verde” nella assistenza, nelle cure, nel rapporto con il paziente. Perché oggi l’ oncologo si assume la responsabilità di pensare alla salvaguardia dell’ambiente, e sente di essere responsabile doppiamente rispetto al comune cittadino . Gli oncologi medici lavorano ogni giorno in una realtà che fa i conti con questi problemi, dalla prevenzione dei tumori ai costi economici ed ambientali delle cure; essi sono convinti che la qualità della loro prestazione sia e rimanga importante: ma la vogliono raggiungere tenendo ben presente la sostenibilità, economica ed ambientale. Quella che gli ambientalisti chiamano “Resilienza”.
La Resilienza
746153__wallpapers-desktops-movie-gladiator_p[1]La locuzione latina Frangar, non flectar, tradotta letteralmente, significa “mi spezzerò ma non mi piegherò”; nella traduzione italiana, viene citata spesso come “mi spezzo ma non mi piego”. È usata come motto gentilizio; è usata anche per indicare un’integrità morale che non cede davanti a nessuna minaccia o pericolo. La frase “Mi spezzo, ma non mi piego” è aforisma attribuito a Jean de La Fontaine, il celebre favolista francese (8).
Il motto della Resilienza invece potrebbe essere: “mi piego ma non mi spezzo”, ed è la capacità di far fronte a eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita. Il concetto ecologico di resilienza definisce la capacità dei sistemi naturali ed anche dei cosidetti Social Ecological Systems (i sistemi integrati ecologici ed umani), di assorbire un disturbo e di riorganizzarsi mentre ha luogo lo stesso cambiamento, in modo tale da mantenere ancora essenzialmente le stesse funzioni , la stessa struttura, la stessa identità e gli stessi feedback. Il sistema ha quindi, grazie alla resilienza, la possibilità di evolvere in stati multipli, diversi da quello precedente al disturbo, garantendo però il mantenimento della vitalità delle funzioni e delle strutture del sistema stesso (9-12).
albero-piegato-dal-vento[1]Per tutti questi motivi gli oncologi medici hanno elaborato un “Manifesto della Green Oncology”, una dichiarazione di intenti in cui gli oncologi si impegnano sul fronte della sostenibilità ambientale, ovviamente a parità di risultati terapeutici, che comprensibilmente vengono prima di tutto. Non è la prima volta che gli oncologi hanno dovuto rivedere i loro dogmi e i loro paradigmi, in un continuo aggiornamento e in un continuo rimettere in discussione anche quelle che potevano sembrare delle certezze: ma l’impressione è che la green oncology rappresenti in un certo senso un “punto di non ritorno”.
Sono 11 i punti in cui si articola il suddetto Manifesto: da una rapida scorsa si evince come lo sguardo “green” non riguarda solamente aspetti facilmente intuibili quali, a titolo esemplificativo, il fatto di usare in modo razionale i materiali monouso, cercando di non esagerare con la plastica. La sostenibilità economica è ai primi posti: tutti sappiamo quanto i farmaci chemioterapici siano costosi, ma adesso vengono impiegati farmaci “a bersaglio molecolare”che lo sono molto di più.
Restando sempre nel campo della terapia a base di farmaci, sostenibilità vuol dire particolare attenzione a tutto il ciclo dei farmaci antiblastici, che sappiamo essere tossici, mutageni e cancerogeni: dalla preparazione, alla somministrazione, allo smaltimento (quest’ultimo per il momento ancora un po’ trascurato).
Ma anche i programmi di “follow- up” (con questo termine si intendono i controlli che vengono eseguiti periodicamente dopo che sono terminate le cure) devono adeguarsi alla esigenza della sostenibilità: è ora di dire basta agli esami inappropriati o non basati sull’evidenza, cioè di non dimostrata efficacia,con impiego di radiazioni , di prodotti radioattivi, consumo di elettricità, e spostamenti in auto di malati e accompagnatori: tutto ciò va valutato caso per caso, tenendo ben presente sia le Linee Guida internazionali sia il richiamo alla sostenibilità.
E’ proprio in questo senso che dovranno essere incentivate le chemioterapie per via orale, che possono essere assunte a domicilio del paziente, evitando gli spostamenti; è il momento di implementare le terapie a domicilio del paziente, le comunicazioni per posta elettronica o internet, sempre nell’ottica di diminuire gli spostamenti fisici e i disagi di ammalati e familiari.
Ovviamente sostenibilità è una parola che deve entrare in tutta la quotidianità della assistenza: dall’”ambulatorio verde”, con informatizzazione per risparmiare carta, impiego di detergenti non tossici, uso di materiale riciclabile e riusabile, diffusione della raccolta differenziata dei rifiuti,ecc.
Senza dimenticare ovviamente la prevenzione dei tumori, primaria e secondaria, il monitoraggio delle neoplasie con una predisposizione familiare ed ereditaria, e l’impiego della chemio-prevenzione con farmaci, ovviamente, non tossici.
Anche l’accanimento terapeutico deve sempre essere considerato come un potenziale rischio che deve essere assolutamente prevenuto e bandito in quanto causa di effetti collaterali per il paziente, costi economici aggiuntivi, senza nessun vantaggio terapeutico per il malato.
Ma anche l’aggiornamento può e deve diventare più sostenibile: più FAD (Formazione a distanza), più tele/video-conferenze, ecc. allo scopo di diminuire i viaggi di medici ed accompagnatori.
In sintesi si tratta di cercare di diminuire la “Impronta Ecologica”(produzione di CO2,ecc.) che abbiamo come oncologi medici, così come già stiamo cercando di fare come cittadini e uomini comuni.
Ovviamente, a conclusione di questa breve presentazione, non sembra pleonastico ribadire che la priorità è il bene del paziente e la ricerca della cura più efficace, ma in una visione che, pur ponendo il malato al centro, tenga, anche, seriamente conto delle esigenze vitali ed ambientali della biosfera(13).
Il Manifesto della Green Oncology di CIPOMO”
Green Oncology è il nuovo paradigma concettuale e operativo dell’oncologia, che rappresenta, rispetto al tradizionale modello biomedico centrato sull’interesse del singolo paziente e sul suo esclusivo rapporto con il medico, un gradino evolutivo di complessità superiore verso azioni cliniche partecipate con i pazienti, condivise tra i vari operatori sanitari, ed eco-responsabili del potenziale impatto sull’ambiente umano, professionale, strutturale, tecnologico e organizzativo in cui si originano ; nonché sulla biosfera.
Green Oncology opera mediante scelte etico–manageriali che incorporano, oltre ai tradizionali criteri di efficacia, efficienza ed effectiveness, anche quello della sostenibilità culturale, economica, ambientale e sociale in quanto realizzabile, equa e vivibile.
Le nostre scelte oncologiche, conformate al principio della sostenibilità ambientale,devono essere pervase di quella “coscienza collettiva”, pregna di una jonasiana (Hans Jonas, 1903-1993) (4) responsabilità, caratterizzata dalla consapevolezza circa i possibili effetti presenti e futuri in termini di impatto:
1.Sul contesto economico (es. mediante l’ applicazione delle opportunità di rimborso dalle Aziende farmaceutiche offerte da strumenti gestionali già esistenti, o la lotta agli scarti dei farmaci ottenibile con la “drug-day therapy”(cioè concentrare nello stesso giorno della settimana tutti i pazienti che devono eseguire la medesima cura);
2. Sul contesto tecnologico: per esempio, consigliando follow-up minimalisti, e ricorrendo alle tecnologie radiologiche in modo mirato, per ridurre l’inquinamento ambientale da radiazioni e la tossicità sul malato
3. Sul contesto strategico, favorendo la prevenzione primaria e secondaria, l’attenta sorveglianza delle neoplasie a predisposizione ereditaria e la promozione della salute, informando e formando il cittadino/ paziente;
4. Sul contesto clinico, privilegiando l’uso di terapie per bocca per ridurre la necessità degli spostamenti con diminuzione del consumo di energia, minor inquinamento atmosferico, minori rischi di incidentalità da trasporto, diminuzione ore di lavoro perse da parte del familiare, minor inquinamento acustico;
5. Sul contesto organizzativo, per esempio favorendo le cure domiciliari, nel rispetto del principio della continuità assistenziale, e l’assistenza in rete, nonché l’uso di comunicazioni telefoniche, e-mail e la telemedicina, quando possibile;
6. Sul contesto socio-sanitario, con un approccio “biopsicosociale” (da George L. Engel 1977)(1), con particolare riferimento ai pazienti pediatrici e anziani;
7. Sulla biosfera, per esempio facendo attenzione al ciclo vitale dei farmaci citostatici in ogni fase del processo: preparazione, somministrazione e smaltimento;
8. Sperimentazione di nuove forme di aggiornamento a basso consumo energetico come video-conferenze, scambi tramite la rete e così via; implementazione del principio dell’imparare lavorando e “facendo insieme” contemplando sempre la possibilità che anche i pazienti, o i loro rappresentanti, possano partecipare alla discussione del team (“Comunità di Pratica”).
9. Creazione dell’”Ambulatorio Verde”, e cioè uso oculato delle risorse: riciclo e riuso delle materie compatibilmente con le esigenze igieniche e di profilassi del paziente; impiego di detersivi non tossici e non inquinanti per la pulizia dei locali; informatizzazione delle cartelle cliniche per risparmiare sull’impiego della carta,ecc.
10. Attenzione a forme di chemio-prevenzione dei tumori con farmaci ovviamente non tossici.
11. Attenzione ad evitare tutti gli eventuali rischi di accanimento terapeutico che, oltre che un danno al malato, configurano anche uno sperpero di risorse economiche inutile e dannoso(14-16).
GO-Slow
Dalla collaborazione tra Green Oncology di CIPOMO e Slow Medicine, una associazione che si batte per una medicina etica e sobria, è nato “GO-Slow” dove GO sta per Green Oncology (17).
In un inglese non proprio perfetto vuol dire “Vai lentamente”.
In sintesi si tratta di un “ Decalogo (in realtà i punti sono otto) di buone pratiche per la prevenzione e la cura dei tumori”.
Per una Oncologia:
Sobria
  1. Promuovere stili di vita salubri e la tutela degli ambienti di vita e di lavoro
Una quota importante di neoplasie potrebbe essere evitata agendo sull’esposizione a fattori nocivi di tipo ambientale e professionale e sugli stili di vita delle persone (tabagismo, abitudini alimentari, obesità). Le persone devono essere, perciò, opportunamente informate su tali rischi e aiutate, per quanto possibile, a evitarli o ridurli.
Occorre, inoltre, adottare adeguate strategie di sanità pubblica per il controllo degli agenti oncogeni, presenti negli ambienti di vita e di lavoro.
  1. Evitare l’eccesso di diagnosi attribuibile agli screening oncologici
In campo oncologico gli screening di dimostrata efficacia, cioè capaci di ridurre la mortalità, attualmente sono quelli relativi alla diagnosi precoce del tumore della mammella e della cervice uterina nel sesso femminile e del colon-retto in entrambi i sessi.
Anche quelli efficaci, non sono, comunque, privi di possibili effetti dannosi. È compito del medico e di chi detiene responsabilità di governo, informare correttamente le singole persone e la collettività dei benefici e dei rischi associati agli screening, affinché ognuno sia messo nelle condizioni di poter decidere in modo autonomo e consapevole, sull’opportunità o meno di sottoporsi ai test di diagnosi precoce.
  1. Evitare ogni forma di accanimento terapeutico
Ogni paziente ha diritto a ricevere le cure necessarie, tenendo conto del rapporto rischio/beneficio: in altre parole si deve applicare il criterio della proporzionalità delle cure, in modo da non causare al paziente effetti collaterali eccessivi rispetto alle aspettative associate ai risultati terapeutici.
In particolare a ciascun paziente, lungo l’intero decorso della malattia, va assicurato un efficace controllo del dolore e il tempestivo trattamento di tutti i sintomi che pregiudicano la sua qualità di vita. Occorre, però, agire con equilibrio e giudizio, rispettare la volontà del paziente ed evitare, soprattutto in prossimità della morte, di intraprendere cure aggressive che non hanno alcun effetto positivo né sulla sopravvivenza, né sulla qualità della vita.
Rispettosa
  1. Tener conto della dignità e delle esigenze della persona
Esprimere vicinanza emotiva al paziente in ogni momento del suo percorso di cura, in modo da evitare che si senta abbandonato. Mantenere viva la comunicazione, aperta la progettualità e sostenuta l’autostima, anche con il graduale venir meno delle funzioni biologiche.
  1. Informare e coinvolgere il paziente nella cura e nelle scelte che lo riguardano
Parlare, ascoltare, comunicare con i pazienti e i loro familiari, dedicando loro del tempo senza interferenze. Tener conto del loro stato d’animo, delle preferenze, dei valori e delle influenze culturali e verificare che le informazioni siano ben comprese.
Dare sostegno e coinvolgere attivamente il paziente nelle cure, attingendo direttamente alle sue risorse psicologiche per superare le difficoltà che via via si presentano nelle varie fasi del trattamento (resilienza).
Prima di decidere, soprattutto, quando esistono modi alternativi di affrontare le cure, offrire al paziente la possibilità di sentire un secondo parere.
  1. Assicurare la continuità delle cure e individuare il luogo più adatto
Durante le diverse fasi della malattia il paziente manifesta esigenze cliniche, relazionali e sociali molto diverse. Il passaggio funzionale tra i diversi contesti di cura deve essere accuratamente preparato e organizzato, con il paziente e le persone vicine. In particolare è necessario perseguire fin dall’inizio del percorso assistenziale la più efficace integrazione tra le terapie indirizzate al trattamento della malattia neoplastica e le cure di supporto e palliative: se le prime saranno predominanti nelle fasi precoci, le seconde dovranno divenire sempre più presenti ed importanti nelle fasi avanzate e terminali (“simultaneous care”).
Offrire diverse opzioni di assistenza: degenza ordinaria, day-hospital, ambulatorio, ricovero in hospice o cure domiciliari, in relazione al tipo di assistenza necessaria, alla disponibilità di supporto da parte della famiglia e alle preferenze del paziente.
Giusta
  1. Garantire cure efficaci, appropriate ed eque
I costi per le cure oncologiche crescono in modo esponenziale senza un vantaggio proporzionale in termini di sopravvivenza e qualità della vita. Porre molta attenzione all’impiego delle nuove tecnologie e dei nuovi farmaci e abbandonare gli interventi di non dimostrata efficacia, come ad esempio: la terapia antitumorale diretta per pazienti con tumori solidi in condizioni generali compromesse o che non abbiano risposto a precedenti trattamenti.
Prescrivere test di laboratorio, esami diagnostici per immagini e markers tumorali serici per il monitoraggio dei pazienti, in modo oculato (evidence-based), considerato che non vi è nessuna dimostrazione che un follow-up intensivo, cioè comprendente diversi esami diagnostici, sia migliore, in termini prognostici, rispetto ad un follow-up “minimalista”, secondo linee guida di riconosciuta validità scientifica.
Porre attenzione all’equità di accesso a screening, indagini diagnostiche e trattamenti: l’accesso alle prestazioni e il diritto alla presa in carico non devono essere condizionati da differenze di natura etnica, economica, sociale, ecc.
  1. Assicurare percorsi di cura integrati e interdisciplinari
La patologia oncologica è multifattoriale e può essere affrontata utilizzando, anche contemporaneamente, interventi terapeutici diversi e complementari.
Promuovere un approccio sistemico, assicurando modalità di lavoro interdisciplinare e multi professionale, attraverso la costituzione di gruppi operativi interdisciplinari e reti di patologia, capaci di assicurare la continuità assistenziale, attraverso lo scambio strutturato e continuo di informazioni tra i diversi professionisti coinvolti, con ruoli diversi, nel processo di cura (percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali).
Conclusione
Green Oncology non è un gruppo di lavoro di fanatici ambientalisti o oncologi medici con la fissazione del risparmio economico. Green Oncology è e deve essere opzione, filosofia, scelta convinta, condivisa e praticata da tutto CIPOMO e da tutti gli oncologi medici italiani e non solo.
Se in una pubblicazione medica è consentito riferirsi alla musica, potremmo concludere con un riferimento all’opera rock dei Pink Floyd “The wall”(“il muro”). Ognuno di noi, oncologo medico, medico di medicina generale, cittadino ha il suo “muro”, sia che se lo sia costruito da sé sia che lo abbia trovato già fatto. E questo muro lo isola, lo separa dal mondo esterno. Ma di cosa è costituito il muro? I mattoni possono essere diversi: autoreferenzialità, il dire “si è sempre fatto così…”, resistenza al cambiamento, pigrizia mentale, il pensare “non abbiamo le risorse per…”, e via di questo passo. E spesso coesistono mattoni diversi nello stesso muro. Ma dobbiamo rompere, abbattere questo muro. E cosa c’è oltre il muro? Oltre il muro c’è : Appropriatezza, Responsabilità, Etica, Sostenibilità (economica ed ambientale). Ma ci sono anche, ed è ancora più importante: un malato, una persona, un cittadino, un ambiente, una natura, un mondo, un’ ecosfera.
Può sembrare difficile, ma è necessario abbattere questo muro. E’ necessario avere coraggio. Come ci ricorda L. Sepùlveda, “Vola solo chi osa farlo” (18).
La situazione ambientale del nostro Pianeta richiede un impegno globale da parte di ogni cittadino del mondo. Il motto dell’Associazione Medici per l’Ambiente recita: “Ogni uomo è responsabile per l’ambiente. Il medico lo è due volte.”. E qui ritorniamo alla responsabilità, responsabilità personale, responsabilità individuale. Concetto già espresso con forza da John Donne (1573-1651), con l’aforisma ripreso anche da Ernest Hemingway all’inizio del libro “Per chi suona la campana” (19) e con il quale ci piace concludere questo nostro lavoro.
Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. Se una Zolla viene portata dall’onda del Mare, l’Europa ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una Magione amica, o la tua stessa Casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te”.
Tra le diverse specialità della medicina l’Oncologia, in particolare l’Oncologia Medica, è sicuramente quella che in questo momento attraversa le difficoltà economiche maggiori. Green Oncology è il nuovo paradigma che non soltanto si pone il problema della sostenibilità economica ma anche, forse più importante, di quella ambientale. Il dado è tratto. L’auspicio è che altre branche della medicina, nella loro peculiarità e competenza, si incamminino per la medesima strada.
BIBLIOGRAFIA
1. Engel GL. The need for a new medical model: a challenge for Biomedicine. Science 1977 Apr 8; 196 (4286):129-36.
2. Bateson G. Verso un’ecologia della mente. Milano, Adelphi, 1977.
3. Bateson G. Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro. Milano, Adelphi, 1989.
4. Ionas H. Il principio responsabilità: un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Torino, Einaudi, 1990.
5. Smith T.J., Hillner B.E.. Bending the Cost Curve in Cancer Care. N Eng J Med 2011 may 26; 364(21): 2060-65, 2011
6. Di Costanzo F., Abbracchio M.P:, Airoldi M., Palazzo S. Introduzione nella pratica clinica dei Farmaci Biosimilari in Oncologia, Ed Editeam maggio 2010: 1-40, 2010
7. Porcile G. et al., “Green oncology”: l’impegno degli oncologi a ridurre la loro impronta ecologica, Decidere in Medicina. 2013. Anno XIII, n.3, 2 Aprile 2013.
13. Palazzo S. Per un’oncologia sostenibile. Roma, Il Pensiero Scientifico, 2010.
15. Codignola A. La Green Oncology pesa meno su ambiente e pazienti. Fondamentale 2012; XL (3): 14-5, 2012.
16. Bretti S., Porcile G., Romizi R., et al. “Green Oncology”: the italian medical oncologist’s challenge to reduce the ecological impact of their clinical activity. Tumori online vol. 100, Numero 3, e94, maggio-giugno 2014.
18. Sepùlveda L. “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, Salani Editore 1997
19. Hemingway E. Per chi suona la campana., Edizioni Mondadori 1945.
- See more at: http://www.informazionesostenibile.info/7316/green-oncology-per-ridurre-limpronta-ecologica-in-oncologia/#sthash.fadagNkq.dpuf

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