giovedì 8 ottobre 2015

cibo e religione

Non di solo pane: cibo e religione a Terra Madre Giovani

Luigi_Ciotti_hand«È meraviglioso vedere centinaia di ragazzi da 120 Paesi del mondo che discutono affinché l’anima della terra venga rispettata». Così il presidente di Libera Don Luigi Ciotti ricorda la genesi di Terra Madre Giovani – We Feed The Planet, all’incontro su Cibo e religione: un lungo racconto sulla metamorfosi che il cibo e il suo significato hanno subito nel corso dei secoli attraverso quattro grandi religioni: Induismo, Ebraismo, Cristianesimo e Islam.
«Siete venuti qui per ascoltare quello che Papa Francesco nell’enciclica chiama il grido della terra: lui stesso ci esorta a coglierlo, e con esso il grido dei poveri. Dio ha affidato all’uomo il compito di custodire e coltivare la terra: all’uomo, avete sentito bene, non alle multinazionali». Un richiamo alla sovranità alimentare che Don Ciotti rinnova ricordando come il cibo debba essere un bene di tutti, e non un privilegio che, come accade oggi, escluda le milioni di persone che soffrono la fame a causa di diseguaglianze e conflitti. «L’80% delle sementi – spiega – sono oggi in mano a sole cinque multinazionali e il 40% dei conflitti interni agli stati negli ultimi anni sono stati causati da dispute per il possesso della terra. Di fronte a questo non si può restare indifferenti, non possiamo tacere!».
Hamsananda Giri è una monaca Indu che ha voluto spiegare le ragioni del vegetarianismo che non va inteso come precetto religioso, ma come una norma etica che invita a ridurre il consumo di carne: «Tutti siamo connessi e corresponsabili di ciò che succede nel nostro pianeta, la nostra religione si fonda sul principio di fratellanza universale: l’intero mondo è la nostra famiglia. I Veda ci dicono che l’uomo deve avere una relazione diretta con il cibo: abbiamo il dovere di bucare la terra per piantare i semi e di condividere il cibo con tutti gli esseri viventi perché la prima regola per nutrire l’universo è la non violenza».
«Per non sbagliare per un ebreo forse è più facile essere vegetariano» ironizza Moni Ovadia che ci racconta del rapporto tra la religione ebraica e il cibo. Per gli ebrei è vietato mangiare maiale e altri animali considerati impuri, regole che non riguardano solo quali specie sono consentite dalla Casherut e quali no ma anche il processo di preparazione. Una delle norme più importanti è per esempio il divieto di cuocere il capretto nel latte di sua madre. «Carne e latticini non si devono contaminare per due ragioni: innanzitutto perché il latte è l’alimento simbolo per eccellenza della trasmissione della vita, mentre la carne si produce con la morte. In più si aggiunge un’altra perversione: il latte serve per far crescere i cuccioli, e cioè la carne, che invece si rapprende se cotta in un liquido», spiega Ovadia. L’ebraismo, quindi, dà un senso a ciò che si mangia, stabilendo un codice etico e dietetico, non sempre facile da rispettare: «si racconta che un ebreo ortodosso, non riuscendo a resistere alla tentazione di mangiare un maialino da latte, lo ordini in un ristorante, dove glielo servono ben condito e con la tradizionale mela in bocca. Beccato dal suo rabbino, si giustifica dicendo il maialino che era la sontuosa decorazione della mela!».
La religione ebraica non prevede solo regole legate al cibo, ma anche ai rituali e alle occasioni in cui viene consumato. Nei pasti comunitari previsti dalle feste, ma anche nella vita di tutti i giorni, gli ebrei ortodossi pronunciano una benedizione quando portano gli alimenti alla bocca: «quando ero giovane mi sembrava una folle consuetudine ma oggi ho capito che si fa per dare un significato etico al cibo, in modo che non sia solo sopravvivenza ma vita. Quando si diventa esseri di pura sopravvivenza si può essere uccisi senza remore: nei campi di concentramento i nazisti ordinavano ai deportati di mangiare usando il verbo fressen, che si usa per gli animali, e non essen, come si dice per gli esseri umani».
Un punto di contatto fra queste religioni è il significato del digiuno, come sottolineato dall’imam della Moschea di Milano Yahya Pallavicini. «Il musulmano osservante – spiega – è invitato a non bere né alimentarsi per il mese lunare di ramadan: è un digiuno rituale, una prescrizione obbligatoria che fa scoprire qual è il vero valore del nutrimento tramite l’astensione da esso. Mentre digiuno, dio mi alimenta con la dimensione spirituale e così scopro nella mia vuotezza una presenza, quella del creatore. Il Profeta insegna a mangiare senza eccessi, a lasciare sempre uno spazio per la spiritualità, in modo che ci sia un equilibrio fra l’io e la materia che lo deve accrescere».
E se il cibo, nella sua presenza e nella sua assenza, rappresenta una simile chiave di lettura universale nelle culture e nelle religioni della nostra specie, non può che essere logico e automatico il passaggio che rende altrettanto sacro se non di più il ruolo della terra. Perchè, come ricorda ancora Moni Ovadia, «Nella traduzione della Bibbia il primo uomo fu chiamato Adamo, ma questo nome viene da adamà che in ebraico significa gleba, zolla: se volessimo tradurlo letteralmente dovremmo il gleboso, lo zolloso. Quindi l’uomo è terra, spiritualmente parlando, e ciò porta a un’indicazione definitiva sulla nutrizione: se l’uomo e la terra sono sacri, pervertendo l’una si intossica anche l’altro».
Francesca Monticone
f.monticone@slowfood.it

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