sabato 28 novembre 2015

sul senso della vita da ecumenici.it


Il senso della vita
di Francesco Zenzale

“Non ci sono mai stati tanti malati psichici come negli ultimi decenni, tanti suicidi insensati, tanti delitti per droga, tante esistenze fallite, tante famiglie distrutte, tanti bambini anormali, giovani aggressivi, adulti frigidi, impotenti o incapaci di amare, tante persone separate che dubitano del senso della propria vita come oggi. La gente cerca un consiglio in uno studio psicologico «perché non sa affrontare la vita, perché non sa cosa fare, perché tutto le sembra vuoto, privo di senso, perché è nauseata da tutto il benessere e non ha più voglia di vivere. Perché non ha più un obiettivo per cui impegnarsi, perché non trova valori per cui vivere, per cui sacrificarsi, perché l’esistenza scorre senza un contenuto e non si prova altro che noia”. 

Solitudine, tristezza, amarezza, frustrazioni, disperazione, angoscia esistenziale, bisogno d’affetto, depressione, ecc. Queste sono le peggiori malattie della nostra società.

Nell’aprile 2004, lo psicologo romano Nicola Ghezzani, consegna alle stampe il libro dal titolo Crescere in un mondo malato, nel quale presenta il disagio infantile, mette in colonna i numeri e afferma:

- Il 20 per cento dei giovani fino a 15 anni soffre di disturbi mentali.
- Nel 2020, questo disturbo sarà una delle cinque cause di malattia, morte e disabilità.
- Negli Stati Uniti, il 3 per cento dei bambini e più dell’8 per cento degli adolescenti sono depressi. Il 13 per cento dei giovani (9-17 anni) soffre di disturbi ansiosi.
- Il 33 per cento di adulti con un disturbo ossessivo e compulsivo ha sviluppato questa patologia durante il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza.
- L’1 per cento degli adolescenti americani è affetto da sindrome maniaco-depressiva.

«Dire che questi dati», afferma Ghezzani, «sono allarmanti è poco: essi non sono un dramma annunciato; rappresentano piuttosto una tragedia realizzata». Le dinamiche sociali sempre più opache e incontrollabili diventano il fenomeno che traduce in concreto l’insicurezza e la vulnerabilità.

Cos’è che ci rende felici? Ancora non molto fa gli esperti di fama credevano che fosse il proprio piacere. «In psicologia si dovevano eliminare le costrizioni che inibiscono il piacere», diceva Wilhelm Reich, uno dei molti sostenitori di questa tesi. Gli sviluppi degli ultimi decenni hanno però dimostrato che questa «egocentricità ad ogni costo»  non solo riduce il livello spirituale del singolo, ma distrugge soprattutto la famiglia, lo stesso individuo.

Che cosa ci rende gioiosi? Il palcoscenico dove si è disposti a fare quello che gli altri vogliono, o scegliere di essere se stessi? Nel primo caso il metro è l’applausometro, nell’altro il rispetto di se stessi, ed è il più difficile.

Conosco persone gioiose che non hanno mai ottenuto un applauso, che nella grazia di Dio, il mattino, guardandosi nello specchio, accennano ad un sorriso o ad un gesto di gratitudine a Colui che è il datore della vita. “Altre invece, per amore dell’apparire, centrate se se stesse, corrono subito a truccarsi. Non sanno stare senza gli altri, devono avere il chiasso dell'approvazione sempre attorno: quando sono in auto da sole, arrivano ad azionare anche due telefonini contemporaneamente pur di trovarsi con i loro fans. La persona gioiosa sa che anche da soli si possono fare tante cose utili, e non per se stessi soltanto.
La nostra è la società del successo, dell'esistere per gli altri e come gli altri desiderano: dei perfetti burattini. Un successo misurato dal denaro: tanto maggiore è il successo, tanto più alto è il compenso, più grande l'auto e più lunga la barca già ormeggiata in un porticciolo o dentro la testa, nella sezione del desiderio. Questo è anche il programma di molti giovani e di molti genitori: tentare la fortuna che conduca al successo” (V. Andreoli, Avvenire).
Nella nostra società democratica e nella nostra civiltà centrata sul piacere, dove ogni tipo di attrazione ci è disponibile, la gioia ha la stessa natura di un sogno o di un miraggio; potrebbe essere un’illusione, il prodotto dell’immaginazione ingannevole.

Ma la gioia, quella vera, profonda, non ha mercato!

«Non c’è nulla di meglio per l’uomo del mangiare, del bere e del godersi il benessere in mezzo alla fatica che egli sostiene; ma anche questo ho visto che viene dalla mano di Dio. Infatti, chi senza di lui può mangiare o godere? Poiché Dio dà all’uomo che egli gradisce, saggezza, intelligenza e gioia; ma al peccatore lascia il compito di raccogliere, di accumulare, per lasciare poi tutto a colui che è gradito agli occhi di Dio. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento» (Ecclesiaste 2:24-26).

“La gioia non è in alcun modo un’esperienza soggettiva artificialmente escogitata dagli uomini per garantirsi la propria legittima porzione di divertimento. Non è frutto di uno sforzo umano e nemmeno un premio che ci assegniamo perché lo meritiamo. È dono di Dio, è una grazia.

Nell’esaltare il valore del piacere, Ecclesiaste non si fa promotore della filosofia edonistica che eleva il godimento personale a bene supremo, a ideale di vita. Ci insegna piuttosto la bontà del ricevere. La gioia è la capacità di accorgersi di ciò che ci viene dato e di afferrarlo”.

Che cosa ci rende sereni? L’avere? L’egoismo distrugge la nostra pace e l’inquietudine nasce dall’egoismo, pertanto la felicità terrena è effimera e le circostanze la condizionano, ma la pace che Cristo ci offre è duratura. Non dipende dagli eventi della vita, dalla quantità di beni che si possiedono o dal numero degli amici. Il Cristo è la fonte dell’acqua della vita e la gioia che scaturisce da lui non svanirà mai.

“Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti [...] Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo». (Giovanni 14: 27; 16:33).

Gesù disse: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” (Matteo 11:28).

“Dio vorrebbe che noi capissimo la tenerezza e l’intensità con cui ci cerca. Egli ci invita ad affidare i nostri conflitti alla sua comprensione, le nostre sofferenze al suo amore, le nostre ferite alla sua capacità di guarire, la nostra debolezza alla sua forza, il nostro vuoto alla sua pienezza. Egli non ha mai deluso chi si è affidato a lui. «Quelli che lo guardano sono illuminati, nei loro volti non c’è delusione» (Salmo 34: 5). 

Un coppa traboccante d’amore

«Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo; la mia coppa trabocca. Certo, beni e bontà m’accompagneranno tutti i giorni della mia vita; e io abiterò nella casa del SIGNORE per lunghi giorni» (Salmo 23:5,6).

Immaginate che in fondo al vostro cuore ci sia una coppa. Non è di porcellana, d’argento o d’oro. Si tratta di una coppa di sentimenti e di emozioni, che una volta riempita dà senso alla vita. La chiamo «coppa dell’amore». Essa misura il nostro livello di soddisfazione e il nostro benessere psicologico.

L’amore, agape, non è un amore romantico, ma  un principio. Non perché non genera nessuna emozione, ma perché  non dipende da essa. È l’amore elargito  senza condizioni ma semplicemente perché l’altro esiste. Quando proviamo questo amore, le endorfine (sostanze chimicamente simili alla morfina) si diffondono nel nostro cervello e ci donano una sensazione di benessere, serenità e calma. Ci si sente bene, perché siamo apprezzati e considerati.

Quando la nostra coppa è quasi vuota, non ci sentiamo amati, abbiamo l’impressione di essere rigettati, non abbiamo niente da offrire. Una coppa vuota produce effetti negativi. La collera, la critica, il sarcasmo, la colpevolezza e l’amarezza colmano quel vuoto.

Dio può entrare in un cuore devastato di odio e dall’egoismo, dalla solitudine e dall’amarezza e trasformare quella vita. Questo è il significato della conversione, della nuova nascita. Nessuno si trova fuori dalla traiettoria della potenza risanatrice di Dio e del suo amore [...] Se proviamo un grande vuoto in noi, chiediamo  a Dio di colmarlo, e lo farà sicuramente. Poi, cerchiamo altre persone che possano starci vicino e aiutarci a rabboccare  la vostra coppa. Una volta piena o quasi,  cominciamo a riempire quella di coloro che sono poco amati. Possiamo anche  non provare un sentimento d’amore nei loro confronti, ma non è questo il problema.  Dio non ci chiede  di provare un trasporto emotivo, ma di essere misericordiosi.  Amando, la nostra coppa e quella del nostro vicino, sofferente e solo, brinderanno alla vita autentica.

Tascio Cecilio Cipriano, Epistola II , 9 (estratto)
Al padre celeste, perché dia la pace

Imploriamo il SIgnore, sinceri e concordi, senza mai cessare di chiedere e fiduciosi di ottenere. Imploriamo che (...) ci venga presto restituita la pace, che ci dia aiuto nei nostri nascondigli e ne pericoli, che si adempia quello che il Signore si degna di mostrare ai suoi servi: la restaurazione della sua assemblea, la sicurezza della nostra salute eterna, il sereno dopo la pioggia, la luce dopo le tenebre, la quiete della bonaccia dopo le tempeste e i trubini, l'aiuto pietoso del suo amore di padre, le grandezze a noi  della divina maestà. Per esse siano respinte le bestemmie dei persecutori, sia rinnovato il pentimento dei caduti, sia esaltata la fede forte e ferma dei perseveranti.

Costituzione degli apostoli VIII 38 II
Invocazione per i fedeli

2. Signore onnipotente, altissimo che abiti nell'alto dei cieli, santo che riposa tra i santi (Is 57,15), senza principio e unico sovrano, tu che per tramite di Cristo ci hai dato l'annuncio che ci ha fatto conoscere la tua gloria e il tuo nome, e si è manifestato a noi (Eu Gv 17,6) per farci comprendere. 3.anche ora per sua intercessione volgi lo sguardo a questo tuo gregge, purificalo da ogni ignoranza e cattiva azione, fa che ti tema e che ti ami e tremi al cospetto della tua gloria.
4. Sii clemente con loro, e propizio presta ascolto alle loro preghiere; custodiscili fermi, irreprensibili e innocenti, affinché siano santi nel corpo e nell'anima, senza macchia né ruga né alcunché di simile (Ef. 5,27), ma siano integri e nessuno tra loro presenti manchevolezze e imperfezioni.
5. Difensore potente e imparziale, proteggi questo tuo popolo che hai scelto fra migliaia, che hai riscattato col prezioso sangue del tuo Cristo (1 Pt 1,19). Protettore, soccorritore, sostegno saldissimo, riparo sicuro, perché nessuno può strappare nulla dalla tua mano (Gv 10,29), non c'è altro dio come te, perché in te confida la nostra perseveranza, 6.santificali nella tua verità, perché la tua parola è verità (Gv 17,17). Tu che non guardi al favore e non ti puoi ingannare, liberali da ogni malattia, infermità, delitto, ingiuria e frode, dal timore del nemico (Sl 63,2), dalla saetta che vola di giorno, dalle difficoltà che arriva di notte (Sl 90, 5-6), e rendili degni della vita eterna in Cristo tuo figlio unigenito, dio e salvatore nostro, per il quale a te è gloria e venerazione nello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Così sia.

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