giovedì 11 giugno 2015

Caro Eco, ti scrivo


La mia risposta a Umberto Eco

by JLC
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di Saverio Tommasi*
Lo dico subito: Umberto Eco mi sta simpatico, perché se gli metti un cappello in testa sembra tuo nonno vestito da Babbo Natale, o forse proprio Babbo Natale. Umberto è grande, grosso e scrive bene, ovviamente. Anche se mercoledì 10 giugno ha detto una cazzata. Vediamo perché.
Il terzo Umberto più famoso d'Italia ha sentenziato:
"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli".
Ora, al netto del fatto che tutti ci siamo trovati a ragionare, a prenderle o a darle, con qualche imbecille internettaro, penso che Eco abbia detto una discreta cazzata. Tipica, purtroppo, di chi ha una certa età e, per cultura giovanile, pensa di aver già scoperto tutto del mondo. Non è una questione d'età, intendiamoci bene, ma di testa. Mia nonna, ad esempio, non avrebbe mai detto quello che invece Eco ha detto. E perché Eco l'ha detto? Perché da qualche anno ha smesso di pensare che il mondo possa scoprire qualcosa che lui non ha già studiato. E quando il mondo invece scopre qualcosa d'altro, arriva lui baldanzoso e dice: è roba da imbecilli.
La dichiarazione di Eco è una bischeratona anche a livello tecnico, perché non è vero che un Premio Nobel abbia lo stesso diritto di parola di un imbecille, ma quello che mi dà più fastidio, nella considerazione dell'Umberto nazionale, è il punto connesso con la libertà. Il fatto di dare la patente di "non democrazia", e cioè "non libertà", all'intero mondo di internet e dei social network. Questo significa sostanzialmente tre cose:
1) Non hai vissuto gli ultimi vent'anni e sei rimasto all'enciclopedia Treccani venduta porta a porta. Anche se oggi nessuno, quando cerca qualcosa, va a pescare nell'enciclopedia cartacea.
2) Internet, e i social, non sono la libertà assoluta. Del resto nessuno lo ha mai detto. Semplicemente perché la libertà è la libertà, punto basta e stop. Nient'altro. La libertà non è neanche un bar o una prateria incontaminata, o stare sopra un albero o in mezzo a una manifestazione. La libertà è solo la libertà, e le cose che ho detto prima la possono incrociare, ma non è detto. Magari uno sui social ci va per mettere "mi piace" a Salvini, oppure al bar ci lavora per sei euro lordi all'ora, oppure è salito sopra l'albero per rubare le uova al merlo, oppure nella prateria cerca un albero per cagarci dietro, oppure è in mezzo a una manifestazione ma è la manifestazione di Casapound.
3) La terza cosa che volevo dire, invece, non me la ricordo e mi avvalgo della facoltà di perdere colpi, la stessa di cui si potrebbe avvalere Eco. Perché io so che si può essere geni, ma non geni in tutto. E va bene lo stesso, per carità.
Viva Babbo Natale!
Amen.

* Attore, scrittore, blogger, Saverio Tommasi è nato a Firenze e ama raccontare storie. “Il mio mestiere – scrive nel suo sito – è vivere le storie… Sul campo. Sul palco, attraverso una telecamera o un libro. Mostrare ciò che non si ha interesse a disvelare”. Quali storie? “Storie scomode. Voglio alzare i tappeti e raccogliere la polvere”. Ha scelto di inviare i suoi articoli a Comune con molto piacere.

DA LEGGERE
Viviamo tempi in cui non dobbiamo prestare più attenzione a nessuno, è la società dell’isolamento e della frantumazione dei legami comunitari, in cui vengono depotenziati gli strumenti critici e si favorisce la vendita esasperata di sé ancor più del consumismo. Queste trasformazioni accadono non per lo sviluppo della tecnologia quanto per le necessità produttive, per i ritmi del mercato. E’ l’universo del digitale che si è sviluppato in questo contesto: non si tratta certo di pensare alle tecnologie come salvifiche, perché bisogna decostruirle con attenzione e riconoscere dove si annidano la manipolazione o la strumentalizzazione a fini di asservimento commerciale o di sorveglianza. Tuttavia, è sciocco anche pensare alle tecnologie come male assoluto, il panorama è molto sfaccettato. Il cellulare e internet non uccidono la cultura né l’esperienza ma semmai mettono in discussione una certa immagine e una certa costituzione e rappresentazione della cultura e dell’esperienza [UN SAGGIO DI PAOLO MOTTANA]

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