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Di energia non è bene parlare in termini superficiali.

L’Italia è tuttora uno dei paesi più industrializzati del mondo, e i consumi energetici formano una cospicua tranche dell’economia nazionale. L’Italia, inoltre, è costretta a importare gran parte dell’energia che consuma. Di energia non si deve poi parlare superficialmente perché i modi di fabbricarla hanno un impatto diverso, spesso devastante, sul pianeta e – per quanto ci riguarda – sul paesaggio.

Per questo motivo la lettera sull’energia (http://www.energiaperlitalia.it/lettera-al-governo/) che scienziati italiani di prestigio internazionale hanno spedito al presidente del Consiglio dei Ministri è importante.

Ancora, la sua importanza è accresciuta dall’aggancio alla cronaca, e precisamente dalla critica che esprime al decreto Sblocca Italia e alle sue contraddizioni in materia di politica energetica. Insomma – lo dico da non esperto di energia – una lettera come questa dovrebbe stimolare una profonda discussione nel nostro forum. In linea di massima, mi aspetto che alla prima lettura l’ambientalista medio sottoscriva entusiasta ogni singolo punto. Io almeno così farei, a cominciare dal primo, quel luminoso appello alla parsimonia energetica.
Parsimonia. Che bella parola. Risparmiare qualcosa di prezioso perché scarso. Ai tempi della mia gioventù, negli anni 70 della prima crisi petrolifera, un accorto commentatore osservò: col petrolio si fabbricano cose importanti, pensate alla plastica. E che facciamo noi? Lo bruciamo.
Eppure sembra che questa bella parola qualche problema possa crearlo, segnatamente di tipo economico: guardate questo grafico (Terna 2012). La correlazione fra ricchezza prodotta e fabbisogno elettrico non ha bisogno di essere sottolineata: di più, se il PIL cresce, lo fa a costi energetici sempre maggiori.
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Ma se è vero che viviamo tempi in cui sarebbe ora di smettere il mantra ossessivo della crescita, è pur vero che questa è la contingenza: a quella crescita è, oggi, direttamente legato il lavoro di persone in carne e ossa, il lavoro istanza di dignità costituzionale al pari del paesaggio. La decrescita che auspicano in molti va implementata salvando la qualità di vita di tutti, altrimenti si potrà sostenere che chi la auspica non ne ha chiare le conseguenze oppure, in fondo, non fa che esercitare della retorica potendoselo permettere.
E il quarto punto? Energia rinnovabile, altra ottima parola: rinnovabile come i prodotti della terra. Eppure quanti ambientalisti conosco che a suo tempo adottarono entusiasti questa parola, salvo poi costringersi a una precipitosa retromarcia quando scoprirono che molto di quel rinnovabile, ahimé, consumava cibo, terra, vedute. Aerogeneratori, fluente, biomasse, dighe e pannelli fotovoltaici: mezzi che a volte sfigurano il paesaggio
– per me soprattutto gli ultimi, confesso che le pale eoliche spesso non mi dispiacciono – a volte più del nucleare, che vanta pure lui un bassissimo impatto in termini di emissioni (ma una filiera critica dal punto di vista tecnologico, dell’approvvigionamento e del ciclo di vita); più delle trivelle on- e off-shore, che vanno combattute non tanto per l’aggressione al paesaggio quanto per quella alle falde condotta in nome del profitto di pochi piccoli e grandi despoti, per il ridicolo apporto delle concessioni al bilancio dello Stato e, ultimo ma più importante di tutti, perché di tanto il pianeta ha oggi bisogno ma certo (2° punto della lettera) non di estrarre altro carbonio dal sottosuolo per scaraventarlo nell’atmosfera in forma di gas serra.
Si potrebbe poi discutere di un’eventuale, istintiva, gioiosa adesione all’efficientamento energetico (parola stavolta non così bella) degli immobili. Qual è il ciclo di vita dei materiali che si userebbero, quanta energia richiedono durante questo ciclo? E, per quanto riguarda questo forum: qual è il loro impatto paesistico?
Supponiamo – e non è escluso – che quest’intensa riattivazione del languente settore edile stimoli nuove, orribili cave nel “paese più bello d’Europa”, come la metteremmo con la tutela del paesaggio?

La contraddizione, che è il sale di ogni sana dialettica, è quasi dietro ogni passo.

Una sintesi difficilmente verrà dalle polemiche dei blog, più facilmente da un’analisi approfondita di costi e benefici: energetici, economici, ambientali, culturali, paesistici.

Sarebbe bene avviare quest’analisi a cominciare dal primo punto: la parsimonia. Vale a dire: quale saggezza deve ispirarci per comporre il portafoglio energetico del nostro paese in modo da preservare la cultura materiale dei suoi inimitabili luoghi. Cominciamo a esercitarla provando a rispondere a due domande: quanto, come?

Claudio Arbib