Selahattin Demirtas, un altro 40enne in camicia bianca conquista la scena. Ue e Turchia più vicine grazie ai curdi
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Quarantadue anni, camicia bianca, eloquio carismatico, visione progressista e liberale. Per Selahattin Demirtas, il leader del partito curdo Hdp, da oggi inizia una fase politica nuova. Il successo del suo partito alle elezioni turche di domenica – 13% dei voti, un’ottantina di seggi in Parlamento – rappresenta una svolta storica per il Paese della Mezzaluna. Demirtas è stato già ribattezzato in vari modi – lo “Tspiras turco” o, più propriamente, l’ “Obama turco” – ma al di là delle similitudini che lo legano agli altri più o meno giovani leader mondiali, è il suo legame con l’Occidente a rappresentare l’aspetto potenzialmente più dirompente dal punto di vista degli scenari internazionali.
Con la sua camicia bianca e i suoi modi gentili, infatti, Demirtas incarna il volto di un curdo senza legami con la guerriglia, alla guida di un partito aperto anche ad altre minoranze (alauita, turcomanna e altre) e attento ai diritti delle donne e degli omosessuali. Avvocato per i diritti umani con già due legislature alle spalle, è riuscito a conquistare gli elettori sposando buona parte delle idee libertarie espresse dai ragazzi di Gezi Park, che non hanno dimenticato la dura repressione messa in atto da Recep Tayyip Erdogan. I giovani hanno apprezzato l’attenzione di Demirtas alle loro richieste, e in molti hanno deciso di consegnargli il primo voto della loro vita. Anagraficamente, d'altronde, il quarantenne curdo appartiene alla stessa generazione dei leader "in camicia bianca" - dal premier francese Manuel Valls al greco Alexis Tsipras, all'italiano Matteo Renzi - che, al di là delle diversissime posizioni politiche, condividono uno stile informale e un approccio comunicativo meno verticale.
Il 42enne Demirtas rappresenta un modello politico molto diverso da quello del “sultano”, cui Erdogan si è avvicinato sempre di più nel corso degli anni. Abile oratore e negoziatore instancabile, Demirtas è portatore di una visione della “nuova Turchia” che va ben al di là della difesa degli interessi e degli spazi - politici, culturali e identitari - della minoranza curda. Per l’Europa, il suo successo elettorale dimostra che c’è una buona parte di Turchia che tende a Occidente, un asse che oggi è retto in primo luogo dalla minoranza curda. Come curdo è il fronte anti-Isis che ha dimostrato di saper contrastare i fanatici del Califfato in maniera più efficace della coalizione internazionale.
Nelle passate elezioni, il partito di Erdogan Akp era riuscito a intercettare il voto delle tribù curde, le stesse che questa volta l'hanno abbandonato. E la ragione non sta solo nell'indubbia capacità di attrazione del carismatico Demirtas, ma anche nell'atteggiamento tenuto da Erdogan durante i tragici giorni dell'assedio di Kobane da parte delle milizie dello Stato islamico. Allora, pur di non portare acqua al mulino del suo nemico siriano, il presidente Bashar al-Assad, Erdogan ordinò alle Forze armate di non entrare in azione a sostegno dei peshmerga curdi. I carri armati turchi, posizionati alla frontiera fra Turchia e Siria, non entrarono in azione nonostante che a pochi chilometri di distanza, a Kobane, si consumava una mattanza. Nell'urna i curdi se ne sono ricordati.
Il contrasto all’Isis, la tutela delle minoranze, i diritti delle donne e della comunità lgbt. Ora tutti questi elementi saldano il partito curdo alle forze progressiste e liberali dell’Occidente, che dopo il voto di ieri non hanno scuse per non vedere in Turchia un interlocutore ragionevole e aperto.
“Mi sono sempre occupato di politica, fin da quando ero ragazzo. La politica fa parte della mia vita. Mi sono sempre battuto per la democrazia. E come molti giovani curdi ho fatto diverse battaglie contro i diritti negati ai curdi, in nome dell’identità etnica, e contro l’oppressione. Sono in politica da quasi 25 anni”, ha spiegato Demirtas in una recente intervista a Euronews. “Negli ultimi otto anni sono stato parlamentare e co-presidente di un partito. Ho anche fatto l’avvocato nel campo dei diritti umani, ma come volontario. Insomma, in tutti questi anni ho sempre lottato, senza un attimo di sosta, per i principi e i valori in cui credo. E non ho mai smesso”. Da ragazzo, al bivio della vita di tanti curdi tra la lotta armata e quella politica, ha scelto la seconda. Entrato ventenne nei movimenti per i diritti civili, si è affermato presto come un politico coraggioso e sempre pacato.
Alla faccia di Erdogan – che in campagna elettorale lo ha dipinto come un “intrattenitore da bar” – Demirtas ha dimostrato che si può vincere anche senza urlare e insultare l’avversario. L’Obama curdo - "come i neri americani, noi abbiamo dovuto combattere il razzismo", spiegava qualche tempo fa - Demirtas è il primo a frenare davvero i sogni di gloria di Erdogan. Il presidente, oggi, è costretto ad aprire gli occhi sulla realtà: nei suoi piani doveva essere il primo giorno del “nuovo Impero ottomano”; nei fatti, è il primo giorno di una nuova Turchia.
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