lunedì 31 agosto 2015

Ucraina:non si può tollerare l'assalto nazifascista alle istituzioni democratiche

Assalto dei nazionalisti al Parlamento di Kiev, l’Ucraina rischia di precipitare nel caos

Almeno un poliziotto è morto, decine di feriti mentre la Rada votava la nuova legge sulla decentralizzazione che concede maggior autonomia al Donbass filorusso
AFP
Gli ultranazionalisti attaccano il Parlamento di Kiev

31/08/2015
Morti, feriti, sangue, fumo di lacrimogeni e di esplosioni: da Kiev arrivano di nuovo immagini di violenza, che minaccia di far saltare l’unica cosa di cui l’Ucraina poteva finora vantarsi: una leadership politica relativamente stabile e coesa. Una manifestazione di protesta sotto le finestre della Rada è sfociata in disordini violenti, tra pietrate, manganellate, lacrimogeni e infine lo scoppio di una bomba che ha fatto strage tra il cordone delle forze dell’ordine. Il ministro dell’Interno Arsen Avakov parla di almeno 50 feriti, e di un soldato ucciso da una scheggia, e dalle immagini si vedono numerosi feriti gravi, tra cui anche diversi giornalisti ucraini e occidentali. 

L’AUTONOMIA DEL DONBASS  
La protesta è scoppiata mentre nell’aula del Parlamento veniva votata la legge sulla decentralizzazione, che dovrebbe dare maggiore autonomia a tutte le regioni ma soprattutto far uscire dal vicolo cieco il processo di pace di Minsk. La tregua resta fragile in attesa di sciogliere il nodo principale, il grado di autonomia che il Donbass filorusso avrà all’interno dell’Ucraina. I separatisti hanno indetto elezioni locali in autunno che dovrebbero ulteriormente legittimarli, Kiev insiste perché il voto si svolga secondo le leggi ucraine (quindi riducendo la possibilità per i fedelissimi di Mosca di garantirsi la vittoria). La settimana scorsa Francois Hollande e Angela Merkel hanno incontrato il leader di Kiev Petro Poroshenko a Berlino, e poi hanno telefonato insieme a Vladimir Putin dopo un silenzio di due mesi: segnale di un probabile compromesso raggiunto.  


IL VOTO BIPARTISAN  
Il primo passo doveva essere proprio il voto della Rada, che lasciando a futuri negoziati il dettaglio della “decentralizzazione”, stabiliva però il suo inserimento nella Costituzione, come chiedeva Mosca. Il voto ha registrato 265 “sì” su 368 presenti in aula, e ha segnato un’insolita convergenza bipartisan tra il partito di Poroshenko, altre forze minori e il “Blocco d’opposizione”, quel che resta del Partito delle regioni dell’ex presidente Yanukovich, rovesciato dal Maidan e ora rifugiato il Russia. Contro hanno votato la Batkivshina della ex premier Yulia Timoshenko, il Partito radicale di Lyashko e altri deputati, sostenuti dalla piazza nazionalista che gridava al “tradimento” e chiedeva di non fare nessuna concessione, vera o percepita tale, a Putin. Ordinaria amministrazione, se non fosse che lo scambio di insulti e pietre con il cordone della Guardia nazionale è diventato una carneficina con l’esplosione della bomba. 


ACCUSE INCROCIATE  
Come consuetudine, le parti ora si scambiano accuse e denunce di complotto. I nazionalisti – essenzialmente militanti del partito nazionalista Svoboda – sostengono che la bomba non era loro, e parlano di provocazione, il ministro Avakov (che ha annunciato la cattura dell’uomo che ha lanciato la bomba, armato di altri ordigni) li accusa di essere i veri «traditori», e tutti sospettano provocazioni, complotti di Mosca e trame nascoste, con Dmitry Yarosh, il leader del “Pravy Sector”, la falange nazionalista presentata dal Cremlino come la fonte di tutti i mali ucraini, che condanna gli scontri e accusa dell’accaduto i servizi segreti russi. Il presidente Poroshenko sta preparando un appello alla nazione, mentre sulle strade è tornata la calma. Ma il problema resta.  


GLI ESTREMISTI DI MAIDAN  
In un paese in guerra da più di un anno (i reduci dal fronte del Donbass erano oggi da entrambi i lati della barricata) la violenza politica perde i connonati del tabù, e Poroshenko, animale totalmente politico nonostante la mimetica che sfoggia senza troppa disinvoltura, è stato molto cauto a promuovere il suo compromesso con i separatisti proprio temendo una reazione del genere. Per tutto il primo anno del suo governo ha cercato di cooptare i leader meno radicali della coalizione del Maidan e di emarginare quelle estreme, ma in un paese tradizionalmente anarchico, pieno di armi, di rabbia e di centri di potere alternativi tra oligarchi e clan burocratici, il compromesso finale con Mosca metterebbe a dura prova la resistenza del suo sistema di governo. Kiev non può vincere una guerra con i russi, e lo sa: il campo di battaglia di Poroshenko è nel negoziato, in un equilibrio sottile e spesso poco visibile di dare e avere con le varie forze in campo, i separatisti, l’opinione pubblica, le schegge impazzite dei combattenti, e ovviamente Putin. Sarà questa sua abilità nel dosare bastone e carota a determinare se gli scontri sotto la Rada verranno archiviati come episodio violento ma minore, magari anche utile a screditare e arginare i radicali, o se saranno l’inizio di un nuovo braccio di ferro a Kiev, che trasformerà l’Ucraina in quel “stato fallito” che molti a Mosca profetizzano da tempo. 

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