L’agricoltura riguarda tutti, ogni giornoby Citta invisibile |
Perché dovremmo iscriverci a un corso di agricoltura – che per di più si annuncia molto pratico – se non coltiviamo la terra? Ora che l’ho frequentato, ho la mia risposta: perché tocca argomenti che coinvolgono ogni aspetto della vita di tutti: l’aria che respiriamo, quel che mangiamo, i poteri centrali e le loro discutibili disposizioni, e tanti avvenimenti della storia recente da vedere sotto una nuova prospettiva, per ricollegarli finalmente alla nostra storia di persone e cittadini.
Quanto sto dicendo vale soltanto se si tratta di un corso di Agricoltura organica e rigenerativa (A.O.R.) – tenuto nel caso specifico da Matteo Mancini di Deafal ong presso la Stazione ornitologica della riserva dei laghi Lungo e Ripasottile, e con la collaborazione dell’associazione Postribù onlus, in provincia di Rieti, il 4 e 5 ottobre scorsi.
Per qualche informazione di base sull’Agricoltura organica
e rigenerativa leggi questo articolo:
Marco Pianalto e l’Agricoltura organica e rigenerativa
Matteo Mancini ci spiega come riconoscere i diversi tipi di terrenoe rigenerativa leggi questo articolo:
Marco Pianalto e l’Agricoltura organica e rigenerativa
Come per ogni altro settore che implica l’intervento dell’uomo sull’ambiente, anche in agricoltura dobbiamo acquisire consapevolezza e senso di responsabilità. Riuscirci significa ricominciare a occuparci delle sorti di questo pianeta, ben oltre l’orizzonte del nostro orticello (o latifondo che sia). Urge più che mai ritrovare la consapevolezza di un destino condiviso in cui la terra che abitiamo, e coltiviamo, sia vista come una parte di noi, non come strumento economico o proprietà su cui esercitare qualsiasi arbitrio.
Cominciamo però dall’inizio. Al corso ci ritroviamo in 26, giunti da varie regioni d’Italia, pronti a cimentarci con impasti di terra, letame e paglia; ma con aspettative al contempo meno pratiche. Intuiamo tutti quanti che conoscere il terreno, valutarne la sostanza e insieme l’essenza, ci restituirà con esso un legame più stretto. Non siamo qui per domarlo, ma per comprenderlo nella sua natura complessa di organismo vivente che possiede un’identità e merita di essere rispettato.
Matteo preleva una zolla per mostrarci gli strati che la compongono
Davanti a Matteo non mancano, tra noi, gli sprovveduti in materia agricola (io sono tra quelli), accanto ad altri che hanno un po’ di pratica alle spalle. Peccato però che dal rietino, cioè dal circondario, soltanto un imprenditore agricolo abbia raccolto lo stimolo a iscriversi. Lo evidenzia subito Matteo, con rammarico, perché l’obiettivo principale di Deafal, ora, dopo anni di sperimentazioni e corsi, è quello di rendere questa agricoltura naturale importata dal Sud America quella prevalente. Come giustamente sottolinea,occorre ribaltare la prospettiva: non più assegnare certificazioni biologiche a chi cerca di attuare buone pratiche, bensì assegnare bollini neri a chi fa uso di prodotti chimici avvelenando l’ambiente e i prodotti che ne ricava.
La terra da vicino è davvero una scoperta!
Matteo ci spiega che l’agricoltura così come viene praticata da decenni nel nostro Paese non è più sostenibile: distrugge il suolo, mina la nostra salute e rinuncia perfino alla propria identità, avendo delegato nelle mani delle istituzioni (consorzi nazionali e Comunità Europea) la decisione di cosa coltivare. Alludiamo a un’attività imprenditoriale agricola sotto il giogo di un meccanismo che l’ha resa dipendente dai prodotti che le vuole vendere: l’utilizzo di fertilizzanti chimici ingenera nelle colture la necessità di altri prodotti che combattano le malattie e i parassiti, in un circuito infinito che si autoalimenta e in cui il contadino è solo un consumatore e nient’altro.
Slide che riassume i mali della nostra agricoltura
Qui dove ci troviamo, presso la Stazione ornitologica che domina la valle, si scorgono distese di campi che all’occhio dovrebbero risultare una visione da cartolina, un paesaggio bucolico cui l’uomo ha dato un ordine e un senso con il suo lavoro. Matteo, però, dirada l’illusione: quello che i suoi occhi vedono è diverso: il frutto di un’attività agricola perversa che nulla di buono e di sano restituirà a chi l’ha istituzionalizzata, imponendole di fatto metodi di coltivazione meccanizzati e un uso intensivo di prodotti chimici.
La stazione ornitologica è davvero un punto panoramico? (foto di Lucio Filippini)
Gli agricoltori non sono altro, ci spiega Matteo, che cavie da laboratorio: non hanno mai chiesto i pesticidi, i fertilizzanti e gli altri prodotti chimici che sono diventati i loro strumenti di lavoro. Gli errori – che senza dover attingere alla retorica possiamo definire orrori – vengono da lontano, ma nel ’900 hanno intensificato la loro azione nociva. Una serie di slide ci dimostra che l’agricoltura di oggi viene praticata come una vera e propria guerra, perché proprio dalla guerra deriva.
La copertina di una serie di slide che svelano lo sconvolgente legame tra industria bellica e agricoltura
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, agenti chimici e mezzi pesanti utilizzati durante le azioni belliche devono essere riutilizzati, e l’agricoltura appare come il bacino perfetto in cui riversarli. E proprio dal settore agricolo questi prodotti in un certo senso provenivano: dalla sperimentazione chimica che fin dalla metà del 1800 era diventata parte integrante della pratica agricola, e che aveva già avuto un primo collaudo nella Prima Guerra Mondiale.
Dopo il 1945, grandi quantità di azoto, fosforo, potassio, rame devono essere riciclate – insieme a carrarmati, aerei e attrezzature varie (maschere, stivali, guanti) – ed ecco aprirsi allora quel periodo denominato Rivoluzione Verde: i Paesi poveri diventano zone di sperimentazione. Con la scusa degli aiuti umanitari, le Fondazioni danarose come Ford e Rockfeller introducono semi migliorati e pesticidi, aprendo la strada agli ogm e alle quotazioni in borsa, in una corsa folle verso l’autodistruzione in nome della speculazione.
Ad ascoltare questa storia sale una rabbia cieca, ma prevale la voglia di rimediare, di dare un esempio migliore facendo tesoro di questi insegnamenti.
Durante la pausa pranzo il direttore della stazione ornitologica ci racconta la preziosa attività di monitoraggio delle specie di uccelli e delle rotte migratorie che interessano questa zonaAd ascoltare questa storia sale una rabbia cieca, ma prevale la voglia di rimediare, di dare un esempio migliore facendo tesoro di questi insegnamenti.
L’agricoltura organica, ci spiega Matteo, col suo approccio rivolto a rinforzare il terreno in modo del tutto naturale, intende produrre un cambiamento a livello locale, creando reti sociali ed economiche che siano in grado di recepire e sostenere l’attività delle aziende del territorio che introducono queste buone pratiche. Del suolo se ne sa ancora poco, ma con le giuste competenze è possibile aiutarlo a essere forte senza prodotti chimici. Si parla di sostanza organica, di minerali, di attività microbiologica. Ed è unendo questi elementi che, nei due giorni passati a Rivodutri, Matteo ci fa realizzare prodotti naturali che possono aiutare il suolo a diventare più forte.
Fuori dall’aula, olio di gomiti!
Ecco allora nascere un accumulatore di microrganismi, mescolando lettiera di bosco, crusca e zucchero. Poi da letame terra e paglia, addizionati di crusca carbone e cenere prende forma il bokashi. E ancora realizziamo un potente biofertilizzante combinando merda di vacca fresca, lievito, acqua e cenere; e poi il polisolfuro di calce e il solfato di rame e calce. E ancora una soluzione di bicarbonato di sodio e una soluzione di cenere: tutti composti per aiutare il terreno a rinforzarsi o le piante a difendersi da eventuali attacchi.
La pozione magica per il suolo ribolle dentro il suo pentolone
Un’altra grave minaccia alla salute dei suoli, che contribuisce al loro impoverimento, è lameccanizzazione dell’agricoltura: compatta il terreno, distrugge flora e fauna, e il sistema anche in questo caso è organizzato in modo che una macchina agricola crei la necessità di un’altra macchina, solo per alimentare un business e non per favorire le coltivazioni.
Una delle drammatiche conseguenze che una cattiva lavorazione dei suoli porta con sé è la loro erosione: il terreno, spesso quello fertile, scivola via lasciando dietro di sé la scomparsa delle zone coltivabili, e alimentando il rischio di esondazione di fiumi e torrenti, il cui letto va inevitabilmente a salire per via dell’accumulo di fango. Le tragedie che discendono da questi avvenimenti sono sempre più frequenti, e viene da chiedersi perché nessuno parli mai delle responsabilità di pratiche agricole sbagliate in tutto questo.
Il suolo è una rete complessa, di cui si sa ancora pochissimo…
Dopo la fine del corso, per provare a tirare le somme e dare un ordine a quanto ascoltato, ho rivolto a Matteo qualche domanda.
Al corso ci hai raccontato come il lavoro di Deafal di portare in Italia le tecniche dell’agricoltura naturale trovi di fronte a sé molte resistenze e scetticismo: perché gli imprenditori agricoli italiani sono così chiusi? La cosiddetta “crisi” non dovrebbe dare una sveglia anche a loro come ha fatto con altre categorie di lavoratori?
Il mondo agricolo è per tradizione abbastanza conservatore e scettico di fronte alle novità e ai cambiamenti di paradigma nel modo di produrre. “Si è sempre fatto così” e “Qui da noi queste tecniche non possono funzionare” sono le frasi che si ascoltano più frequentemente. Va poi detto che il settore agricolo è composto da operatori con un’età media molto avanzata, e per questo poco inclini al cambiamento, alla sperimentazione e alla formazione. Dietro di loro c’è però un esercito di giovani che sta premendo e vuole avere accesso alle terre per produrre in modo radicalmente diverso da come si è fatto fino ad ora. Spesso, da chi non proviene dal mondo agricolo, arrivano i risultati più sorprendenti: si tratta di ragazzi che possono ragionare in campo senza le gabbie nelle quali sono state “ammaestrate” dall’agricoltura industriale intere generazioni di agricoltori dal dopoguerra ad oggi. Inoltre, questi giovani danno un grande valore al territorio e alla comunità in cui lavorano, ed è proprio localmente che riescono a creare le condizioni per valorizzare i loro prodotti e dare un senso economico alla loro attività.
Quale ritieni debba essere, ora, la mossa strategica più importante da fare affinché in Italia l’agricoltura chimica lasci spazio un po’ alla volta a quella naturale? quale la strada più veloce per informare e sensibilizzare?
Credo che l’unico metodo efficace sia l’esempio pratico, ovvero portare sempre più aziende a produrre cibo sano e di qualità con costi minori. La maggior parte delle aziende spende gran parte del reddito in input esterni (fertilizzanti, diserbanti, agrofarmaci) e vende al mercato globalizzato, in cui i prodotti agricoli sono commodities al pari del petrolio o dei metalli e il cui prezzo è stabilito da dinamiche speculative che nulla hanno a che fare con i fattori locali di domanda-offerta. Questi elementi fanno dell’agricoltura un’attività antieconomica che porta al collasso tanti agricoltori. Per questo, penso che da un lato si debba tornare a lavorare con principi e tecniche sensate che recuperino la fertilità dei suoli, dall’altro creare progetti locali di filiera che sottraggano il cibo alla speculazione e diano un reddito degno a chi lo produce. La formazione e la sensibilizzazione devono essere solo uno strumento per raggiungere questi obiettivi, e non un’attività fine a sé stessa.
Al corso hai parlato di un’agricoltura moderna schiava dei prodotti chimici, in cui i coltivatori non possono decidere cosa coltivare e sono soltanto l’anello di consumo di una catena di prodotti industriali imposti, anche a livello comunitario. Ti chiedo: Come hanno fatto a “fregare” così tutti i contadini? …ingenuità, ingnoranza, abile manipolazione o cosa?
Credo che in passato, da parte di tanti contadini, ci sia stata la mancanza di strumenti per comprendere cosa stava succedendo e quali sarebbero potute essere le conseguenze. Negli anni ’50, ’60 e ’70 il mondo agricolo è stato invaso da una vera e propria marea chimica alla quale nessuno si è potuto sottrarre. Oggi più o meno tutti sanno il prezzo che la società sta pagando in termini economici, ambientali e sanitari, ma il legame tra burocrazia, grandi industrie, parte del mondo accademico e molti tecnici è talmente forte che opporvisi con risultati tangibili è un’operazione da Davide contro Golia.
Voi comunque state avviando collaborazioni. In quali e quante aziende agricole italiane grossomodo è in corso una sperimentazione di A.O.R. che state seguendo e monitorando? i primi risultati cosa stanno dicendo?
Noi ci limitiamo a seguire le aziende e a “riprogrammarle” con gli strumenti dell’Agricoltura Organica e Rigenerativa; l’elenco completo, insieme a una mappa, si trova sul nostro sito www.agricolturaorganica.org. Parallelamente cerchiamo di creare legami con gruppi, istituzioni e università che sono interessate al nostro lavoro. A mio parere una delle sperimentazioni più interessanti è quella che stiamo svolgendo da due stagioni con lo Spevis di Panzano in Chianti, con il quale stiamo valutando l’efficacia di alcuni preparati dell’A.O.R. nella nutrizione e difesa del vigneto. Sia la risposta di campo da parte delle aziende, che quella scientifica delle sperimentazioni ci stanno dando buoni risultati e stimoli per migliorare e adattare le conoscenze a ogni singola realtà produttiva.
Cosa state organizzando per il prossimo futuro a livello di formazione e di strategia di diffusione dell’A.O.R.?
Lo staff italiano di Deafal continua come sempre nelle attività di supporto tecnico e formazione alle aziende; tutti i dettagli su corsi eventi ecc si trovano nel nostro sito. Chi fosse interessato a realizzare attività formative nel proprio territorio può contattarci all’indirizzo info@agricolturaorganica.org. Lo stesso indirizzo può essere usato per chiedere informazioni sulle altre attività in programma. Mi riferisco all’incontro nazionale della Rete di Agricoltura Organica e Rigenerativa, che vorremmo realizzare per gennaio, col quale intendiamo far dialogare e mettere in rete le tante persone che si sono interessate a praticano l’A.O.R., e al nuovo tour di Jairo Restrepo, previsto per l’inizio del prossimo anno. Quest’anno vorremmo affiancare a Jairo il microbiologo messicanoNacho Simon, che nei suoi corsi mostra come riprodurre e usare in agricoltura funghi e batteri. Inoltre, per il primo trimestre del prossimo anno, è previsto un viaggio di scambio in Messico riservato a una decina di agricoltori italiani per conoscere alcune grandi aziende d’Oltreoceano che praticano l’A.O.R.
Matteo Mancini, laureato nel 2005 in Scienze Forestali e Ambientali presso la Facoltà di Agraria di Firenze, ha lavorato per quattro anni tra Messico, Mozambico, Brasile e Angola in progetti agricoli e forestali. Dal 2009 è responsabile di campo per Deafal ONG e si occupa di formazione e assistenza tecnica alle aziende agricole italiane. Nel 2011 si è diplomato in Messico in Agricoltura Organica, Disegno Keyline e Cromatografia, modellando queste tecniche per la realtà produttiva delle nostre aziende.
Articolo pubblicato anche su Ecoabitare.org
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