mercoledì 10 giugno 2015

qualche nota sull'idea di rivoluzione

Qualche nota sull'idea di Rivoluzione

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DELACROIX
L'idea di rivoluzione, anche quando essa fallisce nei risultati auspicati, è ammantata di un'aura positiva. La voglia di cambiare drasticamente lo status quo rivela da un lato una necessità estremamente diffusa, da un altro la sfiducia in un'evoluzione graduale: il disincanto rispetto alla possibilità di un progresso destinato a fallire se non è attuato mediante capovolgimenti traumatici e definitivi. Ciò è valido in ogni campo: politico, filosofico, sociale, religioso, scientifico e artistico. La rivoluzione nasce per esaltare la potenzialità che il rivoluzionario riconosce in se stesso rispetto alla repressione che egli è costretto a vivere. E questa esaltazione sposa ideali spesso nobilissimi, che rendono patetici, se non tragici, i fallimenti.
Quali sono le rivoluzioni che hanno avuto realmente successo nella storia dell'uomo, e quante sono le rivoluzioni che hanno generato risultati lontanissimi, se non opposti rispetto a quelli per cui sono nate? Perché ogni rivoluzione porta con sé una reazione? Alla luce di queste considerazioni, cosa nasconde la realtà dell'animo umano, quali sono le tensioni intime che generano queste attitudini opposte? 
Ogni rivoluzione nasce da una situazione di disagio o insoddisfazione e dalla volontà di trovare, attraverso uno stravolgimento violento, una situazione di maggiore felicità: sociale, politica, religiosa, espressiva, sessuale. Spesso la rivoluzione nasce da un'autentica sete di giustizia, e a questo riguardo viene in mente l'affermazione diLouis Antoine de Saint-Just il quale, all'apice della rivoluzione francese, proclamò: "la felicità è una parola nuova in Europa".
Ambizione grandiosa e straordinaria la sua, che tuttavia va riletta parallelamente alle parole di Edmund Burke, il quale già nel 1790 aveva messo in guardia sui rischi e sul destino di quanto stava avvenendo, profetizzando l'ascesa, in breve tempo, di qualcuno che avrebbe compresso ulteriormente la libertà, e quindi la felicità, tradendo lo spirito e la tensione dei moti rivoluzionari . Dopo un momento epico, la storia della rivoluzione ha visto in successione la degenerazione del Terrore, il Termidoro di Paul Barras e Jean-Lambert Tallien, e quindi l'ascesa di Napoleone. E su tutti costoro ha continuato a dominare la figura dell'abate Charles Maurice de Talleyrand, simbolo di un potere eterno, che appare impossibile da abbattere. Proprio Napoleone, che vide quest'ultimo sopravvivere, gestire e a volte guidare in prima persona ogni cambiamento, lo definì "un calzino di seta ripieno di merda". Ma non divaghiamo, quello che a me interessa analizzare è il rapporto tra nobili ideali e risultati effettivi, e la scelta di rottura, quasi sempre violenta, che si oppone a quella di progresso lento a naturale. Considerando la giovanissima età di Saint-Just, e quella di gran parte dei leader rivoluzionari, penso alla battuta attribuita a George Bernard Shaw: "chi non è rivoluzionario a venti anni non ha il cuore, chi lo è a trenta non ha il cervello". È un'affermazione reazionaria, o nasconde invece una profonda verità?
Mao scrisse che "una rivoluzione non è una festa, la scrittura di un saggio, la realizzazione di un quadro, o un lavoro di ricamo; non può essere raffinato, rilassato e gentile. Così, mite, attento, cortese, misurato e magnanimo. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con cui una classe ne rovescia un'altra". E certamente fu responsabile di una rivoluzione epocale, che cambiò il volto del proprio paese. Tuttavia, guardando cosa è diventata la Cina odierna è impossibile non chiedersi quanto sia rimasto di quello che Mao promise all'epoca della lunga marcia e codificò nel Libretto rosso. Ed è impossibile non chiedersi cosa rappresentino oggi quegli ideali per i milioni di persone che li sposarono in ogni parte del mondo: un'illusione? Una delusione, una promessa che prima o poi verrà mantenuta? Una vergogna?
Sarebbe assurdo, e profondamente ignorante, negare l'importanza delle rivoluzioni che hanno cambiato la storia del mondo, anche quando esse hanno fallito negli obiettivi originari, sono state smentite da fallimenti e orrori, o sono state negate e cancellate da reazioni successive. E sarebbe ancora più assurdo e ignorante non comprenderne le motivazioni, le speranze, gli aneliti. 
Tuttavia sarebbe miope non interrogarsi sul perché l'uomo senta il bisogno, periodicamente, di tali sconvolgimenti drastici e violenti. È sempre vero, come diceva Aristotele, che "la povertà è la madre della rivoluzione e del crimine"? Il motore di ogni sconvolgimento è legato unicamente ad una condizione sociale?
È una concezione che ha ispirato molti rivoluzionari, coniando anche slogan suggestivi e celeberrimi, come quello di Emiliano Zapata: "è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio". Ma si tratta davvero di una concezione esaustiva? Non porta con sé il rischio sempre limitato e fallace dell'ideologia? Nel finale de Il Potere e la Gloria, Graham Greene fa dire al suo protagonista che la rivoluzione politica ha sempre bisogno di uomini forti e perfetti, altrimenti degenera subito, mentre non è così con la rivoluzione cristiana, basata su uomini anche vigliacchi e peccatori. Un concetto sconvolgente per la mentalità mondana: del resto non credo che sia esistita rivoluzione più grande di quella di Cristo, che ha invitato ad amare il proprio nemico e ha messo al vertice della sua Chiesa un pescatore che lo ha rinnegato tre volte.
Come si applicano queste riflessioni alle rivoluzioni avvenute nel campo del linguaggio, dell'arte o dei costumi? Che ripercussioni hanno nella vita quotidiana le rivoluzioni puramente artistiche, come ad esempio la dodecafonia in musica, o l'impressionismo in pittura? Per non parlare delle rivoluzioni architettoniche, dove le intuizioni di geniali urbanisti e architetti hanno cambiato direttamente il modo in cui viviamo negli edifici, nelle piazze, nelle strade. E quali riflessioni offrono le fondamentali rivoluzioni avvenute nel campo della scienza e della medicina, che hanno migliorato incomparabilmente le condizioni di vita degli esseri umani?
Sono alcuni degli argomenti che tratterò con i miei ospiti a Capri, nel decennale del nostro festival. Per quanto mi riguarda, sono convinto che le uniche rivoluzioni che non falliscono sono quelle che tentiamo di mettere in atto dentro di noi, sapendo che sono le più ardue. Forse perché richiedono di accettare i nostri limiti e le nostre mediocrità, credendo meno in ideali astratti, destinati a confrontarsi inevitabilmente con il calo della tensione, anche quando essa è nobilissima. Per questo ricordo sempre quanto diceva Agostino d'Ippona: Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas

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