Pensioni, contratti e debito pubblico così la Consulta modifica i conti statali
Stanno arrivando alla corte le decisioni prese dagli esecutivi negli ultimi anni sotto la spinta soprattutto delle politiche europee di austerità. Al primo posto i conflitti sulle pensioni, ma finora si » tenuto poco conto dell'art. 81di ROBERTO MANIA
La parola alla Corte. Domani i giudici della Consulta decideranno se il blocco dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego attuato nel periodo 2010-2015 è costituzionalmente legittimo oppure no. E se dovessero optare per il giudizio di incostituzionalità si aprirà una voragine nei conti pubblici: 35 miliardi ha stimato l'Avvocatura dello Stato nelle memorie difensive, con un effetto strutturale di circa 13 miliardi di euro a partire dal prossimo anno. Un incubo per gli uomini del ministero dell'Economia guidato da Pier Carlo Padoan, e anche per Palazzo Chigi Perchè 35 miliardi sono il doppio del potenziale impatto finanziario (17,6 miliardi nel 2015) che avrebbe avuto l'applicazione rigorosa (cosa che non è però avvenuta con il successivo decreto del governo) della recente sentenza sul blocco delle indicizzazione delle pensioni.
E già l'effetto di questa pronuncia avrebbe seriamente compromesso il percorso verso la stabilizzazione del risanamento, facendo schizzare il rapporto deficit/Pil dal 2,5 per cento al 3,6 per cento, facendo crescere inevitabilmente la pressione fiscale, innalzando il debito, scaricando ancora una volta i costi futuri del rientro sulle generazioni più giovani. Una sentenza "spacca conti". Come un po' potrebbe esserlo anche quella della scorsa settimana che ha dichiarato l'incostituzionalità delle norma che non prevede l'aggiornamento periodico degli autovelox.
Il rischio è che si apra la strada alla richiesta di risarcimenti per milioni di euro da parte degli automobilisti.
Davanti alla Corte costituzionale stanno arrivando le politiche di austerity realizzate in questi ultimi anni sotto la spinta soprattutto dell'integrazione monetaria europea. Politiche spesso subite dai governi nazionali in una sorta di cessione di sovranità finanziaria a Bruxelles o Francoforte. Dunque realizzate di fretta, a malavoglia, senza essere accompagnate da un disegno organico di rilancio dell'economia. Quasi sempre con l'idea dei due tempi: prima il risanamento, poi lo sviluppo. Che non è mai arrivato anche perchè il rigorismo punitivo, dopo gli errori degli ultimi governi di centrodestra, ha tolto ossigeno all'economia.
Il cambio definitivo di prospettiva c'è stato nel 2012 con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (il nuovo articolo 81 della Costituzione) e il divieto di ricorrere al debito, come negli anni Ottanta (ma non solo), per finanziare nuove spese o minori entrate, far vivere bene le generazioni mature (o presumere di farlo) in cambio del consenso elettorale a breve, e compromettere seriamente le condizioni reddituali delle generazioni future. Non è un caso, d'altra parte, che la maggior parte delle sentenze della Corte costituzionale con effetti significativi sul piano finanziario, in particolare nella stagione della lira e della prima Repubblica partitocratica ma anche nella seconda Repubblica dell'euro e del bipolarismo, siano state in materia di pensioni, di adeguamento delle pensioni, di indicizzazione dei trattamenti pensionistici. E subito dopo in materia di pubblico impiego che, nella sua versione degenerativa, appartiene un po' anche al nostro welfare state. Sulla Corte si è scaricato così anche il conflitto generazionale promosso, però, dagli insider (per quanto non sempre ne fossero consapevoli) contro i decisamente incolpevoli outsider (si pensi al contributo sulle pensioni d'oro cancellato dalla Corte). Ora questo aspetto comincia ad emergere. Ha detto Padoan nel corso della sua ultima audizione davanti alle Commissioni riunite di Bilancio e Lavoro: ´In un'ottica intergenerazionale occorre riconoscere che il pagamento di 17,6 miliardi nel 2015 e di circa 4,5 miliardi annui nei prossimi anni, si rifletterebbe negativamente sulla pressione fiscale e sulla fornitura di servizi pubblici e trasferimenti, inclusi quelle alle generazioni più giovani'.
La Corte sembra far fatica a muoversi lungo questi nuovi sentieri economico-sociali, come tra il vincolo del rinnovato articolo 81 e la tutela degli altri diritti costituzionali. Nell'ultima sentenza che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco delle indicizzazioni delle pensioni non si fa, stranamente, alcun riferimento all'articolo 81. Eppure, ha scritto il costituzionalista Augusto Barbera, ´l'equilibrio di bilancio non è un freddo dato contabile ma il mezzo attraverso il quale si possono porre in equilibrio i vari "diritti". Non mi riferisco solo ai "diritti" delle generazioni più giovani ma alla politica redistributiva che gli organi democraticamente legittimati potrebbero svolgere a favore di altri soggetti (disoccupati, giovani, titolari di pensioni minime ecc.)'. Insomma - forzando un po' - l'articolo 81 come perno di un moderno sistema di diritti sociali. Perchè il pareggio di bilancio e la disciplina di stampo europeo nei conti pubblici non è una variabile indipendente nel quadro della tutela reale dei diritti. Tanto che l'ex giudice costituzionale Sabino Cassese è arrivato a sostenere che ´lo scivolone della Corte, dimentica per un momento delle sue proprie responsabilità di tutore dell'articolo 81 della Costituzione, avrebbe potuto innescare una valanga rovinosa non solo per l'economia italiana, ma anche per gli stessi pensionati'.
Va detto che la dottrina non è uniforme. L'ex presidente della Corte Gustavo Zagrebelsky si è schierato con l'orientamentoprevalente della Consulta: ´Mi conforta - ha detto che dal principio dell'equilibrio di bilancio non si sia dedotto automaticamente un lasciapassare al libero arbitrio della politica'. E poi: ´Nel dibattito politico, l'appello ai conti, e ai conti conformi alle richieste dell'Europa e della finanza internazionale, rischiava di diventare la super norma costituzionale'.
Intorno all'articolo 81 la giurisprudenza della Corte comunque è ondeggiante. Perchè se è stata ignorata nella pronuncia sulle pensioni è stata rilevante nella decisione che ha dichiarato l'incostituzionalità della cosiddetta Robin Tax di Giulio Tremonti limitando così gli effetti solo al futuro ed escludendo qualsiasi effetto retroattivo. Proprio come stabiliscono gli ordinamenti in Germania, Austria e Portogallo. Ha scritto la Corte nella sentenza n. 10 del 2015: ´L'applicazioneì retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell'equilibrio di bilancio ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione'.Dunque, se vuole, la Corte è in condizione di valutare, non necessariamente di misurarne l'entità con precisione, gli effetti finanziari. Smentendo in qualche modo le polemiche successive alla sentenza sulle pensioni sull'adeguatezza delle strutture della Corte e sulla necessità di creare un meccanismo di coordinamento tra i giudici costituzionali e il ministero dell'Economia. Questione, in ogni caso, non di secondaria importanza. Tanto che il vicepresidente del Senato, Linda Lanzillotta (Pd), ha presentato un disegno di legge per consentire alla Corte di chiedere la consulenza dell'Ufficio parlamentare di Bilancio, quindi un organismo del tutto autonomo, per valutare l'impatto sul bilancio di una sentenza in materia economica. Prevedendo, inoltre, la possibilità per la Corte di modulare nel tempo l'efficacia della sua decisione. Strada peraltro inaugurata dalla Corte stessa già a metà degli anni Novanta quando dichiarò incostituzionale una legge sul calcolo della contingenza nella liquidazione dei dipendenti pubblici rinviandone però gli effetti.
E ora ritornano alla Corte i dipendenti pubblici. Il blocco dei rinnovi contrattuali dovuti alle politiche di austerità. La Corte ha già detto che si possono bloccare. E l'ha detto bene nel 2013: ´Il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica implicano sacrifici gravosi che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica'. Nella stessa pronuncia, che riguardava il blocco degli aumenti nei comparti non contrattualizzati (diplo-matici, docenti universitari, personale della Guardia di finanza), la Corte parlò pure di ´una dimensione solidaristica ' all'interno del pubblico impiego ma anche evidentemente all'interno di tutto il mondo del lavoro, dove la parte esposta alla concorrenza ha lasciato sul campo morti e feriti, mentre quella pubblica era protetta. Difficile che ora possa cambiare idea.
E già l'effetto di questa pronuncia avrebbe seriamente compromesso il percorso verso la stabilizzazione del risanamento, facendo schizzare il rapporto deficit/Pil dal 2,5 per cento al 3,6 per cento, facendo crescere inevitabilmente la pressione fiscale, innalzando il debito, scaricando ancora una volta i costi futuri del rientro sulle generazioni più giovani. Una sentenza "spacca conti". Come un po' potrebbe esserlo anche quella della scorsa settimana che ha dichiarato l'incostituzionalità delle norma che non prevede l'aggiornamento periodico degli autovelox.
Davanti alla Corte costituzionale stanno arrivando le politiche di austerity realizzate in questi ultimi anni sotto la spinta soprattutto dell'integrazione monetaria europea. Politiche spesso subite dai governi nazionali in una sorta di cessione di sovranità finanziaria a Bruxelles o Francoforte. Dunque realizzate di fretta, a malavoglia, senza essere accompagnate da un disegno organico di rilancio dell'economia. Quasi sempre con l'idea dei due tempi: prima il risanamento, poi lo sviluppo. Che non è mai arrivato anche perchè il rigorismo punitivo, dopo gli errori degli ultimi governi di centrodestra, ha tolto ossigeno all'economia.
Il cambio definitivo di prospettiva c'è stato nel 2012 con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (il nuovo articolo 81 della Costituzione) e il divieto di ricorrere al debito, come negli anni Ottanta (ma non solo), per finanziare nuove spese o minori entrate, far vivere bene le generazioni mature (o presumere di farlo) in cambio del consenso elettorale a breve, e compromettere seriamente le condizioni reddituali delle generazioni future. Non è un caso, d'altra parte, che la maggior parte delle sentenze della Corte costituzionale con effetti significativi sul piano finanziario, in particolare nella stagione della lira e della prima Repubblica partitocratica ma anche nella seconda Repubblica dell'euro e del bipolarismo, siano state in materia di pensioni, di adeguamento delle pensioni, di indicizzazione dei trattamenti pensionistici. E subito dopo in materia di pubblico impiego che, nella sua versione degenerativa, appartiene un po' anche al nostro welfare state. Sulla Corte si è scaricato così anche il conflitto generazionale promosso, però, dagli insider (per quanto non sempre ne fossero consapevoli) contro i decisamente incolpevoli outsider (si pensi al contributo sulle pensioni d'oro cancellato dalla Corte). Ora questo aspetto comincia ad emergere. Ha detto Padoan nel corso della sua ultima audizione davanti alle Commissioni riunite di Bilancio e Lavoro: ´In un'ottica intergenerazionale occorre riconoscere che il pagamento di 17,6 miliardi nel 2015 e di circa 4,5 miliardi annui nei prossimi anni, si rifletterebbe negativamente sulla pressione fiscale e sulla fornitura di servizi pubblici e trasferimenti, inclusi quelle alle generazioni più giovani'.
La Corte sembra far fatica a muoversi lungo questi nuovi sentieri economico-sociali, come tra il vincolo del rinnovato articolo 81 e la tutela degli altri diritti costituzionali. Nell'ultima sentenza che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco delle indicizzazioni delle pensioni non si fa, stranamente, alcun riferimento all'articolo 81. Eppure, ha scritto il costituzionalista Augusto Barbera, ´l'equilibrio di bilancio non è un freddo dato contabile ma il mezzo attraverso il quale si possono porre in equilibrio i vari "diritti". Non mi riferisco solo ai "diritti" delle generazioni più giovani ma alla politica redistributiva che gli organi democraticamente legittimati potrebbero svolgere a favore di altri soggetti (disoccupati, giovani, titolari di pensioni minime ecc.)'. Insomma - forzando un po' - l'articolo 81 come perno di un moderno sistema di diritti sociali. Perchè il pareggio di bilancio e la disciplina di stampo europeo nei conti pubblici non è una variabile indipendente nel quadro della tutela reale dei diritti. Tanto che l'ex giudice costituzionale Sabino Cassese è arrivato a sostenere che ´lo scivolone della Corte, dimentica per un momento delle sue proprie responsabilità di tutore dell'articolo 81 della Costituzione, avrebbe potuto innescare una valanga rovinosa non solo per l'economia italiana, ma anche per gli stessi pensionati'.
Va detto che la dottrina non è uniforme. L'ex presidente della Corte Gustavo Zagrebelsky si è schierato con l'orientamentoprevalente della Consulta: ´Mi conforta - ha detto che dal principio dell'equilibrio di bilancio non si sia dedotto automaticamente un lasciapassare al libero arbitrio della politica'. E poi: ´Nel dibattito politico, l'appello ai conti, e ai conti conformi alle richieste dell'Europa e della finanza internazionale, rischiava di diventare la super norma costituzionale'.
Intorno all'articolo 81 la giurisprudenza della Corte comunque è ondeggiante. Perchè se è stata ignorata nella pronuncia sulle pensioni è stata rilevante nella decisione che ha dichiarato l'incostituzionalità della cosiddetta Robin Tax di Giulio Tremonti limitando così gli effetti solo al futuro ed escludendo qualsiasi effetto retroattivo. Proprio come stabiliscono gli ordinamenti in Germania, Austria e Portogallo. Ha scritto la Corte nella sentenza n. 10 del 2015: ´L'applicazioneì retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell'equilibrio di bilancio ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione'.Dunque, se vuole, la Corte è in condizione di valutare, non necessariamente di misurarne l'entità con precisione, gli effetti finanziari. Smentendo in qualche modo le polemiche successive alla sentenza sulle pensioni sull'adeguatezza delle strutture della Corte e sulla necessità di creare un meccanismo di coordinamento tra i giudici costituzionali e il ministero dell'Economia. Questione, in ogni caso, non di secondaria importanza. Tanto che il vicepresidente del Senato, Linda Lanzillotta (Pd), ha presentato un disegno di legge per consentire alla Corte di chiedere la consulenza dell'Ufficio parlamentare di Bilancio, quindi un organismo del tutto autonomo, per valutare l'impatto sul bilancio di una sentenza in materia economica. Prevedendo, inoltre, la possibilità per la Corte di modulare nel tempo l'efficacia della sua decisione. Strada peraltro inaugurata dalla Corte stessa già a metà degli anni Novanta quando dichiarò incostituzionale una legge sul calcolo della contingenza nella liquidazione dei dipendenti pubblici rinviandone però gli effetti.
E ora ritornano alla Corte i dipendenti pubblici. Il blocco dei rinnovi contrattuali dovuti alle politiche di austerità. La Corte ha già detto che si possono bloccare. E l'ha detto bene nel 2013: ´Il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica implicano sacrifici gravosi che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica'. Nella stessa pronuncia, che riguardava il blocco degli aumenti nei comparti non contrattualizzati (diplo-matici, docenti universitari, personale della Guardia di finanza), la Corte parlò pure di ´una dimensione solidaristica ' all'interno del pubblico impiego ma anche evidentemente all'interno di tutto il mondo del lavoro, dove la parte esposta alla concorrenza ha lasciato sul campo morti e feriti, mentre quella pubblica era protetta. Difficile che ora possa cambiare idea.
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