L’intercultura a Roma è allo s-bandoby Riccardo |
di Mariapia Candreva
Sono le 9 del mattino. Davanti all’assessorato alle Politiche sociali, a Roma, nel trafficato viale Manzoni, si riuniscono alla spicciolata alcune persone. Sono mamme e papà, sono giovani e non più, sono operatori, maestri, amici. Sono bambini e bambine.
Di fianco a loro una camionetta della polizia con pochi agenti. Sorridono, non c’è da stare in guardia. A manifestare oggi sono i Centri Interculturali per Minori, gente innocua anche se arrabbiata. Molto arrabbiata. Perché da oltre vent’anni sono loro che hanno portato dentro Roma la cultura dell’accoglienza, sono loro che hanno aperto le porte a bambini e ragazzi provenienti da ogni parte del mondo come da ogni quartiere della città.
I Centri Interculturali per Minori sono una risorsa per la città, un bene prezioso. Ma, come spesso accade in questa città, impoverita da una politica che al sociale non regala niente,non vengono riconosciuti come tali. Finanziati, in parte, grazie a un bando comunale, da cinque anni queste strutture vanno avanti con proroghe su proroghe. Una brutta batosta, una prassi umiliante, avviata dalla giunta Alemanno e portata avanti, fa male dirlo, anche da quella di sinistra formata dall’uscente e rientrante sindaco Marino.
La situazione precipita nell’ultimo mese. I Centri chiedono a gran voce l’emissione di un nuovo bando, minacciano proteste in Campidoglio, mobilitano, come possono, mezzi di informazione e cittadini. E qualcosa sembra muoversi. Sarà emesso un nuovo bando in tempi brevissimi, ma prima che questo accada vengono comunicati loro i termini o, meglio, i paletti entro cui questo verrà redatto. I fondi stanziati saranno 1.300,000 complessivi, rispetto ai 3.000,000 dei precedenti bandi, meno della metà.
Per questo, non tutte le strutture saranno ammesse a godere dei finanziamenti. Sarà un solo centro a beneficiarne per ogni municipio di Roma: nove municipi, nove centri.Peccato che le strutture in questione siano 23 e, se la matematica non è un’opinione, 14 verranno soppresse. Sono numeri oppure no. Sono bambini e ragazzi che resteranno a casa, più di cinquecento se vogliamo continuare a dare cifre, sono educatori, operatori, gente che ha dato l’anima a quest’impegno sociale che resteranno senza un lavoro.
Tutto ciò non è ammissibile in una società civile. I Centri Interculturali per Minori non ci stanno ad essere messi gli uni contro gli altri in una guerra tra poveri in cui a rimetterci saranno, al solito, gli elementi più fragili della comunità. È questa la politica sociale della sinistra?
Sono le 9 del mattino e davanti all’assessorato alle Politiche sociali si sentono voci di bambini gridare “Vogliamo la scuola”, suoni acuti di fischietti, il battito ritmato di bastoni su un pentolone, di quelli che si usano nelle mense scolastiche. Si leggono cartelli colorati con scritte cupe “Cittadini di domani trattati come cani”, “Roma capitale si dimentica il sociale”.
Si vedono volti allegri di bambini interculturali come i centri che frequentano. Sono bambini di ogni etnia, sono i bambini romani. Ai loro sorrisi si contrappongono le espressioni serie e preoccupate degli adulti, a qualcuno spunta una lacrima. Non è retorica, è delusione e frustrazione, è senso di impotenza misto a stupore. Massimo Guidotti, presidente dello storico Celio Azzurro, spiega i motivi della protesta, chiede ragioni, sostenuto dagli altri maestri, dai bambini, dai genitori attuali e tanti ex.
"Un bando come questo, ingiusto e umiliante, non lo vogliamo. Che non venga emesso finché non rispetti i parametri della dignità. C’è rabbia nell’aria e anche commozione".L’assessore convoca lui, insieme ai rappresentanti degli altri centri presenti, in una riunione. Passano i minuti, tanti, scanditi dai fischi, gli applausi, le speranze e le tensioni. Dopo più di un’ora la riunione finisce i rappresentanti dei Centri escono, ma qualcosa deve essere andato storto. Massimo Guidotti, del Centro interculturale Celio Azzurro, frena l’applauso spontaneo che sta per nascere e racconta che hanno sbattuto la faccia contro un muro di gomma. Il bando sarà emesso, i fondi non aumenteranno, se non di qualche spicciolo, i 14 Centri destinati a scomparire scompariranno. Non è successo niente, tranne che quei cinquecento bambini sono stati spinti un po’ più avanti verso la porta di uscita.
Sono le 11,30 del mattino, davanti all’assessorato alle Politiche sociali non ci sono più bambini, bisogna che tornino a scuola, nelle loro scuole ancora aperte dove tra poco serviranno il pranzo. È stata una mattinata diversa per loro, eppure non è successo niente. La protesta continua, la lotta, fanno sapere, non si ferma.
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