domenica 30 agosto 2015

dove va il PD?

Lo sforzo di Renzi per la ricomposizione del Pd non può essere rinviato

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Con la fine dell'estate grazie alle feste de l'Unità e al Meeting di Rimini si rianima il dibattito politico all'interno del Partito Democratico.
Sono tanti i temi. Compreso un tentativo di autobiografia della Nazione, del ventennio berlusconiano e del presunto antiberlusconismo ad esso speculare.
Nelle settimane più calde si è discusso di tasse, di conti degli enti locali e delle prospettive della prossima manovra finanziaria. Nondimeno alcuni interventi di autorevoli personalità della nostra vita istituzionale, come quello di Giorgio Napolitano, hanno ribadito l'urgenza non più rinviabile delle riforme istituzionali.
Al netto del politicismo e delle schermaglie sia il tema delle riforme sia il tema del debito pubblico, come ha ricordato Romano Prodi, pendono sulle nostre teste sin da molto prima degli anni '90 e questo imporrebbe una periodizzazione dei nostri problemi quantomeno più lunga e ragionata.
Alzando lo sguardo allo scenario internazionale anche i temi della pace e della guerra, dell'ordine mondiale, del terrorismo, del Medio Oriente costituiscono una lunga durata rispetto alla quale più che un provinciale ripiegamento nella sfera nazionale sarebbe necessario un profondo ripensamento dell'Europa e delle sua principali culture politiche.
Anzitutto quella del socialismo europeo cui io personalmente, il mio partito e tutto il campo delle forze progressiste non può fare a meno di sentirsi ancorato.
Vorrei soffermarmi proprio sul tema dell'Europa e del socialismo europeo.
Anche in questo caso il declino della socialdemocrazia può essere compreso e spiegato solo allungando lo sguardo. Chi considera che l'origine dei mali del socialismo derivi dall'austerità e dallo schema delle 'grandi' coalizioni di modello tedesco commette una parzialità interpretativa.
Una spiegazione più consapevole e matura dovrebbe ricordare che la crisi dell'alternativa destra/sinistra affonda le sue radici nel crollo della Prima Repubblica e nella fine della Guerra Fredda. Fu in quella fase cruciale di profondi stravolgimenti che le sorti progressive del libero mercato e della finanza sedussero anche i progressisti e i socialisti. Non è un mistero, pertanto, che fu proprio l'amministrazione americana democratica di Bill Clinton nel 1999 ad approvare una nuova legge bancaria che mandò in soffitta il Glass Steagall Act voluto da Roosvelt dopo la grande crisi del '29. Quella legge aveva introdotto una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria speculativa, limitando al 20% la quota di capitale che poteva essere investita nella finanza speculativa. Con Clinton si ruppero gli argini all'invasione e all'egemonia incontrollata del capitalismo finanziario.
Si chiudeva un decennio che aveva visto al governo delle democrazie europee forze socialdemocratiche che vedemmo impegnate in sforzi di risanamento pagati al prezzo di profonde privatizzazioni del patrimonio pubblico e delle industrie di Stato e di graduali riduzioni del costo del lavoro.
In quella fase si discusse anche di un Ulivo mondiale che riunificasse le due sponde dell'Atlantico nel segno del riformismo. Anche i governi di centrosinistra, le cui politiche contribuirono certamente a modernizzare il nostro Paese, furono in larga parte partecipi di questa cultura. Come ha osservato l'economista francese Piketty, è proprio nel corso degli anni '80 e '90 simultaneamente all'esaurimento di un ciclo keynesiano, fondato sulla spesa anticiclica e sul perseguimento dell'obiettivo della piena occupazione, che le disuguaglianze iniziarono a crescere in modo vorticoso. Questa breve ricostruzione della storia più recente dovrebbe accendere una spia d'allarme rispetto a semplicistici esercizi di autobiografia della Nazione.
L'urgenza di una rifondazione del socialismo in Europa non può che fare i conti con la riscoperta delle idee di Keynes e con un ritorno all'economia reale.
Ho letto alcune dichiarazioni del leader socialista spagnolo Sanchez che parla di un'alleanza tra Spagna, Italia e Francia nel segno del socialismo per contrastare la disoccupazione e per rilanciare gli investimenti moltiplicando le risorse del piano Juncker. Penso che sia la strada giusta. Una strada che Matteo Renzi ha già annunciato di voler seguire e che dovrebbe essere il terreno di ricomposizione delle varie anime del Partito Democratico per superare l'incomprensibile deriva politicistica e correntizia.
Se poi volessimo distinguerci sui valori e sulle politiche da seguire per rifondare il socialismo europeo, a quel punto un dibattito aspro, sincero e senza opportunismi potrebbe svilupparsi anche nel segno della divisione tra correnti di pensiero e movimento politico.
Auspico che il prossimo congresso farà questo. Se così sarà, sono sicuro di poter contribuire anch'io in prima persona.
In questa risalita alle radici della nostra cultura politica mi è capitato di scoprire di recente alcune pagine di Giorgio La Pira, un sincero socialista cristiano. Ne "L'attesa della povera gente" del 1950, il grande sindaco di Firenze diceva: "l'attesa della povera gente è chiara; un Governo ad obiettivo unico: lotta organica alla disoccupazione e alla miseria".
Un piccolo esempio di applicazione del suo pensiero potrebbe riguardare la fiscalità. I proventi delle tasse sulla prima casa sono circa di 3,4 miliardi di cui 1,2 miliardi sono da abitazioni di lusso. Se evitiamo di fare un favore a chi già sta bene possiamo spendere quel miliardo e duecento milioni per un intervento a favore della povera gente che, oltre a fare un po' di giustizia, può dare un contributo alla crescita della domanda interna e quindi alla ripresa economica. Perché la povera gente, come sanno gli economisti, ha una propensione al consumo più forte dei ricchi. Se poi si recuperasse qualche miliardo in più dalla lotta all'evasione e alla corruzione si potrebbe istituire un reddito sociale per i disoccupati e iscritti alle liste. Un sostegno da erogare a ben precise condizioni di corsi formativi e anche di attività di pubblica utilità. È una proposta seria, sostenibile finanziariamente, fattibile. È una cosa di sinistra.
Tra le attese della nostra gente, povera e meno povera, c'è anche quella di fare presto e di fare bene. Matteo Renzi lo sa. Lo scenario di crisi globale che si è spostato in Cina incombe come un cielo carico di nubi sulla vita delle nostre imprese, dei nostri lavoratori, dei nostri risparmi, dei nostri giovani. Per questo, tornando in Italia, il dibattito sulle riforme istituzionali, del Senato, della legge elettorale che presenta tratti di patologica complicazione va ridimensionato e affrontato con buon senso e realismo. Io ritengo che bisogna superare al più presto questo stallo e rivolgere la mente alle sfide economiche e alle grandi questioni aperte in Europa e nel mondo.
Lo sforzo di Renzi per la ricomposizione del partito non può essere rinviato. Sarebbe di breve respiro d'altro canto la prospettiva di voler affrontare sfide tanto cruciali riponendo le speranze in una modesta alleanza parlamentare con Verdini, Alfano e Cicchitto.

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