sabato 29 agosto 2015

sulle rotte migratorie

La rotta migratoria più pericolosa del mondo

by JLC
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di Fulvio Vassallo Paleologo*
Da tempo la Guardia Costiera libica non faceva tanti interventi in pochi giorni, e da tempo non c'erano tante stragi a catena davanti alla costa di Zuwara. Ai naufraghi viene riservato ancora un destino infame. Gli ultimi sopravvissuti sono stati rinchiusi nel carcere di Sabratha.
Le attività di ricerca dei corpi dei migranti annegati davanti le coste libiche sono ancora in corso, ed altri si preparano per partire, per sfidare il mare e le leggi che respingono, partire, malgrado tutto (tutto l'orrore  di alcuni degli ultimi viaggi nel racconto degli operatori umanitari raccolto da digitaljournal.com).
Da diverse settimane decine di cadaveri si accumulano sulle coste libiche, dove non possono arrivare le navi umanitarie e dove non arrivano i mezzi di Frontex e della Guardia Costiera italiana. Per quelli che vengono ripresi e riportati a terra, ci sono soltanto le prigioni libiche ed altre violenze da parte dei trafficanti (qui il dossier di Medici senza frontiere Francia).
Nessuno si ritenga assolto, le parole non bastano più, di fronte alle immagini delle stragi.
La rotta dalla Libia all'Italia è diventata la rotta migratoria più pericolosa del mondo. Da quando si poteva intervenire (ci sono studi noti datati 2011) nulla è stato fatto per evitare la disgregazione della Libia. Il fallimento del Processo di Khartoum sul quale contavano l'Italia e l'Unione europea per stipulare accordi con i paesi di origine e di transito, per bloccare le partenze, detenere nei campi di raccolta, e deportare chi fugge dalla guerra e dalla dittatura è evidente (qui è possibile scaricare un'interessante analisi dell'Ispi - Istituto per gli studi di politica internazionale - "Il Processo di Khartou. L'Italia e l'Europa contro le migrazioni").
A Zuwara, intanto, si diffondono le proteste contro gli smuggler ("contrabbandiere"), i trafficanti di morte, quelli che gestiscono il traffico, che restano a terra ad incassare e a trasferire danaro, mentre gli scafisti sono ragazzi, alcuni anche minorenni, arruolati all'ultimo momento, spesso tra gli stessi migranti.
A Palermo, invece, dopo lo sbarco si moltiplicano gli arresti dei presunti scafisti, accusati anche di omicidio, mentre l'ultimo container trovato con i cadaveri di cinquantuno persone dentro è stato sequestrato dalle forze dell'ordine. Sono in corso autopsie per stabilire la dinamica dei fatti. Per qualcuno la sentenza di condanna è già scritta.
E mentre nelle pagine della stampa internazionale si trovano le immagini di una serie di tragedie che in Italia non si devono vedere (telegraph.co.uk, theguardian.com, elperiodico.com, aljazeera.com, nymag.com, nbcnews.com, arabnews.com), continuano a diffondersi appelli che nessuno ascolta. Di certo, gli interventi dei mezzi umanitari di Msf e di Moas (Migrant Offshore Aid Station, la prima missione di soccorso privata) e il monitoraggio di Sea Watch potrebbero non essere più sufficienti a coprire il vuoto lasciato dal ritiro delle navi europee.
Quelli che sono in alto non hanno ascoltato neppure il richiamo del papa (il primo viaggio di Bergoglio fuori dal Vaticano, a sorpresa, fu a Lampedusa, ndr), però ora si riempiono la bocca di buone intenzioni, e soprattutto chiudono sempre il problema con la lotta contro i trafficanti. Trafficanti che si arricchiscono proprio sulla mancanza di canali legali di ingresso.
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Pubblicato anche sul blog dirittiefrontiere.blogspot.it
* università di Palermo.

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