Obama, quel nuovo inizio mai iniziato
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Forse riuscirà a "sopravvivere" politicamente alle elezione di midterm. Ma una cosa è certa: visto da fuori i confini Usa, Barack Obama è già un ex. Perché da "leader globale" ha fallito. Sotto ogni latitudine. In particolare nel Grande Medio Oriente. Il "Nuovo Inizio" da lui tratteggiato in uno storico discorso all'Università di Al-Ahzar del Cairo (4 giugno 2009) non è mai iniziato. Rileggere l'impegnativo discorso di Obamaalla luce dell'oggi, significa toccare con mano la distanza siderale tra parole e fatti, tra coraggiose aperture concettuali e una pratica politica che se non le ha contraddette, quelle aperture, di certo non ne è stata all'altezza.
Non è la "veggenza" che manca al presidente Usa, tanto meno una incontestabile capacità espositiva, ma - se guardata in divenire - la sfida del dialogo tra civiltà lanciata allora dall'inquilino della Casa Bianca si scontra e arretra nei conflitti che marchiano il Medio Oriente e il Nord Africa, dall'Iraq alla Siria, dalla Palestina alla Libia. La rottura col vecchio ordine si è consumata, ma sullo scenario del Medio Oriente irrompono nuovi, inquietanti, protagonisti e nuovi conflitti s'intrecciano con crisi non risolte.
Il Medio Oriente è in fiamme. E a "bruciare" è anche la credibilità di un Presidente che non è stato all'altezza delle aspettative.
Emblematico, in negativo, è l'approccio al dossier iracheno di Obama. Il ritiro americano ha creato un vuoto di potere che il governo dell'allora premier (sciita) Al Maliki non è riuscito a colmare. Gli sciiti iracheni sono stati incapaci di integrare nel nuovo Stato i sunniti. Il Paese è rimasto senza mediatori ne deterrenti. L'America si ritrova con gli iracheni sciiti che la implorano di intervenire contro i sunniti estremisti dell'Isis che vogliono il califfato (e li considerano eretici da ammazzare) in una situazione estremamente problematica sul piano militare. Ma soprattutto Washington non sa cosa fare. Se torna a impegnarsi tra il Tigri e L'Eufrate i democratici perdono voti. Se non lo fanno, perdono l'Iraq. E i soldati morti per liberarlo/controllarlo avranno perso la vita inutilmente. E i miliardi spesi per ricostruirlo saranno stati tutti buttati via.
A trarne vantaggio è l'Iran. Se gli Usa non interverranno, ci penseranno loro a soccorrere i fratelli sciiti in terra irachena. Ma se Teheran interviene e i suoi pasdaran si prendono l'Iraq, cosa molto probabile, gli ayatollah potrebbero decidere di non fermare la loro corsa a Baghdad ma di proseguire fino a Damasco e aiutare Assad a vincere la sua guerra civile. Il risultato è il potere dell'Iran (e della Russia e della Cina loro alleati) che si estende dal Golfo Persico alle coste del Mediterraneo senza soluzione di continuità.
Milioni di barili di petrolio messi a disposizione della causa della repubblica islamica di Teheran. Era questo che voleva Obama? No, ma era consapevole che la sua scelta di ritirare le truppe dall'Iraq e disimpegnarsi militarmente progressivamente da tutto il Medio Oriente avrebbe potuto portare alle conseguenze che sono sotto gli occhi di tutto il mondo. Conseguenze nefaste. E non è l'interventismo aereo, deciso quando non era più possibile ignorare la minaccia destabilizzante per l'intera regionedell'Esercito islamico di Abu Bakr al-Baghdadi, e soprattutto l'orrore dei cittadini americani decapitati e "postati" in video - che cancella l'assenza di una strategia politica per un "nuovo Medio Oriente" da parte dell'inquilino della Casa Bianca.
Parlando di lotta al terrorismo, Obama fa il mea culpa. "Troppo spesso, non siamo riusciti a far rispettare le norme internazionali quando è stato scomodo farlo", ammette il presidente americano. "Non abbiamo affrontato con forza sufficiente l'intolleranza, le tensioni interconfessionali e la disperazione che alimentano l'estremismo violento in troppe parti del globo". E ancora: "Non intendiamo inviare truppe americane a occupare terre straniere", ha aggiunto. "Lavoreranno con un'ampia coalizione per smantellare questa rete della morte", ovvero l'Is. Il presidente ricorda che "nessun Dio perdona questo terrore. Non si può ragionare, non si può negoziare con questo marchio del male".
Al tempo stesso, però, segno di una persistente confusione strategica, Barack Obama se la prende con l'intelligence Usa: ha sbagliato le valutazioni sull'Isis. Senza troppi giri di parole il presidente mette sotto accusa gli analisti che dovevano sorvegliare con maggiore attenzione quello che stava accadendo tra Siria e Iraq. In un'intervista alla rete Abc (28 settembre 2014), Obama insiste su due punti. Il primo riguarda il conflitto siriano: l'intelligence doveva comprendere che la crisi avrebbe accresciuto il caos nella regione. Poi il secondo punto: è stata sottostimata la forza dell'Isis, così come è stata sopravalutata l'efficienza dell'esercito iracheno, spazzato via durante l'offensiva di questa estate. Alla vigilia dell'attacco su Mosul, poi conquistata dagli uomini del Califfo, gli 007 avevano espresso timori ma erano indecisi sulla possibilità che i jihadisti prendessero la città. Soltanto tre giorni prima dell'attacco avrebbero esercitato pressioni su Baghdad affinché prendesse contromisure. Ma le carenze organizzative, gli ufficiali inetti e i reparti poco addestrati hanno impedito qualsiasi risposta.
Le affermazioni di Obama possono sembrare scontate. In realtà riaffermano il contrasto sorto all'interno dell'amministrazione. La Casa Bianca, con il sostegno di pochi generali, ha sempre avuto una linea cauta sul coinvolgimento in Siria. E più volte Obama ha bloccato il piano, sostenuto dal Dipartimento di Stato e dalla Cia, per una fornitura massiccia di armi agli insorti siriani. In sostanza il presidente non si è mai fidato. Tanto è vero che in base al nuovo programma di assistenza dovranno essere selezionati 5 mila combattenti "fidati" che saranno poi addestrati da americani e sauditi. Nelle intenzioni di Washington questo contingente dovrà agire da "scarponi sul terreno", ossia da fanteria, contro le colonne dell'Isis. Il numero è però ridotto rispetto alle esigenze. Il capo di Stato Maggiore Dempesy ha sostenuto che ne servirebbero almeno 15 mila. Una regione in fiamme, popolata di "non Stati": questo è il Medio Oriente oggi. Tra tagliagole e despoti sanguinari. Con l'Occidente che prova a mascherare il suo fallimento politico con la tragica illusione di nuove guerre salvifiche. E il capofila di questo fallimento siede oggi alla Casa Bianca: il suo nome è Barack Hussein Obama.
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