Basta spreco di cibo
Da qualche anno la tematica dello sprecoalimentare ha acquisito interesse da parte di un pubblico sempre più ampio. La sensibilità nei confronti del tema aumenta costantemente così come le esperienze virtuose di persone e associazioni che con metodologie e approcci differenti mettono in pratica iniziative di promozione di stili di vita più sobri e attenti, così come interventi sulle filiere produttive che riducono la quantità di cibo edibile che finisce nella spazzatura, un fenomeno che ha numeri impressionanti. Gliultimi dati della FAO, infatti, parlano di uno spreco alimentare che ha superato il 35% della produzione totale. Sono cifre che lasciano senza parole, ma che ancora una volta indicano come il primo campo da arare nella lotta alla malnutrizione e alla fame sia proprio quello dello spreco.
Oggi ci troviamo però di fronte a una novità assoluta nel vasto panorama delle azioni “anti-spreco”: per la prima volta un parlamento, quello francese, ha votato all’unanimità una legge che sostanzialmente istituisce il reato di spreco alimentare. La misura si rivolge essenzialmente a uno dei nodi della filiera alimentare, non certamente l’unico a creare spreco, quello della grande distribuzione organizzata. Si tratta in ogni caso di un passo importante.Dall’entrata in vigore di questa legge, infatti, non sarà più possibile per i negozi sopra i 400 metri quadrati smaltire l’invenduto trasformandolo in rifiuto quando ancora edibile, pratica purtroppo comune.
Chi contravverrà a questa norma rischia fino a 2 anni di carcere e multe molto salate. Anche se personalmente non amo gioire sull’introduzione di pene severe o di misure deterrenti forti, in questo caso era necessario dare un segnale deciso per affermare che buttare via un prodotto ancora mangiabile è un torto che si commette nei confronti di chi lo ha prodotto, di chi non ha accesso al cibo che noi buttiamo, di chi soffre di povertà e malnutrizione ma anche nei confronti di tutte le generazioni che verranno dopo di noi ad abitare questa Terra. Sprecare il cibo significa anche sprecare tutte quelle risorse non rinnovabili che sono state necessarie alla sua produzione: acqua, suolo fertile, energia.
In un mondo in cui una parte consistente degli scompensi ambientali è attribuibile proprio all’attività di produzione di cibo (non dimentichiamo ad esempio che più del 70% dell’acqua è utilizzata in agricoltura), questa ingiustizia intergenerazionale è ancora più inaccettabile.
L’iniziativa francese pone finalmente nero su bianco un concetto che per millenni ha fatto parte del bagaglio culturale di tutti i popoli del mondo e che solo nell’ultimo secolo è andato perdendosi: il valore del cibo. Dare valore al cibo è una buona intenzione senza contenuto se convive con uno spreco di queste proporzioni, e la forza del voto transalpino è proprio quella di affermare giuridicamente che le buone intenzioni e gli appelli all’etica e alla buona volontà non bastano più. Finalmente si offre una risposta istituzionale a un problema vergognoso che molto fa parlare ma che fino a ieri non sembrava avere la forza di muovere interventi di carattere politico e normativo diretto.
Lo spreco del cibo è d’altro canto solo l’aspetto più tangibile di un modo di produrre, distribuire, vendere e consumare il cibo che non funziona. Sempre secondo le fonti FAO, la quantità di cibo che finisce nella spazzatura costa, a voler proprio quantificare tutto con il metro del denaro, una cifra stimata in circa un trilione di dollari ogni anno. Possiamo permetterci tutto questo? La Francia ha detto no, e non si è limitata a dirlo istituendo pene carcerarie e pecuniarie per gli spreconi, ma ha anche, e questo è l’aspetto che più trovo significativo e condivisibile, stabilito la realizzazione di programmi di educazione nelle scuole primarie. Insegnare ai bambini, fin dalla tenera età, che il cibo va rispettato al pari del lavoro di chi l’ha prodotto e che sprecarlo reca un danno economico e ambientale, è un passo senza il quale non possiamo pensare a un futuro diverso. Se non impariamo a essere cittadini migliori non c’è norma che tenga, per questo l’educazione alimentare deve entrare a pieno titolo nei programmi scolastici.
Carlo Petrini
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