giovedì 27 novembre 2014

A Piombino torna l'acciaio

Enrico Rossi Headshot

Si è riaccesa la speranza, a Piombino torna l'acciaio

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L'orgoglio dei piombinesi è sempre stato quello d'essere gli unici in grado di costruire rotaie di 108 metri senza saldature, le più lunghe d'Europa. Un orgoglio ferito a lungo dalla crisi aziendale ma che oggi ritrova la sua ragion d'essere. Le passioni infatti, anche le più radicali, non sono mai definitive. C'è stato un momento, quando si è spento l'altoforno, in cui sono cadute le certezze, assieme ai simboli di una storia operaia secolare (l'acciaio a Piombino si lavora dal 1865). Ad Aprile avevo scritto d'aver avuto "la morte nel cuore". Oggi si è invece riaccesa la speranza e centinaia di famiglie possono pensare al futuro con serenità. In due anni Piombino tornerà a produrre 2 milioni di tonnellate di acciaio. Avrà un polo di import-export per tutte le attività (siderurgia, agroalimentare, vetreria, elettrodomestici ecc..) del gruppo Cevital. Il colosso algerino che ruota attorno a 2, 5 miliardi di fatturato annuo.
Vince il lavoro e perdono il disfattismo e il fatalismo. Vincono gli operai con la lotta instancabile e con il riformismo istintivo della loro cultura sindacale e politica. Le istituzioni locali, da sempre impegnate al fianco dei lavoratori (dalle fila del movimento operaio in Toscana è sempre provenuta la parte migliore e più capace della classe dirigente) e il governo, che ha gestito con metodo e continuità la vertenza e il bando per la cessione del gruppo. Qualcuno aveva parlato di "peste" E di "triade rossa", si è trattato invece di un vero e proprio pezzo di 'Stato innovatore' che grazie a un investimento pubblico di 270 milioni in porto e infrastrutture ha cambiato il clima competitivo ed ha attratto capitale rigirando e riavviando l'orologio della storia.
Un metodo di lavoro che dovrebbe essere adottato in tutte la aree di crisi in cui convergono fattori industriali, sociali e ambientali. Che in Toscana sarà replicato con tutti gli sforzi a Livorno, dove incombono le crisi dell'Eni, del porto e della componentistica auto, ma che si potrebbe replicare ovunque in Italia. Da Terni a Taranto, da Trieste a Catania. La classe operaia italiana è ancora capace di generare 'alta politica' e 'politica storia', come avrebbe detto Antonio Gramsci, deve essere ascoltata e rappresentata degnamente però. Quest'epilogo felice ha un valore simbolico e si carica di passato e di futuro.
L'acciaio nella storia italiana è stato un importantissimo collante civile. La priorità nel dopoguerra era l'autonomia e l'indipendenza nella produzione. De Gasperi e Sinigaglia dovettero allora contrastare i monopoli per porre le basi al sistema industriale. Dalla siderurgia sorse la meccanica di precisione e una filiera produttiva che ha reso solida e prospera la nostra democrazia e per cui siamo divenuti la quarta potenza mondiale.
La priorità oggi, nel ciclo di stagnazione e recessione - ancor più acute nel centro e nel Sud dell'Europa - è quella di fermare la fuga dei capitali e di bloccare la desertificazione industriale. Dimostrare che l'Europa non comincia e finisce a Berlino. Che nella stagione triste del predominio delle rendite (così ben raccontata da Piketty) è possibile ancora investire in manifattura e forza lavoro.
Quest'equilibrio di fattori a mio parere è il perno attorno cui far ruotare in futuro tanto lo sviluppo dell'industria di base quanto delle produzioni ad alto valore aggiunto.
Una dinamica che a Piombino è stata possibile grazie ad un'innovazione del processo pubblico e della macchina statale, che si è mossa in un contesto vischioso di oligopoli e di difese corporative.
Nemici sempre in agguato, ancor più nella siderurgia. Dominata da cartelli familiari e da attori passivi che non hanno saputo interpretare la sfida dei nostri tempi (l'emersione di nuovi mercati e di nuovi colossi produttivi) con lo spirito giusto.
Ma hanno anzi ridotto gli investimenti, trasferito i capitali nei paradisi fiscali. Chiuso le fabbriche. Ceduto quote produttive alle acciaierie del Nord Europa e spento la speranza di una competizione innovativa. Una speranza che noi abbiamo riacceso risalendo contro corrente. E non per un capriccio localistico. Ma per una visione e un'idea d'Italia ben precisa.
Come nel dopoguerra l'obiettivo di fondo oggi è infatti sempre lo stesso. Tenere il paese nel consesso delle grandi economie e incanalare nel giusto binario la coesione sociale e l'efficienza della nostra democrazia. La sfida diviene ancor più avvincente perché il gruppo Cevital viene dal Nord Africa e perché ha una struttura di interessi industriali molto ricca e diversificata, in grado di superare la monocultura nel rilancio di Piombino e del suo indotto produttivo e di costruire una fitta rete di interlinee (infrastrutture, commercio, finanza) attorno a un mare circondato da terra e puntellato di porti importanti e ricchi di storie e culture. Da oggi l'Italia, l'Algeria e l'Europa del Sud potranno contare su una nuova leva di sviluppo e cooperazione economica. A riprova che i Pigs e l'Italia in particolare, non sono solo il paziente malato d'Europa ma il teatro possibile di una grande stagione di crescita e integrazione che schiude l'alba dopo una notte lunga e senza stelle.

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