La lezione del voto tunisino: affluenza alta e niente scontri
In base ai risultati non ancora definitivi, il candidato del partito di Nidaa Tounes, Caid Essebsi, andrà al ballottaggio con il presidente uscente Mouncef Marzouki. L’affluenza alle urne ha superato il 64 per cento.
REUTERS
24/11/2014
FRANCESCA PACI
ROMA
Si dirà che i tunisini costituiscono la parte più grande della legione straniera arruolata con lo Stato Islamico in Siria (circa 2 mila e diverse decine di donne). Si dirà che la Tunisia con la sua posizione marginale rispetto agli equilibri geopolitici della regione (ma c’è la Libia), con i suoi 10 milioni di abitanti e con un mercato che sebbene importante per l’Europa non è sconfinato (le imprese straniere sono oggi poco più di 3 mila). E si dirà soprattutto che la dialettica blindata islamismo/autocrazia in cui si è incartato l’Egitto è stata evitata in extremis un anno fa (quando il muro contro muro era durissimo) anche grazie al passo indietro fatto da Ennhada, i Fratelli Musulmani tunisini spaventati dall’epilogo sanguinario del breve regno del collega egiziano Morsi. Tutto vero. Eppure stamattina vale la pena di silenziare le critiche e alzare il calice in onore della Tunisia che dopo aver celebrato elezioni parlamentari democratiche e corrette ha votato ieri per il nuovo presidente in modo civile, partecipato, maturo.
Per tutti i “gufi” che si sono affrettati a seppellire le primavere arabe sotto il gelo dell’autunno islamista è un monito importante: le rivoluzioni impiegano tempo, quella tunisina che ha iniziato l’onda anomala regionale, pare per ora quella più avanzata. Gli altri paesi, dalla Libia alla Siria all’Egitto allo Yemen sono in maniera diversa impantanati? Il tempo della Storia ci dirà più del tempo della Cronaca. Intanto, forza Tunisia!
I risultati del momento dicono che ad essere in testa è Beji Caid Essebsi, 87 anni, leader del partito Nidaa Tounes già affermatosi alle parlamentari grazie al sostegno dei giovani, di molte donne e di quanti gli hanno riconosciuto una proposta nuova, mista e alternativa al passato (nonostante tenga dentro anche pezzi dell’ex regime). Essebsi sarebbe intorno al 47,8%, il presidente uscente Moncef Marzouki, contestato ieri ai seggi, al 26,9% (ma il suo staff obietta alla precisione gli exit poll). Si va quasi certamente al ballottaggio dunque, il 28 dicembre. Ma indipendentemente dall’esito numerico di questa competizione blindatissima (80 mila addetti alla sicurezza) a cui hanno partecipato oltre 20 candidati (Ennahda non ne aveva presentato uno suo), conta la partecipazione (64,6%) alle prime elezioni presidenziali libere e a suffragio diretto della Tunisia e conta il processo in corso che, a differenza di altri, avanza anziché rinculare.
“Ormai è ufficiale, il mestiere del momento è il barbiere: la corsa a tagliarsi le barbe iniziata dopo le parlamentari è inarrestabile” dice da Tunisi l’architetta laica Samia. Dal canto suo il leader di Ennahda Rachid Ghannouochi ha affermato qualche giorno fa che la Tunisia è la prova di come i Fratelli Musulmani rappresentino un argine anziché un incentivo al radicalismo. Il dibattito è vivace, i tunisini laici non riservano ai loro Fratelli Musulmani parole più amorevoli di quelle degli amici egiziani, ma non si spara. Non più.
Il dibattito politico ha fatto enormi passi avanti rispetto all’anno scorso, con il terrore seminato dagli omicidi politici dei candidati dell’opposizione laica Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi, le intimidazioni salafite e gli attentati, lo scontro incandescente tra pezzi di paese inconciliabilmente divisi sulla funzione pubblica della religione. Ma già a gennaio la nuova Costituzione ha affermato, dopo una battaglia non di poco conto, il principio che la religione resta fuori dalla Costituzione intesa come legge politica e che le donne non tornano indietro sulle conquiste fatte, in alcuni casi perfino in anticipo rispetto ad alcuni paesi europei (alle presidenziali si è presentata anche la giudice Kannou).
L’ex presidente Marzouki, 69 anni, leader del Congresso per la repubblica, era l’icona della rivoluzione (ex dissidente e esperto di diritti umani) ma ha dissipato nel tempo il consenso della base al punto da farsi superare nel favore da Essebsi, uno che ha esperienza ma anche perché è stato diverse volte al governo durante la presidenza di Ben Ali. In parlamento la maggioranza è laica ed esprimerà il premier, che ha moltissimi poteri. Ma nulla per ora lascia prevedere una mancanza di collaborazione con l’opposizione. La società, giovanissima come le altre della regione, cresce e migliora (ogni anno ci sono circa 70.000 nuovi laureati in ingegneria, informatica, comunicazione e facoltà tecniche e ci sono già 10 parchi tecnologici nel paese). Le donne sono fortissime (come ovunque nel mondo arabo musulmano) e si fanno anche sentire.
E’ il paradiso? Ovviamente no. Anche le elezioni hanno avuto problemi, irregolarità, contestazioni. Il vecchio regime continua a lavorare per insinuarsi tra le pieghe del nuovo corso. I fondamentalisti soffiano vento gelido dalla Libia (i confini con la Libia ieri erano stati chiusi). Eppure oggi la memoria del fruttivendolo Mohammed Bouazizi, che dandosi fuoco alla fine del 2010 innescò involontariamente un processo storico irreversibile, è onorata. Anche se nella sua città natale, Sidi Bouzid, le condizioni economiche sono ancora così disastrate da far rimpiangere il passato oggi è un giorno di festa: forza Tunisia. Da qualche parte bisogna pur cominciare a sperare.
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